Michelangelo Jesurum, il
“Michelangelo” del merletto Michelangelo Jesurum, fondatore
delle Manifatture Merletti a Venezia, Burano, Pellestrina, Chioggia (30
ottobre 1843- 25 maggio 1909)
Alfredo
Melani in un suo articolo scrisse: “Tanti
anni fa nell'isoletta di
Burano la contessa Adriana
Zon Marcello e
la principessa Maria Chigi
Giovannelli col mio
povero amico Paulo
Fambri raccolsero l’eredità
della Cencia Scarpariola
come quell'eredità si offriva. Si
consideri che quegli
anni non sono i tempi presenti
in cui le
eredità d'arte si ricevono
con altri criteri
di indipendenza che
i silenzi estetici d'una
volta respingevano. Non
importa ricordare che
l’impresa di Burano
va distinta dall' altra
di Pellestrina a
cui si deve
pur volgere il pensiero
meravigliato. Le due
iniziative sono diverse trattandosi da
un lato di
pizzi ad ago,
dall'altro di pizzi a
fusello; e niuno
potrebbe narrarci la
differenza fra esse meglio
del Fambri (poteva
vivere ancora !) che a
Pellestrina perdette una
sostanza (intorno a 200.000 L.)
e a Burano
raccolse il coraggio per tuffarsi
nella famosa Manifattura
veneziana dei merletti. La
iniziativa del Fambri,
della contessa Marcello e della principessa
Giovannelli corrisponde
all'epoca in cui
Michelangelo Jesurum a
Venezia intese a ravvivare
l'industria del fuselli.
Egli nel 1874 ne
fondava una scuola
a Pellestrina, di
cui il Fambri fu
il capitalista principale
e lo Jesurum
il direttore tecnico. Si
tratta della nominata
Manifattura veneziana dei merletti
che si spartì
e si allargò
nelle Scuole di Venezia,
Burano, Chioggia: essa si
mal corrispose alle speranze
che il Fambri
vi perdette, come
dicevo, una sostanza, si
dice in gran
parte per infedeltà amministrative; e
Jesurum trovò nel
crollo della fabbrica, dalla
quale erasi ritirato,
la sua fortuna.
Dimessosi Jesurum dalla
direzione tecnica, la Manifattura
continuò con un
presidente facoltosissimo, il
barone Franchetti; ma
dopo qualche tempo il
Fambri abbandonò tutto,
desideroso soltanto di salvare
quanto più si potesse
da un disastro ormai inevitabile. Insomma
lo Jesurum ricomprò a
buone condizioni i
resti della rovina,
seppe riunirli e fortificarli, e
oggi l'Jesurum gode
la fama di « re
dei fuselli ». Egli
vanta al presente
sette Manifatture con specialità
di pizzi policromi
i quali si fabbricano
a Venezia e
caratterizzano Jesurum e la
sua intraprendenza , che
oggi raduna varie migliaia di
pizzettaie. Sussidio pratico
e intellettuale: un Museo
merlettarlo venne ideato
e aperto pochi anni
sono dall' Jesurum
in una sua
palazzina di Pellestrina e
qui sono riuniti
pizzi antichi e moderni,
modelli di costumi
e arredamenti ove
i pizzi viepiù seducono
nella loro «azione»
decorativa, vivo commento di
bellezza merlettaria, curioso e
educativo, ispirato da
alto amore alla
nostra arte. E Jesurum
estese i centri
alla vendita aprendo
un grande negozio a
Roma ad esaurire
agevolmente la sua produzione
alimentata da varie
scuole di Venezia e
Burano di Pellestrina
e Chioggia.
A seguire possiamo vedere
alcune locandine e manifesti pubblicitari storici della Ditta Jesurum, ed un
articolo di Mario Morasso che esprime tutta la sua solidarietà al merletto e
alla ditta Jesurum con competenza e dovizia di particolari. Una testimonianza
storica e preziosa, unica, da leggere con attenzione e si potrà capire quanta
passione, quante idee, quanta energia, Michelangelo Jesurum ha posto in tutta
la sua attività imprenditoriale, in tutti i suoi merletti.
