Campania Dipinto di Giuseppe Bonito
(1707- 1789) di Napoli In questa regione il merletto nacque e si diffuse come
guarnizione per abiti e paramenti sacri. Presso le corti dei nobili uno
stuolo di abili merlettaie lavorava giorno e notte per realizzare capolavori
e creare nuovi disegni, talvolta anche le nobildonne si
dilettavano in questa arte. In molti paesi dell'Irpinia e del
salernitano si è sviluppata questa forma di artigianato e i paesi dove oggi
si continua tale lavorazione sono: Santa Paolina, Tufo, Montefusco,
Battipaglia, Positano, Pozzuoli, Portici, Gallo Matese
e altre diverse realtà. Questa arte viene praticata presso nuclei familiari o
piccole botteghe artigianali, la tradizione è infatti tramandata di madre in
figlia. In questi ultimi anni, sulla scia del grande fermento attorno
all’arte del filo, sono nate diverse scuole in tutto il territorio con insegnanti
ben preparate e tanta voglia di “fare”. Dipinto di Bonito Giuseppe Si pensa che le origini di quest'arte siano da
ricercare in Abruzzo, facente parte in epoca lontana del regno di Napoli; in
Campania, comunque, era già diffusa all'epoca di Giovanna
d'Aragona. Il pittore campano Bonito Giuseppe vissuto nel XVIII secolo,
tra le sue numerosissime tele di carattere popolaresco troviamo alcune scene
che rappresentano scuole di merletto e ricamo. Da tempi lontani, quindi,
questi eleganti merletti impreziosiscono i corredi. Napoli Tramezzo in lavorazione (courtesy
Maria Rosa, Napoli) Cesare Vecellio sul suo libro” Degli abiti antichi
e Moderni di diverse parti del mondo” (Venezia 1590), dedicò un capitolo
agli” habiti del Regno di Napoli” descrivendo anche
l’abbigliamento delle donne napoletane, premettendo che il regno di Napoli
comprendeva varie regioni e quindi gli stili potevano essere diversi. La
gentildonna moderna vestiva in modo ricercato e troviamo anche una precisa
citazione per ciò che riguarda i pizzelli, le trinette, i passamani.
”Le nobili Citelle
napoletane portano una veste semplice serrata al collo, chiusa dinnanzi fino
a terra per il più di panno colorato, sono attorniate con pizetti
et merli ”. ”Degli
abiti antichi e Moderni di diverse parti del mondo”, Cesare Vecellio,
1590 Davies, chirurgo-barbiere (professione
medica dell’epoca) londinese visitò Napoli nel 1597 e scrisse: “…Nel traffico di questa città
ci sono
merletti
di ogni sorta”. Fyne Moryson,
arrivato a
Napoli o nel regno di Napoli, contemporaneamente scrisse: “Gli italiani indossano
collari di lino fiammingo ricamato con un punto
tagliato (forato, trasparente), molto in uso qui, però
non sono grandi come i nostri perché non c’è grande abilità nel lavarli e inamidarli,
non portano merletti d’oro o d’argento, ma neri”. Lassel
invece scrisse: “Tutti ci tengono nel portare una giacca: ”…..i
punti Venezia e i merletti in oro ornano le livree dei loro cavalli”. Nel 1615 troviamo una citazione nel conto del sarto di
Sir Timothy Hutton dove un allievo dell’università
di Cambridge trascrivendone i conti scrisse “…quattro once e, mezzo quarto di
dram di merletto napoletano”. Nel 1613 la principessa Elisabetta
Stuart sposò Federico V e nell’inventario dotale si certificò anche
questo dettaglio: “stretto merletto nero di Napoli, lavorato con picot da entrambi i lati.°° Sull’Itinerario d’Italia del 1832 troviamo scritto: “Con non molto, successo
come in altre parti d’Italia, si coltivano in Napoli le arti meccaniche e
manifatturiere. Ciò nonostante vi si contano fabbriche di cristalli di buona
qualità, di cappelli di paglia , di fiori , di panni , di stoviglie, di merletti, di stoffe di seta, di
nastri, di cappelli di feltro , di coralli , ecc.” Nel 1838 Giuseppe Maria Galanti
nel suo libro “Napoli
e contorni”,
riconferma la lavorazione del merletto a Napoli: “Nel conservatorio dello
Spirito Santo si fanno molti buoni lavori, specialmente di merletti”. Nel 1893 la contessa Cora Slocomb Savorgnan
dedicò alla regina Margherita la guida “Old and new lace in Italy” in occasione
della Fiera Colombiana di Chicago per celebrare i 400 anni dalla scoperta
dell'America. Cora raccolse le varie istituzioni
che si occupavano della diffusione del merletto e testualmente lei scrisse: “Prima fra tutte è
