LA STORIA DELLA CONQUISTA DI DUE
MEDAGLIE D' ORO
I Merletti di Venezia, 1878
Tre mesi fa, il capitano cav.
Luigi Ghiaia, l'egregio storico della campagna del 1866 e già direttore della
Rivista militare, pubblicava in occasione di nozze in casa Voghera, un volume
d'importantissimi scritti inediti ch'egli teneva da uomini digran conto, coi'
quali era stato in amichevole corrispondenza durante la sua carriera lunga e
onorata. Tra le pagine di tale volume
intitolato Nuplialia
e stampato a Roma nel tempo che abbiamo detto, trovasi una lettera del
Fambri, che Domenico Berti e Luigi Luzzati, per nominare due giudici soli,
chiamarono un vero gioiello. L' argomento affatto economico venne trattato
altre volte nelle pagine di questa Rivista, la quale riprodusse, tre anni fa,
fra l’altre una lunga risposta del Fambri stesso ed alcuni appunti del prof.
Toniolo sul richiamo dei merletti veneziani alla vita dell'arte e degli
scambi. Il Fambri in questa materia
mostrò una forza di volontà che tocca la pertinaccia, ed un coraggio di
annegazione che, come ben dice la Gazzetta di Venezia, non ha riscontro nella
storia industriale di nessun centro di produzione estraneo in tutto alla
parte tecnica e commerciale aiutato da pochissimi fidi, deluso
anzi tradito proprio allora che si sforzava a combattere egli non volle dare
un passo indietro ed abbandonare le
duemila donne che amò... son sue parole. Il Fambri,
come è noto, scherza anche nei più cattivi passi. Oggi per altro i passi sono
tutť altro che cattivi, sebbene un anno fa fossero tali, addirittura
terribili. Ma non antecipiamo, ecco la lettera. Carissimo Cheala, chi mai potrebbe, mi dicevate
qualche settimana fa, indovinare in voi il gentile (Dio vi perdoni l'epiteto,
io nol faro mai), dico, il gentile produttore dei merletti cosi ammirati ora a
Parigi? Non c'è mai stata interrogazione
al mondo (neanche, sto per dire, quella recente del mio Gabelli) più
legittima di questa. Infatti, alla naturale
spiccatissima contraddizione che passa sempre tra la persona nonché il fare
mio, e tutto ciò che si presenti in qualche modo tenue, elegante, o, per
dirla in una parola, carino, come se non fosse già troppa, s'aggiungeva in
quel momento il più brusco e stridente rincaro. Mi ricorda che venivo giusto
allora da certi miei lavori di un tre chilometri fuori porta, rudemente insaccato,
più rudemente stivalato e grigio di polvere peggio che ď anni, avendone
inoltre, non che il resto, tutta impiastricciata la faccia salvo tre o Quattro
righe le quali scendevano, inesausti ruscelli di onorato finché si vuole ma
noioso sudore, giù dalle tempie al collo. Eppure, riconoscibile o no,
indovinabile o no, ero quel desso. Io so che a parecchi amici
vostri, e forse amiche, e' par mill'anni di penetrare il mistero di codesto
giuoco di flagranti contrasti. É vero che se ci fu un Dio il quale, secondo
le sacre carte, si divertiva a suscitare gli stolti per confondere i sapienti,
ci può anche per la stessa ragione essere stata una Dea tentata di servirsi
ď una incarnata e membruta negazione del gusto a risurrezione per
l'appunto di esso. Però, dato co- testo tiro d'onnipotenza, la
curiosità loro di conoscerne le vie e gli andamenti non poteva, lo capisco,
non rimanerne ancora più stuzzicata. Nè a voi era certo dato di soddisfarla,
chè, quante volte ci s'è incontrati noi altri, i discorsi s' aggirarono sempre
intorno alle cose di Marte, senza che a Venere sua venisse mai fatta la più
lontana allusione. Ebbene - dacché a Parigi un po'
se ne occupano e il grido arriva nientemeno che da Folchetto, eccomi a
dirvene succinto ma preciso ogni cosa, e fiat
lux. Voi ricordate senza dubbio che
or fanno sei anni ero deputato del secondo collegio di Venezia - una specie
di propheta in patria
in onta al dettato, il quale però volle avere ragione, tanto che la cosa ebbe
da ultimo a finire col mio capitombolo. Ma ciò non rileva. Allora c'
ero, e un bel mattino feci vela con alcuni amici, fra i quali il Pisani, per
Burano, una sezione del collegio non solo staccata ma insulare, della cui squallidissima
miseria, risalente ad anni immemorabili, non saprebbe formarsi un'idea chi
non l'abbia veduta cogli occhi propri. E il vederla fece a tutti noi
un gran male al cuore. Sapevamo, ma non ci aspettavamo lo strazio a quel
punto. Dopo le prime glose, si cominciò,
il Pisani, io, il parroco, il sindaco, e due o tre notabili del posto, a
ragionare sul come tentare un principio di rimedio. - Non lavorano dunque per
niente ? chiedevo. - Pescano, rispondeva il
sindaco, come il tempo permette. - Coltivano anche le vigne,
aggiungeva il parroco, ma di terra ce n' è così poca ! - E le donne? - Badano alla casa, a' bimbi ! - La casa ? bella spiegazione -
se la maggior parte debbono anzi uscire di casa perchè non ci si vede !