Runner disegnato da Giulio Rosso, 1927, eseguito
con la tecnica ad ago. Esposto alla terza Biennale di Arti Decorative a
Monza nel 1927
L’ARTE
DEI MERLETTI A VENEZIA di Mario Morasso, 1895° Tessuto
leggero aereo; opera più delicata di tutto il lavoro umano; capricci;
fantasie; volute di profumo figurate materialmente ma con ogni sottigliezza
originale; ambiguo istante fissato in cui ciò che è inafferrabile comincia a
prendere sostanza e forma; sospiro di bocca sopra un lucido specchio, quale
elogio, quale una pura poetica immagine ancora non fu espressa per celebrare
la trasparente bellezza del merletto? E voi mani esperte e pazienti, intente
nella creazione lenta ed acuta, sovente obliate dalla ammirazione per la cosa
creata, mani femminili che tracciate un disegno con un solo nesso, la lode
che tante volte vi fu attribuita può ancora rinvenire una nuova corona da
dedicarvi? Io non so rispondere precisamente. Non so se sia possibile
scoprire pregi nuovi e fascini ignorati nei fiori costrutti dall’ago, o forme
verbali sconosciute per glorificarli, soltanto io so che nell’ammirare la
preziosa trina la mia commozione è profonda e sempre rinnovata, e che io dirò
quello che essa mi suggerisce, nè mi dorrò se avrò ripetuto la frase altrui,
poiché sicuramente la avrò animata del mio fervore. Io
ricordo minutamente, allorquando nello Stabilimento Jesurum una graziosa fanciulla
mi mostrava adattandoli sulla persona o facendoli scorrere sopra il velluto
nero tutte le diverse specie di pizzi, le impressioni, i richiami, le
considerazioni che succedevano in me incessantemente, mentre gli occhi
restavano assorti. Era
tutta una serie di pensieri e di commovimenti contrastanti che si agitavano
nel mio spirito. Per prima cosa io pensava alla quantità ingente di lavoro
umano compendiata in così breve tratto, in opera così impalpabile e vaporosa;
per mesi e mesi infaticabilmente una esistenza era stata completamente
consacrata in quella azione, e per uno sforzo così diuturno e greve risultava
un prodigio di esilità e di leggerezza diafana. E nello stesso tempo tutta
l’aureola romantica posta dalla letteratura attorno al pizzo mi si illuminava
vivamente. Io non
sapeva trattenermi dal pensare alle magiche abilità delle fate disegnanti
sull’azzurro dei cieli con la rugiada la trina famosa per la principessa
favorita; dal pensare agli insigni collari che circondavano le superbe leggiadrìe
delle regali amatrici; dal pensare alle misteriose pezze di merletto
tramandate di generazione in generazione, portando rinchiuso fra esili file
un pauroso destino. Poi la
visione immediata del bel pizzo nuovo e la dolce parola della presentatrice rompevano
il sogno, mi designavano la realtà non meno profonda e piacente del sogno.