l'Istituzione del S.S. Ecce Homo di Napoli, non solo per le sue dimensioni ma
perché nel suo Consiglio di Direzione fanno parte diverse Patrone. Questa
istituzione, che era rimasta un sonnolento rifugio per vecchie indigenti e
bambini storpi, riprese una gloriosa attività durante la terribile piaga del
colera del 1885, che spazzò via tutti gli adulti di innumerevoli povere
famiglie napoletane e lasciò centinaia di miserabili cenciosi orfani vagare
affamati per le strade. Ogni giorno l'istituzione, simile a Cristo
nell'azione come nel nome, raccoglieva decine di questi piccoli innocenti
affamati sotto le sue affettuose cure, e il re, il governo e la città
aiutavano nel buon lavoro così che oggi contiene 350 detenuti e istruisce per
280 giorni studiosi, molti dei quali appartenenti alle classi più
disgraziate, che mandano le loro figlie ad apprendere diversi mestieri adatti
a donne povere nelle sue grandi aule industriali, spesso tentati solo dal
pensiero del rafforzamento fisico da ottenere dalle sue nutrienti zuppe che
vengono forniti a mezzogiorno a tutti gli studiosi. Qui vengono copiati tutti
i tipi di
merletti,
le qualità antiche di Valenciennes, punto veneziano, Cardiglia,
Reticella, Torchon, napoletano, abruzzese e punto fugio di Milano, e si aggiunge a questo un meraviglioso nuovo pizzo evoluto copiando gli squisiti
disegni gotici pubblicati da Padre Pissicelli nella
Paleographia di Montecassino, libro che è esposto
nella nostra piccola raccolta di disegni per merletti. Nel 1904, Il Giornale di Udine,
descrivendo l’operato delle Industrie
Femminili Italiane ci dona questa preziosa notizia:” Una scuola di trine al
tombolo fondò in Napoli la signora Martorella,
un’altra per il merletto a punto ad ago, la signora Rappaini,
pure a Napoli.^^Nel 1908
nel dizionario “La Nuova Italia” troviamo scritto:” Il punto di Napoli è un
merletto a fuselli similare al punto Milano ma si distingue per avere una
rete di fondo meno raffinata.” E arriviamo nel 1909 alla notizia
quando riportata da “l’Almanacco Italiano” che pubblica un articolo sulla
situazione dei ciechi in italia ed elencando i vari
istituti troviamo: “Istituto Principe di Napoli per maschi e femmine,
fondato nel 1873 dopo che il ministro Scialoia,
avendo visitato l'Ospizio dei Santi Giuseppe e Lucia, e rimasto meravigliato
del progresso dell'istruzione di quei ricoverati, consegnò al direttore Martuscelli L. 3500 come sussidio per l'impianto di un
Istituto di ciechi il quale fu chiamato " Principe di Napoli „ ed ebbe
in dono dal Municipio il locale. Il comm. Martuscelli
lo accrebbe di un giardino d'infanzia per i bambini dai quattro ai sette
anni, ai quali vengono fatti conoscere gli oggetti, vi è un laboratorio
annesso per i soli alunni; v'è una bella biblioteca e vi si insegna la musica
a scopo ricreativo e anche per produrre buoni musicisti. Il lavoro manuale,
oltre che quello abituale negli altri istituti comprende anche quello del
falegname e del calzolaio. Le fanciulle lavorano i merletti a tombolo. Maestre di merletto del passato nelle Scuole
professionali femminili di Napoli
Merlettaia di Capri, George Bernard Butler, 1884 © The Cleveland Museum
of Art, Ohio, Stati Uniti. L’artista
americano soggiornò alcuni anni in Italia e nel 1884 dipinse a Capri questa
figura femminile. La figlia dell’artista, Helen C. Butler,
donò questa opera il 2 febbraio del 1915, al Cleveland Museum
of Art. Era la prima opera a far parte della
collezione museale. E dopo questo lungo viaggio nella storia arriviamo
al presente, un presente aggrappato alla sua storia centenaria che coinvolge
tutto il mondo, fatto di persone che si sentono
testimoni di una evoluzione nell’arte di intrecciare il filo che dura da più
di 500 anni. Pozzuoli (NA) Nel 2011 è nata a Pozzuoli l’associazione “Tombolo
Napoletano” per volontà di Filomena Renzi.
L’associazione oltre alla divulgazione della tecnica del merletto a fuselli
si prefigge l’intento di recuperare la
lavorazione del merletto napoletano, le socie fondatrici dell’associazione
stanno lavorando con filato di seta italiana sui disegni delle Tavole di
“Merletto napoletano” di Gioacchino Toma. Filomena ha realizzato tre
pubblicazioni su disegni di Toma, presentandone anche l’esecuzione.