quanto ai bimbi che cosa fanno loro ? - lavarli no, che di acqua ce n'è appena
da bere; vestirli nemmeno, che sono a zonzo ignudi nati... Una volta però, seguitavo
tristamente, qui si lavorava; c’erano industrie famose. - Altro che famose ! mi si rispondeva
in coro. I merletti e i cappelli di trucciolo, i quai sul cadere del secolo
scorso vendevano a tre, a quattro e fino a dieci zucchini. Capisce che
prezzi, e a quei tempi li! - Ebbene, saltai su interrompendo,
tentiamo qualcosa incominciando dagli
uomini. I panama
oggi non vanno essi da cinque fino a trecento lire? C’è chi paga anche oggi.
Rifacciamoci un po' cappellai. - Neanche discorrerne, ci fu
subito replicato. Sul principio del secolo l' industria fina cessò – l’ordinaria
tirò innanzi ancora qualche anno, poi decadde affatto, e gli ultimi operai emigrarono su
quel di Modena senza che se ne sapesse
mai più nulla. - Faremo delle ricerche. E i
merletti? - Anche lì finito tutto. Morte
tutte! - Davvero tutte? - Meno una ; la Cencia
Scarpariola già settuagenaria e che non ci vede più.... - Vediamola noi. . . subito. -
Io son sempre pel subito. Andarono a scovarla e me la
condussero. Una vecchietta pulita ed arzilla, sulle prime alquanto confusa di
trovarsi innanzi a dei grandi personaggi, secondo lei, ma ben tosto orientata
e precisa nelle risposte. Io fui l' interrogatore : - Ebbene, buona donna, non
potete più lavorare ? - Non ce n'è da lavorare,
signore. Poco, ma pur qualche cosa ancora potrei. - Dunque ci vedete ? - Sissignore ! mi stanco
presto, ma tanto. . . magari ce ne fosse un po'del lavoro. - Vi piglereste l'impegno di
insegnare a delle bambine? - Bambine ? Oh no; si figuri!
se fosse delle fanciulle. . . Ella aveva mille ragioni. Io
venivo allora allora di Toscana dove così bambinescamente i figli si chiaman
bimbi fino a diciott'anni, nè questa dev' essere l' ultima delle ragioni per la
quale il senno non si può dire che anticipi... - Dunque delle fanciulle sì?
ripigliavo correggendomi. Grandette, sissignore; per quel
poco che so, veda, perchè non sono stata mai delle brave. - Insomma vi impegnate! - A' suoi comandi. - E sta bene. I comandi vedrete
che non si faranno molto aspettare. - Io m'ero già fatto in testa il
disegno d'un potente anzi prepotente appello al mio pubblico. Tornato appena a Venezia, misi
fuori per le stampe un letterone al mio amico D. Fadiga, direttore allora del
Rinnovamento, con descrizioni, perorazioni e un primo obolo. Carlo Pisani e
il Fadiga lascia fare a loro, giù il secondo e il terzo accompagnati da altre
descrizioni ed eccitamenti. Ed io, a ribattere il ferro fin che era caldo,
giù un discorso in pubblico, poi un secondo, e i giornali a tenermi più o
meno bordone. Non c'è mica altro da fare che cosi. Il clarino gorgheggia, il
violino parla e canta, il violoncello piange e fa piangere, eppure io ho
veduto gente, anche per bene, a dormire a musiche di paradiso. Non c' è
proprio altro che la gran cassa la quale valga a scoiare per davvero e
mantenga desti. E sel sanno i timpani e le tasche del prossimo se l' ho
battuta! Le sottoscrizioni fioccarono
tosto dall'universo ed altri
siti. Qui la designazione famosa del
Dulcamara torna a capello, conciossiachè il suono dello stromento sullodato
giungesse niente meno che fino al soglio di Pio
IX, e parecchie, dico parecchie, migliaia di lire scendessero dalle case Vaticane,
alle quali, come cosa a cavaliere tra il reale e il trascendente, l’altri siti rimane la più applicabile
espressione del mondo. Però quei danari furono volti ad altre istituzioni.