Sul pizzo disteso correva un agile ondeggiare di fiori e di fronde. Nulla
poteva concepirsi di più raffinato e di più bizzarro di quel meraviglioso
intrico di fili, che un soffio faceva rabbrividire e dietro al quale appariva
il nero luccicore del velluto, eppure contemporanea mente sorgeva l’illusione
ili essere in cospetto di una trama essenziale delle cose e della vita, di
vedere uno schema purificato mondato delle gravezze e delle opacità della
materia, un disegno essenziale ricavato dal secreto degli esseri. Quel fiore
non mi si svelava nel primo intuito, nel suo tipo elementare sul quale la
natura avrebbe posto dopo linfe, cellule, fibre e colori? Ed
infine ritornava la mente alle mani industri continuamente moventisi nello
stesso tratto, talché non se ne discerne nè il gesto nè l’avanzare, e mi
sembravano occupate nell’opera più artificiosa, più innaturale consentita a
mano umana; era quello invero un prodotto ricavato soltanto dal genio
dell’uomo a cui niun altro fattore aveva contribuito; quando improvvisamente
l’opera compiuta si palesava con aspetti eguali a ciò che la natura ci offre
nei suoi inconsci impeti creativi. No, non
era più un artificio; quelle mani instancabili creavano naturalmente
inconsapevolmente per una loro intrinseca virtù feconda siccome creano le
forze perenni della natura, come le onde volgenti e le acque cadenti si
circondano di trine di spuma sempre rinnovate, come le nubi si svolgono con
un merletto infinito sull’orizzonte, come la neve e il ghiaccio adornano dei
più difficili rabeschi gli alberi spogli e le povere capanne, come le rondini
ammorbidiscono il nido ove si perpetua la vita. E saliva in me fervida
l’ammirazione per le artefici oscure ed anonime, traenti dalla stirpe la
sapienza istintiva della bellezza per chi avea in loro svolta ed educata tale
virtù insigne, per chi ne aveva guidato le prime esplicazioni, per chi la
aveva fatta rifiorire, dopo lunghi anni di decadimento, incitando all’opera,
organizzando il lavoro modernamente, rinnovando ed affinando il prodotto,
diffondendolo e facendolo degnamente amare e valutare nel mondo. Nell’ampio
salone centrale dello Stabilimento, dove io stava, alle pareti in vetrine
ripiene e sui tavoli ricoperti di velluto in grossi cumuli si ammassava, si
offeriva, attraeva la complicata, la sontuosa ricchezza di mille diversi
merletti e ininterrottamente
all’intorno si agitava e si mutava una folla signorile cosmopolita, estatica
affascinata avida, venuta a inchinarsi al nostro genio ed a portarci il suo
oro. Ma
tutte queste sono forse vecchie istorie ben note! Forse; ma non tanto quanto
si crederebbe, se ancora è possibile che su periodici esteri si pubblichino
errori e sbagliate notizie, come i seguenti, apparsi tempo addietro nella Woche,
riferiti pure da qualche rivista italiana. È una
donna che scrive, la signora Dorotea Göbeler, e l’articolo ha per titolo: Pizzi
su tutta la linea. I merletti veneziani sarebbero……slesiani?*: «
Ormai non si può pensare ad una elegante toilette senza ornamenti di pizzi.
In lievi pieghe si stendono sulle braccia e sul dorso, cingono come una
graziosa cuffietta il capo della matrona, s’inanellano intorno alla veste
vaporosa della fanciulla. Là dove il denaro non forma una questione, si
preferiscono a tutti, i cosiddetti « merletti veri » e tra questi nel favore
della moda, stanno sopra tutti i veneziani. È vero però che quanto oggi viene
in commercio sotto il nome di Points de Venise non ha
più nulla di comune, tranne il nome, con la città dell’Adriatico. Sono quasi
senza eccezione manufatti tedeschi e si fabbricano nella Slesia, specialmente
a Hirsckberg e nei dintorni. Le imitazioni però non sono inferiori agli
antichi originali. Tutti i motivi che sono stati eseguiti, secoli sono, dalle
geniali figlie della città dei dogi rivivono lietamente nei nuovi prodotti. » Tante
parole altrettanti spropositi o volute denigrazioni contro di noi e le
industrie e le arti nostre. Non sembra possibile che con tanta leggerezza si