Ischia (NA) Alla fine del ‘500 a Pozzuoli e nell’isola d’Ischia
si producevano dei merletti a fuselli di foggia rustica. Cesare Vecellio sul suo libro” Degli abiti antichi e Moderni di
diverse parti del mondo” (Venezia 1590) scrisse riferendosi all’abbigliamento
delle donne di Ischia:
Giuseppe D'Ascia nel 1868 scriveva così ”Le nostre
madri non vollero esser seconde agli uomini nel culto all'arte, e si fecero
distinguere ed ammirare nei gusti muliebri, sì nelle sfarzose fogge degli
abili a costume Greco, ricchi di merletti e frange e galloni di oro, sì per i
pesanti e ricchi pendenti a foggia di navicella di fino oro con pendenti di
perle detti fioccagli alla genovese o navette. Questi fioccagli sono
rimasti ma il costume della ricca e
graziosa vestitura sparì e con queste fogge sparirono ancora quelle
manifatture di ricercati e stupendi merletti in filo, che allora le nostre
madri, con squisita arte, sapevano manifatturare, per guarnirsi, per farne smercio, per dar finimento alle loro fine biancherie
di comparsa. De' questi merletti gli stranieri con premura fin ad ieri ne
sono andati in cerca, e noi loro li
abbiamo barattati, spogliandocene più perché ignari del pregio che per
bisogno e ce ne siamo privati, senza poterli rimpiazzare, perché le nostre
donne, profane a tal culto, ne ignorano l'arte.”** Agli inizi del 1900 si poteva ancora vedere del bel
merletto su tovaglie tende ecc. anche realizzati a filet. Ad Ischia si faceva anche del Torchon con dei bei disegni che veniva venduto per le
strade, ma era di qualità comune e
scadente.* In questa bellissima isola, specialmente a Lacco
Ameno, si intrecciava la paglia realizzando dei cestini come i merletti, una
originale idea che le donne dell’isola seppero trasportare dal filo di un
tempo, alla rafia. Questa lavorazione iniziò dalla metà dell’Ottocento e
proseguì per cento anni, rimase sopita nel tempo e nel 2015 è stata riportata
in vita da Anna Arcamone. Anna ha saputo
trasformare la tecnica del merletto con la rafia realizzando oggetti moderni
e innovativi, come i ventagli, sottopiatti, oppure conservando la classicità
nei cestini con una sua personale rivisitazione.
Creazioni
di Anna Arcamone, Ischia,
l’intreccio dei moduli a rosetta sono realizzati con la tecnica del “Tenerife” Portici (NA) Teresa Franza: “Il Giardino di Teresa”, 2004 Teresa Franza “ La Grande
Dea Madre”, Medaglia d’argento, XI Biennale Sansepolcro La
grande Dea Madre (spiegazione dell’opera) A Napoli non c’è una vera e
propria tradizione del merletto, ma una nota scuola di ricamo milanese, diede
dei corsi in questa città e una signora da Portici, Teresa, vi partecipò.
Teresa è diventata abile e possiamo ammirare due sue opere: la prima ha partecipato al II Concorso
Internazionale organizzato dall’Associazione” Bolsena Ricama”. Nel settembre del 2004, Teresa si
è aggiudicata la medaglia d’argento all’XI Biennale
di Sansepolcro con “ La Dea Madre”: il tema era “Il Cosmo: Materia e Poesia
“. Nel settembre del 2005 ha vinto il 1°
concorso organizzato dall’Associazione
Merlettando di Cervaro. Teresa ed altre
appassionate hanno formato un gruppo, “ Il Fil’Armonico del Miglio d’Oro“,
attualmente coltiva la sua passione come una traversata oceanica in
solitaria. Somma Vesuviana (Napoli) Negli
“Atti parlamentari dello Senato”, stampato nel 1919 si parla che a Somma
Vesuviana si fanno i merletti a tombolo e anche “ L’Annuario delle
Camere di Commercio italiane” del 1940 ne dà la riconferma. Avellino La provincia di Avellino tramite la Camera di Commercio di Avellino nel 1873, in occasione dell’Esposizione Universale di Vienna, portò in mostra i suoi merletti.^
Nel 1955 la Scuola d’arte di II grado aveva
tra le materie anche il merletto
con una maestra d’arte per la tecnica, per il disegno: un insegnante di disegno dal
vero, con la direzione dei laboratori della sezione dell'arte del merletto e ricamo. Tufo (Avellino) Già da tempi lontani le abili merlettaie
lavoravano molto per realizzare capolavori di ineguagliabile pregio. La scuola
del merletto di Tufo non è seconda a nessuno e le merlettaie si sono unite in
cooperativa per poter meglio vendere i loro manufatti. Santa Paolina (Avellino) Fiorella, Eva e Rosalia, merlettaie di Santa Paolina Santa Paolina è un piccolo