Messi ad ogni modo insieme discreti mezzi materiali, mi detti attorno pei
morali. Affari di ragazze bisognava naturalmente finire per metterli in mano
a delle signore, buone, intelligenti, ricche, alto locate, possibilmente
anche belle.» Fu allora che mi rivolsi con due lettere piene di rispettosa
audacia e coronata, in ordine al mio fine, dal più lusinghiero successo,
prima alla contessa Andriana-Zon-Marcello, indi alla principessa Maria Chigi
Giovanelli. La scuola cominciò con sei ragazze, ben tosto divenute dodici,
poi ventiquattro, salendo poi gradualmente alle due per avviarsi alle
trecento. Da una stanzettina di forse
cinque metri per quattro, si passò a una maggiore al pianterreno, poi al
primo piano in una sala molto chiara, ampia e fin ricca per Burano. La giovane signora D'
Este-Bellorio, maestra comunale, fu la prima tra lescolare della Cencia, e in
due mesi divenne una perfetta maestro dell'arte. La cosa cominciò a camminare.
Le spese di scuola, di sussidi, materiale ed altro crescevano e ci si
sopperiva fra le due illustri patronesse e me. Quanto poi al lavoro
d'iniziativa' promozione, protezione, sorveglianza tecnica, amministrativa, disciplinare; ecc.
si devenne fra noi tre a un patto di divisione di lavoro, ed ecco come: Considerate
le frequenti assenze da Venezia della principessa da una parte, e dell'
ingegnere dall'altra, essi due membri imposero, come maggioranza, una deliberazione
del seguente tenore: «In nome ecc., abbiamo decretato e decretiamo che il
lavoro sarà d'ora innanzi diviso fra noi nella seguente
maniera ; la contessa Andriana Marcello farà tutto, e noi altri due faremo il
resto.» La deliberazione era tanto più
giusta che la plenipotenziaria possedeva già l'arte per principii e non
tardava in appresso a farci l'occhio e la mano alla tecnica. Le fanciulle venivano su di
numero e di capacità, la maestra ď Este, il sindaco Pitteri, il parroco
aiutavano intelligenti assidui e concordi. Arrivava già il momento di
prendere o, per dir meglio, di cercare delle commissioni. Le prime partirono,
e splendide, dall' allora Principessa, ora Regina Margherita, la quale accettò
inoltre la presidenza dell'istituzione e le fece quell' infinito bene morale
e materiale che fa a tutto quello che vede e tocca. E sempre avanti ! Occorse anticipare parecchio.
Ci si tassò ancora fra noi tre; poi si prese dentro il circolo
dell'infaticabile ed egemonica patronessa, e in giorni, direi quasi in ore,si
messero insieme, fra tutti (una serqua e mezza di amici) da otto a diecimila
lire. Cosi le cose procedettero, e
procedono tanto che la scuola oramai basta a sè stessa, anzi ci ha un tanto
di avanzo, quest'anno, meglio di 3000 lire. C'è da giurare pertanto che nel1978,
grandi o piccini, in pietra d'Istria, terracotta o, a peggio andare, in
gesso, tre busti, erme, medaglioni o altro delle prelodate sublimi dame e
dell'umile sottoscritto in qualche posto insigne dell'isola si troveranno. Questa dunque di Burano è ormai
una ciambella riuscita col buco, e non accade discorrerne più a lungo che la
parrebbe una cosa fatta per lodarsi, la quale del resto avrebbe la sua
ragione e il suo pregio come una delle tanto poche che quaggiù si facciano di
vero cuore. Se non che Burano non fu,
industrialmente parlando che la vanguardia di Pellestrina, ed. Ora incomincian
le dolenti note Prima di passare innanzi, m'occorre
spiegarvi a che altro si passi, affinchè vi siano ben conosciute le
distinzioni e condizioni dell'industria! Avete à sapere che le trine
sono trine, cioè di tre specie - ad ago - a fuselli - a macchina. I primi onori vanno all'ago.