possano enunciare affermazioni simili così inesatte e dannose, le quali
contraddicono apertamente la verità più comune, quella che i fatti di ogni
giorno pongono a ognuno sotto occhio. Certo la scrittrice non è stata mai a
Venezia, e si figura probabilmente una Venezia languida e misera, riflesso
soltanto delle grandi memorie, quale poteva essere un mezzo secolo addietro,
donde la sua risoluta dichiarazione che a Venezia non si fabbricano più
merletti e che i merletti veneziani vengono dalla Slesia. Ora se
malgrado tutto, malgrado gli sforzi nostri per farci estimare come meritiamo
all’estero, malgrado l’innegabile e immenso progresso conseguito da noi nelle
arti e nelle industrie, malgrado la corrente innumerevole e sempre più fitta
di forestieri che ci visita e che è ben costretta a ricredersi su molti
pregiudizi sfavorevoli, si possono affermare cose tanto enormi e queste
possono ripetersi anche in Italia, senza che sorga una violenta protesta,
vuol dire che non sarà del tutto inopportuno anche l’insistere su quello che
fu già detto per far conoscere ben addentro questa magnifica arte del pizzo,
così singolare come quella che aduna i più alti pregi della creazione
artistica e la più prolungata e attenta applicazione del lavoro manuale. Io
ben mi propongo tale scopo, lieto se anche in minima parte contribuirò a
illustrare e a riconfermare il nostro primato. Particolare
del dipinto “Merlettaie a Pellestrina”, Raffaele Mainella Niun
dato storico ci schiarisce l’origine del merletto, la genesi di questa strana
opera che non si sa se meglio chiamare arte o industria. Se si vuole spingere
l’indagine oltre la notizia storica, dobbiamo naturalmente procedere per ipotesi,
soccorrendoci con l’analisi dei vocaboli e con le analogie e le probabilità
che appariscono più convenienti. Veramente si dovrebbe cominciare col
definire che cosa si intende per merletto; si dovrebbe dire che merletto
significa ogni lavoro di filo di lino o di seta, di cui le trame si svolgono
in modo continuo senza mai tornare addietro; ma non sarebbe questa una
pedanteria? Quale è la dama a cui la parola merletto non rievochi la visione
precisa della cosa significata? Se la
definizione è superflua, non è superfluo lo accennare all’indirizzo da
tenersi nella ricerca delle origini. Qualsiasi oggetto d’arte, di lusso, di
ornamento, che rappresenta cioè un impiego di lavoro umano sottratto a fini
immediatamente e materialmente utilitari, non fu tale ai suoi inizi; è quasi
certo che in origine deve aver corrisposto ad una necessità o per Io meno
deve essere sorto modellandosi sopra quanto si faceva per adempiere ad una
delle necessità della esistenza. E il merletto non si sottrae a questa legge;
esso non apparì già, sia pure con forme più semplici e rozze delle attuali,
come un esclusivo ornamento, soprattutto il suo originale modo di costruzione
e la sua caratteristica struttura furono il prodotto di una invenzione
maturata completa nel cervello umano riflettente su! Proposito di fare il
merletto o il frutto del caso; bensì esso derivò da una lenta e progressiva
elaborazione di qualcosa che si faceva a scopo utile, che doveva essere
necessario. Movendo
da questa premessa vi è chi collega il merletto alle riparazioni occorrenti
alle vesti dell’uomo consunte dall’uso e dal tempo. I primi vestiti non
avevano probabilmente altro scopo oltre quello di ripararci dal freddo e di
difenderci in genere dagli agenti esterni, ed il bisogno di conservare questi
vestiti, di accomodarli, di rattopparli dovette farsi sentire prima del
desiderio di adornarli. Appare quindi probabile che dal fatto di
riavvicinare, di riunire i margini strappati delle stoffe e di ripassarne e
rinforzarne con trapunti le parti consunte, fatte sottili dall’uso, sia sorta
la prima idea dell’ornamentazione, specialmente ai margini degli abiti;
ornamenti eseguiti mediante un filo continuo incrociantesi e attraversante il
tessuto a una distanza variabile, ora però estesa così da apparire come una