comune irpino dove si lavora il tombolo e si
coltiva il Greco di Tufo Docg. L'intreccio
dei tommarielli eseguito da abili mani forma il
"pizzillo", seguendo con precisione il
tracciato del disegno su cartone. Un tempo la lavorazione del tombolo veniva
tramandata da madre in figlia. Dal 1989, anche la Pro-Loco provvede ogni
anno, nel periodo estivo, ad organizzare la Scuola di Tombolo. Il tombolo di
Santa Paolina è molto pregiato, richiede grande abilità, impegno e conoscenza
dei "segreti" di lavorazione. Due
sono i motivi caratteristici del merletto antico di questi luoghi: la foglia
d’uva e la lisca di pesce”. Sono motivi che in tutto il resto d’Italia non si
eseguono, si possono trovare delle similitudini nel merletto del Bedfoshire in
Inghilterra, Almagro in Spagna, Rauma
in Finlandia, Vila do Conde
Portogallo. Può variare la forma della foglia, ma la tecnica è molto
similare. Chissà quale sarà stato il trait-d’union tra questi paesi! La
"foglia d'uva" è tra le più difficili: si lavora con ben 238 "tommarielli". Si deve ringraziare la signora Aurora Ricciardelli se questa lavorazione non è andata dispersa,
perché in passato ha insegnato alle nuove generazioni e alla nipote Fiorella
che oggi a 90 anni lavora ancora al tombolo ed è tenutaria della difficile
tecnica per eseguirla. Con grande entusiasmo lei dice: “Io lavoro sempre al
tombolo, non lo lascio mai! Ho imparato da quando avevo 3-4 anni”. Eva
Spinelli di 69 anni ci racconta:” Il tombolo è un amico e un tesoro, io lo
lavoro da quando avevo 9-10 anni e a 60 anni ho imparato la foglia di vite,
per imparare ci vuole molto tempo, io ho fatto un copriletto a mia figlia e
ci ho messo cinque anni. Quando ero
piccola, i miei erano contadini e la mia mamma mi mandava a portare il latte
per il paese e qua in ogni porta c’erano due tre tomboli e anche merlettaie che facevano il punto
antico. Ero tanto affascinata e solo
dieci anni fa l’ho imparato, sapevo fare quello più semplice ma non
l’antico.” Anche lei sa fare la foglia d’uva che richiama l'altro prodotto
forte di Santa Paolina, che è il vino Greco di Tufo. La foglia d’uva che si può
realizzare in due dimensioni, esecuzione di Eva Spinelli
Il National Gallery of Victoria di Melbourne conserva questo campione di merletto acquistato
nel 1904 e catalogato di provenienza italiana Altra caratteristica
lavorazione, molto apprezzata, è la "spina di pesce". Rosalia di 80
anni ha fatto un copriletto per la nipote con i decori a spina di pesce. Copriletto realizzato da Rosalia per la nipote
eseguito a “spina di pesce” Questo motivo è formato da una foglia ovale
realizzata a mezzo punto con la sovrapposizione di un ramoscello a punto spirito come
fosse proprio una lisca. Molti
sono i "pizzi antichi" contraddistinti da nomi locali quali il rummulillo (piccolo rombo), la via storta, la mennola. I tre tipi di
lavorazione "la foglia d'uva, la spina di pesce che si lavora con 70
coppie di fuselli e i pizzi antichi" sono insegnati nel corso di tombolo
antico. Oltre
all'esposizione dei lavori della scuola di tombolo e alla dimostrazione
pratica, si possono ammirare i lavori delle "pizzillare"
di Santa Paolina alla Mostra dell'Artigianato Tipico Irpino,
del Greco di Tufo e degli Artisti Irpini che si
svolge ogni anno a Santa Paolina. La Pro-Loco intrattiene rapporti nazionali
e internazionali con varie associazioni di tombolo. Dal
2005 il Comune di Santa Paolina premia con il “Tommariello
d'Oro” gli irpini illustri come il capo della
polizia Antonio Manganelli, Nicola Mancino, Antonio Laudati,
Ciriaco De Mita, Carmine Malzoni, e medici di fama
mondiale originari della terra avellinese, come il cardiochirurgo pediatrico
Antonio Amodeo. I giovani
e il merletto Rita Santangelo,
volontaria del Servizio Civile, è una giovane di Santa Paolina che ha deciso di non far finire nel dimenticatoio
la lavorazione del tombolo, decidendo così di coinvolgere altri giovani come
lei per imparare quest’arte e dare dignità alle proprie radici. Rita insieme
alle maestre Eva, Renata, Fiorella e altre coetanee insegna il tombolo anche
alle bambine a partire dai 6-7 anni. La tecnica le è stata tramandata in
famiglia a partire dalla bisnonna, poi alla nonna, alla madre e a lei,
testimone di questo prezioso passato e si prefigge di tramandarlo alle sue