Attento alla tecnica! Sopra una striscia di pergamena, o carta si forte e
duttile da surrogarla meno imperfettamente, si disegna il merletto da pore in
lavoro. Tale striscia è il fondo
mobile, le cui linee guidano l'ago finissimo della merlettaia. Essa col suo
filo meno che capillare segue le curve, empie i vani e lega tra loro i fiori,
le frutta le figure, tutte infine le parti per mezzo delle gambe, chè così si
chiamano certe strisciettine di collegamento, ovvero d'un fondo più o meno fitto sul quale i
detti ornamenti campeggiano, ed ai quali la giovane industre mette poi i
rilievi che le sono imposti dal modello o consigliati dal gusto. Il lavoro ad
ago non chiede aiuti materiali di sorta alcuna. L'operaia, come l'ora avanzi
o il punto si renda eccessivamente delicato, lascia il mezzo della stanza e,
ritta al vano ď una finestra, agucchia più preciso e squisito. Egli è
per tale mobilità tutta aerea del lavoro e dell'apparato cui bastano occhi e
dita, che gli fu dato, io penso, nome di punto in aria. Ma che occhi, per
altro, e che dita ci vogliono! e che giunta di costanza e di garbo! Quanto è aereo codesto primo
sistema dell'ago, altrettanto è invece grave ed impaccioso il secondo de'
fuselli. Si disegna egualmente la striscia la quale guida la merlettaia,
giusto come la traccia prima del carbone guida il pittore. Il lavoro del resto è tutto un
intreccio di un numero maggiore o minore di fila secondo la complicazione del
disegno. Ciò si capisce non è aereo. Esse penzolerebbero, e, per quanto gravi
di un piombino o d'un fusello all'estremità libera, ad ogni movimento un po'brusco
piglierebbero cento abbrivi in sensi dritti e traverse, producendo arruffìi
disperanti, e nodi gordiani impossibili a sciorsi altrimenti che colle
forbici, tramutando le operaie in tante impazienti e ricise Alessandre. A
scanso di ciò la merlettaia a fuselli siede piuttosto comodona dinanzi a uno
sgabello serrante fra le ampie braccia una specie di saccone pienocilindrico
o sferoidale, così grande che una giovinetta non giungerebbe ad abbracciarlo.
Su di esso posa la striscia disegnata i
cui punti principali, cento, duecento, fin cinquecento e più, vengono
segnalati da altrettanti spilli che sono I punti prestabiliti alle moltiplici
intersezioni delle finissime line onde risulta il merletto. E tutto consiste nel sapere,
fra le centinaia di capi, pigliare giusto i due, tre o più che debbono congiungersi
in quel tal punto, e poi lasciarli andare e passare agli altri cui sono
prescritti altri connubii, e rimessili poi anch’essi a posto, correre coll'occhio
e la mano alle terse, alle quarte, alle millesime combinazioni, esaurite le quail
in ordine a tutti gli scherzi di punti e linee da riprodurre, spostare per le
nuove successive intersezioni gli spilli sostituendo pure dei nuovi fusellini
ai primi, quando per avventura debbano mutare I colori o le loro graduazioni. Il tombolo o pallone, che cosi
lo chiamano, da lavoro, pare veramente una originalissima testa colossal,
calva nel messo, dove sta bene steso e fermo il disegno, e invece assai
fittamente chiomata a' lati, dove le bipartite masse de’ penzolanti fuselli renderebbero
precisa similitudine di grossi e numerosi riccioloni cioloni. A vederci lavorare le maestr bocca aperta. Con quale rapidi l'occhio non ci tien dietro affatto. - Come mai, chiedeva un giorno la Regina
Margherita ad una delle più famose, dinanzi al cui lavoro
era alquanto ristata,- come mai fate a trovarli così subito i
fuselli che do- vete così variamente intrecciare? |