allacciatura, al pari di quelle che erano in moda in taluni costumi ricchi
del seicento e che ancora si conservano in qualche parte dell’abbigliamento
femminile, ora più accorciata e fitta così da dar l’aspetto di un reticolato,
o da fingere un più rado tessuto, talché dalla parola racconciare si
potè formare poi la parola ricami. E non diversamente si deve
essere pervenuti a quello speciale adornamento che è la frangia e da questa
al gallone, all’orlatura. Gli abiti le stoffe per l’uso e lo strofinio si
laceravano, si sfilacciavano ai bordi, donde la necessità o di intrecciare le
sfilacciature o di contenerle con una fitta cucitura o con l’applicazione di
una striscia di stoffa tutto all’intorno. Ed ecco che subitamente si ha la
visione delle frange, dei galloni e dei merletti che adornano i bordi
dell’abbigliamento, specie delle maniche, che guarniscono i lembi delle cravatte,
i margini di uno scialle, di un fazzoletto
ecc. Chiaramente designano questa origine le parole frangia, merletto (i
merli delle mura) e in francese dentelle, o i loro sinonimi in altre lingue,
per indicare in genere ogni ornamento posto all’estremità di una parte
dell’abito o di un dato oggetto e che termina in numerose punte. L’industria
dunque tanto raffinata e lussuosa, che ben può dirsi arte, del merletto,
verrebbe dalle prime necessità della vita, dai primi guasti arrecati dall’uso
negli abbigliamenti grossolani dell’uomo di altre età. Ammesso ciò, lo
sviluppo probabile della fattura sarebbe stato il seguente: dapprima il
ricamo a fondo pieno e quindi ritagliato a giorno , poi
l’ornamentazione ai margini dei vestiti o di altri oggetti, ritirando il filo
del tessuto medesimo e i ricami ornamentali fatti ad ago non su un’altra
stoffa ma sul fondo istesso dell’oggetto; dapprima i ritagli e le sfilacciature
libere, poi intrecciate le une con le altre sui bordi, poi le strisce formate
da fili diversamente intrecciati per essere applicati lungo gli orli dei
vestiti o degli altri oggetti, come appunto sono i pizzi a fuselli. Da qui
le due grandi categorie di merletti, quelli ad ago e quelli a fuselli, che
comprendono tutte le varietà minori, tutto quanto si può fare in questo
campo. Questa
spiegazione delle origini generalmente accettata non mi appaga interamente.
Se essa è valevole a illuminarci specialmente sullo stadio necessario per cui
deve essere passato il merletto prima di diventare un ornamento di lusso per
soprattutto stante, se essa soddisfacentemente ci rischiara intorno
all’applicazione del merletto all’abbigliamento, se infine esaurientemente
essa ci dichiara la tecnica delle frange e del merletto a fuselli, ci lascia
incerti sulla essenza, sull’intimo meccanismo, su ciò che costituisce la
peculiarità tipica del pizzo. In altre parole, se la spiegazione riferita ci
accontenta per quanto si riferisce al frastagliamento, poco ci dice sul
traforo sulla trasparenza che del pizzo è la principale distinzione. Come
può essere sorta l’idea di questo tessuto rado traforato inutile per i
bisogni della vita, dalla semplice copertura delle membra alla protezione
contro il freddo o contro altre impressioni esterne, di questo tessuto
fragile, poco adattabile agli usi comuni? Si dice: «Dal diradamento operato
dal consumo sulle stoffe». Ma questo non può essere, sia perchè è difficile
che un ornamento prenda proprio a modello una cosa ornai spregevole e inutile
come un panno consunto, sia soprattutto noi troviamo contemporaneo dei più
antichi panni un tessuto speciale lieve rado traforato ornamentale (che
contiene cioè molte delle caratteristiche del pizzo) che è il velo. Se mi è
consentita la parola, vorrei dire che il velo mi sembra quasi il substratum,
la base del pizzo, e può essere considerato come il fondo sul quale il
merletto svolge le sue sottili e artistiche figurazioni. Il merletto infatti,
quando si faccia astrazione dal disegno, può concepirsi perfettamente come un
velo. Inoltre