figlie e nipoti. Rita Santangelo
mentre spiega la lavorazione e la storia del merletto a fuselli Alcuni lavori della Scuola di tombolo Disegno antico di Santa Paolina
con le foglie di vite e i chicchi d’uva Merlettaie in Via Roma Calitri ( Avellino) Calitri fa parte dell’Associazione
Italiana città del Merletto, del
Ricamo e del Tessuto d’Arte. L’Istituto d’Arte di Calitri,
grazie all’impegno di alcuni docenti, ha allestito un Museo, che dal 2005
apre le sue porte il sabato e la domenica. Sono raccolte testimonianze
storiche della scuola e dei manufatti, realizzati dagli alunni e dagli
insegnanti. Tra sculture, pitture e moltissime opere pregevoli si trova anche
la sezione di merletti a tombolo e ricami, a testimoniare che un tempo le
donne del luogo si dedicavano a questa attività. Un libro edito nel 1960 ci
racconta che la Scuola a quel tempo era articolata in tre sezioni dedicate
alla ceramica, legno, ricamo e merletto.° Infatti la Gazzetta Ufficiale del 6
giugno 1959 pubblicava il bando di concorso per 101 insegnanti di arte
applicata nelle scuole d’arte statali e per Avellino si cercavano 4
insegnanti di merletto e ricamo Merletto esposto presso il
Museo dell’Istituto Statale d'Arte di Calitri Montefusco ( Avellino) Merletti su motivi antichi:
“lisca di pesce e foglie d’uva” Coperta
realizzata interamente
con la foglia d’uva
Particolare
ingrandito Anche a Montefusco il merletto a fuselli è un’arte
antica, secondo alcuni storici risale all’epoca degli aragonesi, ma c’è
un’altra ipotesi che lo lega al periodo svevo. Per non perdere la tradizione
questo paese ha anche una scuola di merletto, per le giovani ragazze. Durante
la Fiera di Sant’Egidio ( agosto 2007) un padiglione era interamente dedicato
alla “ Mostra del Tombolo). Il merletto di Montefusco è stato presentato
anche oltre i confini italiani: nella Fiere internazionali di ToKio, Montreal e Londra. Adelina Egidio, ricamatrice e merlettaia,
ha aperto un laboratorio, si tratta della prima iniziativa in assoluto, nella
provincia di Avellino. Bordo realizzato a fuselli da Adelina Egidio seguendo il
disegno tipico della “lisca di pesce” e della foglia d’uva, i merletti sono
in mostra nella stanza “La bottega del tombolo” nel Museo di Montefusco. Opera di Adelina
Egidio, stanza “La bottega del tombolo”, Museo di Montefusco In anni recenti Raffaele Oliva, esperto nel ramo
dell’abbigliamento e grande appassionato di merletto a fuselli, ha fondato l’Associazione "Fili
e fuselli", con lo scopo di insegnare e diffondere l’arte del merletto.
"A Laura" di Raffaele Oliva, di Montefusco
(Avellino), che ha ottenuto la menzione speciale al concorso, indetto da Il
Tombolo di Anghiari, "Chiare,
fresche et dolci acque, ove le belle membra pose
colei che sola a me par donna…” Presso il Carcere Borbonico della fortezza Spielberg
c’è il Museo del Risorgimento meridionale vi si trova un’ esposizione di
merletti e si possono vedere delle dimostrazioni delle abili merlettaie. Nell’ottobre del 2005 si è svolto presso il
carcere, un incontro dal titolo”Il tombolo di Montefusco e Santa Paolina:
promozione e tutela delle sue produzioni”. Una giornata di confronto e studio
organizzato dal “G.A.L. (Gruppo di Azione Locale)
Partenio – Taburno” che ha approfondito la materia
con un laboratorio pratico presso l’Oratorio San Giacomo. L’intento è stato
quello di proporre ai giovani una alternativa di lavoro, sfruttando le
risorse che fanno parte di una tradizione e che sarebbe bene non abbandonare. Lavoranti del merlettificio
Castagnetti di Montefusco, 1951, video di Mario Panza per gentile concessione
di Ludovico Mosca La Ditta Claudia Castagnetti era molto attiva nella metà
del ‘900, infatti troviamo un’altra testimonianza nel “Foreign
Commerce Weekly”,
settimanale del commercio estero del dipartimento del commercio di
Washington, 1953, dove troviamo questo trafiletto che ne pubblicizza
l’attività.
A Montefusco c’è la Chiesa di S. Caterina da Siena
del XVII secolo che conserva la pregevole tela del 1718 raffigurante “la
Madonna del Pizzillo” dipinta da Francesco de
Angelis. In questa raffigurazione, la Vergine è rappresentata avente di
fronte una sedia, sulla quale trovasi un cuscino cilindrico con i
caratteristici fuselli, propri della lavorazione del tombolo.