io mi sento invincibilmente portato a ricordare un altro oggetto, e questo
non più ornamentale ma praticamente utile, la rete, di cui il tessuto può
ritenersi l’antecedente rozzo del velo e poi del pizzo; poiché è certo, come
dimostrano gli scavi fatti ove esistevano villaggi lacustri preistorici, che
la rete si costruiva e si usava, presso a poco eguale a quella odierna, prima
assai che l’umanità si fabbricasse veli e pizzi. Talché nel tessuto traforato
veramente primitivo e originale, e forse anteriore ad ogni altro, della rete,
io inclinerei a vedere se non la fonte, per lo meno la guida, l’indicazione o
la materia prima, l’elemento generale del velo e del merletto. La rete è
indubbiamente l’oggetto più antico in cui il tessuto rado e traforato trovi
una applicazione rispondente a fini di pratica e immediata utilità. E nella
descrizione che si legge nella Bibbia del tempio di Salomone si parla già di
cortine fatte a reticelle, e senza dubbio si allude a un tessuto trasparente
come un velo, se non traforato come un merletto in quel passo dell’Iliade ove
si narra che Elena ricamava una scena di battaglia in tal guisa che il
disegno si scorgeva egualmente da ambedue le parti. Con questo non intendo,
ripeto, affermare che il pizzo derivi dalla rete, soltanto ritengo che il
pizzo, sorto in tempi più vicini a noi e con una industria dell’abbigliamento
più progredita, abbia nella rete trovato una ispirazione, si sia giovato di
quel tessuto che a niun uomo sarebbe mai venuto in mente di inventare
nell’àmbito dell’abbigliamento. Ed a persuadermi che questa mia opinione non
è troppo avventata mi si porgono questa volta due rilievi storici. Se
unicamente dalle necessità del vestiario il merletto avesse tratto origine e
ispirazione, siccome queste necessità debbono essersi inevitabilmente
verificate da per tutto ove si portavano abiti, la fabbricazione del merletto
sarebbe per lo meno cominciata ovunque, in ogni paese, sui monti e in riva al
mare. Ma questo non è, poiché fino dal primo apparire del merletto, fino
dalle prime tracce che noi ne abbiamo, noi lo troviamo indissolubilmente
associato ad alcuni, a pochissimi centri di fabbricazione. Soprattutto si può
obbiettare che questo dipenda dalla difficoltà di aver la materia prima o di
effettuare la fabbricazione. La materia prima è il filo, e questo si trova in
ogni luogo, come in ogni luogo troviamo di conseguenza la fabbricazione della
tela e dei tessuti; in quanto alla abilità fabbricatrice, essa non implica
sicuro facoltà esclusive di un dato popolo o di una data regione. Di una
importanza ancor più grande per il mio asserto è il secondo fatto, quello che
dalle origini fino ad oggi i merletti più celebrati vengono da centri e da
popolazioni marittime, da civiltà eminentemente marinare — Venezia e l’Olanda
—, che anzi Venezia istessa viene da taluni storici indicata come la culla
del merletto, e che infine le operaie dei merletti sono precisamente oggi
ancora le donne dei pescatori. Sia a Chioggia, a Burano, a Pellestrina, sia
nella riviera ligure, sono mogli figlie e sorelle di pescatori e di marinai
che sulla porta delle case, sulla spiaggia, ove le reti asciugano al sole,
intente miniano con i fili e con l’ago o descrivono intrecciando coi fuselli. E
l’argomento mi pare decisivo. Sono
arrivato così alla parte storica, dopo un lungo indugio nel periodo delle
origini, indugio che non fu forse inopportuno, trattandosi di notizie men
note, indugio che verrà compensato dalla brevità sommaria dei cenni storici
che ora aggiungerò e che mi è consentita dalla notorietà, che mediante
innumerevoli studi recenti, ha acquistato la storia dei merletti. Una intera
biblioteca esiste ora al riguardo, composta di opere antiche e moderne, di
lavori dì gran mole e di monografie trattanti qualche speciale questione,
epperò è del tutto inutile il rifarsi da capo. Basta
qui rilevare che la storia dei merletti ha la sua sede e il suo quadro di
svolgimento a Venezia ed è intimamente connessa con la storia di Venezia.
Poiché se viene storicamente contrastata ma non negata a Venezia la gloria di
aver inventato il merletto, di esserne stata la prima culla, è del tutto fuor
di questione che essa ne fu la patria ideale, la patria per eccellenza, che
nella fabbricazione del merletto Venezia raggiunse e serbò a lungo il primato
e che fu maestra a molte nazioni, specialmente alla Francia. Non tutti però i
generi e le varietà (e per dir più propriamente i punti ) del merletto
sorsero nello stesso tempo e si fabbricarono contemporaneamente. Il meno
complicato è uno dei più antichi generi di merletti ad ago, è quello
risultante dal punto tagliato. Nel Museo municipale di Venezia si conserva un
delizioso Carpaccio, di una freschezza e di una profondità senza pari, nel
quale si ammirano due donne in ricchi abbigliamenti del secolo XV. Una di
esse porta sull’orlo della veste una leggera trina bianca simile a quella che
si ritrova nella “Corona” del
Vecellio e in molti altri lavori simili, in cui tale trina è precisamente
chiamata punto tagliato. Dopo il secolo quindicesimo e durante il decimosesto
il punto tagliato godette grande favore; Matteo Pagano pubblicava nel 1558 “la
Gloria et l’honore dei ponti tagliati et ponti in aere”, ed
era un altro veneziano Federico Vinciolo che portava al più alto grado la
fama di questo punto in Francia, allorquando faceva stampare a Parigi nel
1587 i “Singuliers et nouveaux pourtraicts et ouvrages
de lingerie”, ove si trovano specialmente disegni di punti
tagliati. Questo punto, precisamente soprattutto più antico degli altri, già
fiorente quando gli altri principiavano, decade e perde il favore quando gli
altri suoi rivali arrivano a tal perfezione, che esso non può sperare di
attingere. E gli altri punti di cui troviamo menzione e testimonianze nel
secolo XV sono: il punto a reticella che è nominato da Giacomo Franco nella
“Nuova invenzione di diverse mostre” stampata nel 1596, inoltre alcune
pitture di Gentile Bellini esistenti all’ Accademia di Venezia ci
rappresentano donne con il collo e il petto coperti di pizzo che si avvicina
al punto a reticella ; anche esso cadde in disuso per i capricci della moda. Più
rinomato è il punto in aria, che si trova ricordato nell’ “opera nuova” di
Giovanni Antonio Tagliente stampata a Venezia nel 1530, ma i primi modelli
del vero punto a giorno ci sono riferiti nel 1557. L’inventario del mobiglio
di Giovanni Battista Valier, vescovo di Cividale e di Belluno, redatto nel
1598 porta cinque pezzi da fornimento da letto de
ponte in agiere.... lavorieri antigi (cinque pezzi di arredi
per letto in punto in aria.... lavori antichi). Il punto
in aria dovette essere compreso nelle leggi
suntuarie della Repubblica. Durante gli anni 1616, 1633, 1634 i
Provveditori alle Pompe lo proscrissero da Venezia sotto pena di una ammenda
di 200 Ducati, ma la moda lo mantenne in favore malgrado ogni legge, forse in
causa dello stesso divieto della legge. Il collare eseguito dalle dame di
Venezia servendosi di capelli bianchissimi e destinato a Luigi XIV in
occasione della sua incoronazione era fatto in punto in aria. Il
punto tagliato a fiorami per le
sue forme rilevate, per il suo aspetto di morbido bassorilievo acquistò in
breve una reputazione superiore a quella degli altri punti che si eseguivano
in Venezia. Esso rappresenta nell’arte del pizzo il riflesso del barocco nel
suo migliore intento decorativo. L’ornamentazione vi diventa intensa; la
trina è sovracarica di magnificenze; esso è il preferito negli abbigliamenti
solenni dei più eminenti veneziani alla metà del secolo XVII e forma il
principale ornamento delle chiese e degli ecclesiastici. Tra i
punti più celebrati e più fini devesi ricordare quello a rosa
o a roselline, di cui Venezia può attribuirsi la priorità, tanto
che esso veniva compreso sotto il nome generico di punto di Venezia, quale
indicazione del paese di provenienza. È uno squisito lavoro in cui l’artefice