Particolari del quadro Positano (Salerno) Un
dizionario amministrativo del 1908* testimonia che in quel periodo le Suore Figlie
della Carità avviavano 100 bambine alla lavorazione del merletto. Anche John Steinbeck, Nobel per la letteratura, ha
scritto sulle bambine di Positano: " Alto sul monte, un
convento si affaccia sul mare; qui le monache iniziano le bambine all’ultima
arte delicata del merletto. Le bambine sono pagate, e col ricavato dei
merletti si aiuta la scuola. Le dita agili delle bimbe che lavorano con
centinaia di rocchetti fanno venire le vertigini, ma esse alzano la testa
tranquille, e ridono e chiacchierano come se non avessero la minima
consapevolezza delle loro magiche dita. Alcuni lavori sono d’incredibile
bellezza. Ho visto una tovaglia, una tela di ragno intricata come un
pensiero. Cinquanta ragazze vi avevano lavorato per un anno.” Mercato S. Severino (Salerno) A Mercato S. Severino si respira aria di bel
merletto con Lello di Prizio, artista poliedrico, ricercatore
della perfezione della bellezza e di tutto ciò che si può creare con il filo. Vietri sul Mare (Salerno) L’”Annuario delle Camere di Commercio italiane” del
1940 ci racconta che questo paese è noto per i suoi merletti e un articolo
apparso in rete nel 2018 ci racconta la storia di Flora Naddeo
che apprese nei primi del ‘900 l’arte del merletto presso le suore del
convento Di Vietri. “Ciao nonna Flora regina del merletto. L’addio a 108
anni” SAN CIPRIANO PICENTINO. È morta a 108 anni la nonnina
più longeva dei Picentini. La signorina Flora Naddeo era un’artista del tombolo, un antico attrezzo da
ricamo. Una passione iniziata da piccola quando rimase dalle suore a Vietri sul Mare e imparò l’arte del merletto e del
ricamo. Era nata il 10 aprile del 1910 ed aveva solo 8 anni quando morì la
madre Raffaella Marotta, colpita dalla Spagnola,
l’epidemia dell’epoca. Suo padre Giuseppe era guardia carceriera e non avendo
la forza economica e morale per accudire la figlia, chiese aiuto alle suore
di Vietri, e così la piccola rimase nel convento
fino al raggiungimento della maggiore età. Coltivò la sua passione più
grande, il ricamo e divenne famosa tra i cittadini per la lavorazione del
tombolo, un’attività che richiede pazienza, precisione e grande abilità.
Un’arte preziosa che Flora ha coltivato fino a pochi anni fa, quando ancora
con le mani agili ed esperte, creava meravigliose opere d’arte utilizzando
morbida lana, ferri di varie misure, fili di puro cotone e fuselli di legno.
In paese, la cara signorina Flora, era considerata una vera “autrice” di
pregevoli lavori di antica ed artistica manualità, creati grazie alla
preziosità di gesti antichi. I suoi manufatti unici, sono motivo di orgoglio
per gli abitanti che li possiedono, le sue meravigliose opere, infatti, hanno
impreziosito corredi, abiti e case delle famiglie sanciprianesi
e non solo. Durante i funerali, la comunità tutta si è stretta intorno al
dolore dei familiari, per salutare la paziente e sopraffina custode di tesori
infiniti della storia locale, un pezzo di storia di San Cipriano Picentino.§ Gallo Matese (Caserta) Gallo Matese è un piccolo
caratteristico borgo del Sannio matesino
di circa 450 abitanti dove la tradizione del merletto a tombolo è coltivata
ancora da alcune signore. La tradizione parla proprio della grande
diffusione, in passato, di questa arte antica che oggi, purtroppo, sta
scomparendo. Eppure, nei suoi vicoletti, talvolta è ancora possibile
imbattersi nel ticchettio dei fuselli, accompagnato dal chiacchiericcio delle
donne che portano avanti questa nobile arte. Fino a poco tempo fa, era molto
frequente, sulle soglie delle case, al fresco dei portoni, appena cominciava
un nuovo giorno, che le donne cominciassero a ricamare le loro meraviglie e
dalle loro mani sapienti nascessero leggiadri merletti che divenivano corredo
di qualche sposa o che andavano a vestire a festa qualche letto, divano o le
pareti di qualche casa. Non che siano scomparsi i bei quadri di queste donne
sugli usci delle loro case, ma certamente oggi se ne trovano di meno. Eppure,
in pochissime unità, è ancora possibile trovarne. Tombolo nelle lenzuola, nei
vassoi, nei quadri, tombolo nei cuscini, nei centrini, nelle orlature delle
asciugamani, nei polsini di un abito elegante. E, benché questa tecnica sia
purtroppo in via d’estinzione, affascina ancora moltissimo conoscerne le caratteristiche.Tombolo, filo, sproccula
(fusello), un uncinetto, il disegno da riprodurre, spille e tanta pazienza e
dedizione sono le cose necessarie per la produzione dei manufatti a tombolo.
Il filo di cotone, in passato, veniva acquistato nella vicina Isernia, la
patria dell’arte del tombolo, che lì arrivò durante il Regno di Napoli nel
XIV secolo e si diffuse grazie al lavoro delle monache residenti nel
Monastero di Santa Maria delle Monache e di Santa Chiara, le quali ospitavano
fanciulle della nobiltà partenopea, che si dedicavano a svariate forme
d’arte, dalla pittura, alla musica, fino all’uncinetto. Il primo documento
attestante la produzione di una trina a tombolo prodotta dalle religiose del
convento isernino risale al 1503. Le sproccule sono
dei pezzi di legno opportunamente sagomati, sulle cui teste viene avvolto il
filo usato per il manufatto, mentre l’uncinetto serve per i lavori di
rifinitura. Su un foglio semirigido di carta viene fotocopiato il disegno da
riprodurre e, grazie alle spille, il filo viene intrecciato ad arte seguendo
le linee del disegno. Una volta terminato, il manufatto può essere applicato
a lenzuola, asciugamani, cuscini, in una cornice a mo’ di quadro, come base
di un vassoio. Questa
lavorazione si manifesta anche nel costume femminile che veniva
portato dalle giovani spose per otto giorni dopo il matrimonio: la
camicia bianca "cammisia" e la cuffia bianca "r't'cattsono” arricchite di preziosi merletti a fuselli. S.Agata De’ Goti Anche in
questo paese l’arte del tombolo è una produzione artigianale di rilievo. S.Bartolomeo in Galdo
( Benevento) Indossano le donne di S. Bartolomeo una camicia di
tela o di mussolina, ornala di merletto nella parte superiore, e nelle
maniche vicino ai polsi, di falbalà della stessa
roba arricciata, preceduto da qualche giro di ricamo di filo rosso. Un
giustacuore [corpetto) che suol essere di velluto
verde, copre il petto e la vita, allacciandosi dietro le spalle con fìttuccia di color rosso, la cui estremità si lascia
pendente: nelle giunture e nel davanti questo giustacuore è ornalo di galloni
in oro. Egualmente di velluto verde con galloni d’oro alle estremità
inferiori sono le maniche, le quali divise dal giustacuore, si legano ad esso
con lacci rossi , lasciando uscire vicino la spalla sbuffi di bianca camicia:
due ampie legature (nocche) di nastro color cremisi , una
nel davanti, l'altra nel di dietro , sono attaccale all’estremità superiore
di ciascuna manica. Una scolla che un tempo ha dovuto essere di semplice
tela bianca, ed ora è di tullo operato con merletto
in giro o senza, si adatta sulle spalle, e viene a coprire il petto,
incrociandosi le sue estremità alla cintura. Di panno per lo più verde oscuro
è la gonna, che parte da un punto piuttosto allo della vita, e scende in giù
diligentemente pieghettala, lasciando vedere con la calzatura, porzione della
gamba. Un grembiale di seta o di altra stoffa, anche di color verde, largo e
lungo, contornato di fittuccia color di rosa vien ligato alla cintura con nastro di egual colore: ampia ligatura (nocca) di fittuccia
color cremisi con lunghe estremità pendenti si appunta alla cintura nel di
dietro. La testa coprono con una tovaglia piegata in due contornala di
merletto, e tenuta larga sul fronte mercè un piumaccelto largo poco men che
le spalle: su di essa è appuntalo un pezzo di seta o di altra stoffa simile
al grembiale, che ricade largo ed egualmente a doppio sulle spalle, coprendo
buona porzione della tovaglia. Tutto questo apparato si chiama Montatura. La
gola si vede per lo più ornata di grosse e lunghe file di globetti d’ oro
vero o falso, che per lusso si fa no scendere innanzi al petto sino alla
cintura. Di diverse forme e grandezze sono gli orecchini, come più o meno
abbondanti sono gli anelli che portano alle dita. Al piede scarpe nere con
fibbie. Altavilla Irpina
( Benevento) Durante il periodo natalizio del 1998, presso il Museo
civico di Altavilla, si è svolta una mostra di merletti risalenti al '500 fino al '900. La mostra, che costituisce una prima
introduzione al mondo dei merletti, nasce come idea dalla donazione della
raccolta di campioni della gentildonna Elena Orsini, facente parte di un
circolo di donne colte che a Perugia si era interessato allo studio di
antiche tecniche e moduli decorativi, da far rivivere in una ancora non
codificata ricerca delle proprie radici. Queste donne fecero da impulso
promotore a manifatture importanti in cui antiche tecniche di tessitura e di
ricamo furono rivisitate, fino a creare nuovi punti e nuove tecniche. La
baronessa Franchetti, la Haruc,
madre adottiva di G. Laiatico Scaravaglio,
colta e raffinata studiosa di Storia del Costume (le dobbiamo moltissime voci
dell’EI), la marchesa Ranieri di Sorbello, Chiara Bombelli che dettero vita ad importanti laboratori come
la tela umbra di Città di Castello, ancora esemplare laboratorio, quello dei Sorbello che crearono l’omonimo punto, vere e proprie
piccole industrie che fornivano alle contadine della campagna circostante, la
possibilità di guadagni insperati. La mostra perugina del 1908 nasce in
questo clima e da queste raccolte i tre preziosi volumi di "Antiche
Trine Italiane" di Elisa Ricci. Elena Orsini iniziò la sua raccolta a
Perugia; andata sposa prima a Napoli e poi a Roma, continuò ad allargare la
sua collezione con quanto poteva offrire sia il mercato che la liberalità di
amiche, come la principessa Borghese, che frequentavano il suo salotto anche
attirate dalla fama e dalla cultura del marito, il noto pittore della Roma
umbertina Giuseppe Cellini, che fra l’altro
affrescò la Galleria Sciarpa. Nei reticelli e nei
fuselli, il suo interesse si è volto particolarmente a raccogliere le
"variazioni su un tema", frutto di mani diverse, che traducevano un
modulo noto attraverso i tanti libri di modelli, che nello scorcio dell’800
venivano riscoperti e studiati. Insieme a questo gruppo con esemplari
rarissimi, come i due campioni di modano a maglie larghissime, quasi mai
presente anche nelle più importanti raccolte museali, viene presentato quanto
ancora resta della collezione della prof.ssa Lucia Portoghesi, ceduta al
Comune di Spoleto, ma che da dieci anni giace ancora chiusa nelle casse in
cui fu consegnata. I frammenti non inseriti nella cessione sono stati
riadattati e presentati qui, per completare il quadro di una produzione per
la quale l’Italia fu famosa. Nell’Avellinese questa attività fu nota, anche
se forse con una tecnica non caratteristica o con moduli altrimenti noti,
almeno a quanto finora si è potuto appurare, ma il piccolo buratto
proveniente dallo scavo della cripta di Altavilla Irpina, può già dare l’idea al contrario di una
produzione peculiare e caratteristica. Ancora molto cammino resta da fare per
dare un volto, in prospettiva storica, anche alla produzione di merletti
nell’Italia meridionale ; produzione che si vede "a sprazzi"
uscire da citazioni in antichi documenti, ma alla quale va dedicato un
attento studio perché anch’essa, come i tessuti della Campania, vada man mano
uscendo dalle nebbie per offrirci il suo vero volto, e ne siano testimonianza
di perfezione tecnica e disegnativa, quanto ne
sopravvive in S. Paolina e Montefusco alle cui merlettaie questa mostra è
dedicata.(
l’articolo si trova nel sito
http://www.altavillabiblioteca.it/Appuntamenti_in_corso.htm) Maschera napoletana Scaramuccia
è la maschera della Campania nata nel ‘600. Sul suo costume compare un
colletto in merletto, a volte è piatto a volte a gorgiera. Musei e Mostre
Ringraziamenti Per la
collaborazione data, ringrazio Giuseppe Silvestri,
Presidente pro loco di Santa Paolina, Ludovico
Mosca e tutte le merlettaie citate in
questa pagina. ^Immagine tratta da un video della
redazione “Il Plurale”a cura di Alfonsina Meroli https://www.ilplurale.it/tombolo-di-santa-paolina-non-lasciamo-morire-le-tradizioni/ Immagine
di Fiorella tratta da un video di Telenostra https://www.youtube.com/watch?v=tLuAeqinMvs Le pizzillare
di Santa Paolina di Enzo Landolfi https://www.facebook.com/enzolandolfi158/videos/2630548937065286/ http://www.prolococalitri.it/index.php?option=com_content&view=article&id=121 https://vimeo.com/ludovicomosca https://www.facebook.com/hirpinia/videos/montefusco-av/2201620073434127/ Bibliografia “ Antiche trine “di
Elisa Ricci °Libri e riviste
d’Italia volume12,1960 * La Nuova Italia: dizionario
amministrativo, statistico, industriale, commerciale ..1908 § salerno.occhionotizie.it
# “Elenco di saggi de' prodotti
della industria napoletana” presentati nella solenne mostra del dì 30 maggio
1853 Disamina eseguita dal Reale Istituto
d'Incoraggiamento de' saggi esposti nella solenne mostra industriale del 30
maggio 1853 ** Storia dell'isola d'Ischia, Giuseppe D'Ascia,
1868 °° History of lace”, Bury Palliser
1865. ** Deliberazioni del regio commissario dell’anno
1924, ^ atti ufficiali dell’esposizione universale di
Vienna, 1873 ^^Giornale di Udine_1904-01-25 Gazzetta Ufficiale della Repibblica
Italiana 1955-07-07 n. 154_SO_000 Slocomb Cora “A
guide to old and new lace in Italy : exhibited at Chicago in 1893” BOURCARD Francesco, imagine estratta da Usi e costumi
di Napoli e contorni descritti e dipinti. Sitografia https://archive.org/details/bub_gb_viEMAAAAYAAJ https://archive.org/details/022_GiornaleUdine_25-01-1904/mode/ https://archive.org/details/almanaccoitalian1909floruoft/mode/ |
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