sembra che tracci le sue figure con ghirlande di rose, e il pizzo nel suo
complesso ci porge l’immagine di un fitto rosario in fiore. Del punto
di Burano e del punto di Venezia non si
ha notizia che in un tempo molto posteriore. La Gazzetta veneta de! 1792
segnala per prima il punto di Barano di cui, dice, si faceva un gran
commercio nei tempi antichi. Le prime traccie del punto di Venezia si hanno
al principio del secolo XVII. I fastosi vestiti di allora richiedevano
ornamenti altrettanto magnifici in armonia con la splendida ricchezza dei
broccati e dei velluti, e i disegnatori escogitavano tosto i modelli più
graziosi e suntuosi. Introdotto in Francia, questo punto vi acquistò in breve
grande voga, tanto che Colbert,
intuendo i profitti che si potevano ricavare da questa industria, invitò e
attirò in Francia operaie veneziane per insegnarvi il segreto del loro
prezioso lavoro. Il
merletto a fuselli è pure uno dei più antichi e di
cui si hanno lontane tracce. Esso forma una vera specialità veneziana; ed a
questo proposito noto per incidenza che mentre il merletto a fuselli è quello
che si avvicina di più, e come apparenza e come sistema di fabbricazione,
alla rete, è pur quello che si fabbrica soltanto nei nostri paesi marittimi,
e nell’Estuario di Venezia e nella riviera ligure dalle donne dei pescatori
oggi ancora, ed è quello che per la perfezione a cui giunse in Venezia può
considerarsi come un prodotto esclusivamente veneziano. Del
punto a fuselli oltre a notizie anteriori
incerte si ha la menzione sicura nella citata opera di Giacomo Franco Nuova
inventione stampata a Venezia nel 1596. Del
resto bisogna procedere molto guardinghi nella denominazione dei merletti,
poiché in questa nomenclatura, come risulta dai diversi inventari antichi e
recenti, esiste una intricata confusione. Per esempio, quello che oggi si
conosce per punto di Burano era chiamato punto di Venezia; il punto tagliato
a fiorami è molto noto all’estero come punto di Spagna; certi merletti molto
fini di Burano si chiamavano anche point de France o point de Paris, ecc. Punto
tagliato a fiorami a rilievo Punto
a rosette o Rosaline, esposto e premiato a Parigi Da
questi brevi cenni sulle diverse qualità di merletto, ognuna delle quali ha
la sua tradizione gloriosa, i suoi artefici rinomati e i suoi capolavori
celebrati, ma formanti tutte insieme come la primaverile fioritura di uno
stesso campo, si ha un concetto complessivo di come si tramandò e si ampliò
l’arte del pizzo. Già in fiore al principio del secolo XVI, essa sembra sorta
per apprestare i suoi raffinati ornamenti alle ricchezze ed alle eleganze
della grandiosa e doviziosa civiltà in cui Venezia si espande. Come le arti vere
e proprie e come le altre arti del lusso, quella del pizzo non poteva fiorire
e perfezionarsi in una civiltà povera, in una società occupata a provvedere
all’esistenza o a costituire il suo dominio, bensì in una civiltà ricca ed
insigne in cui le proficue opere e le alte gesta compiute permettessero di
goderne i frutti, in copia così abbondante da poterne destinare molti al solo
intento di abbellire la vita, di renderla più gaia e più piacente e di
magnificare con la profusione e con il lusso sé medesimi. Anzi più di
qualsiasi altra arte di lusso, quella dei pizzi ha bisogno per toccare la
perfezione di queste condizioni, poiché i suoi prodotti richiedono, per un
lato, una ingentissima quantità di opera umana e per un altro lato importano
di conseguenza la spesa di una forte somma per colui che vuole fregiarsene.
Molte braccia disponibili quindi e molto denaro, oltre le braccia e il denaro
occorrenti nelle cose necessarie, ecco due elementi che non si trovano se non
quando un popolo ha raggiunto una delle vette del suo destino. Oltre a
questi elementi materiali bisogna pure tener conto di altri elementi, di
altri fattori, di quelli ideali importantissimi in un’ opera che come questa
del pizzo riveste il carattere di opera d’arte. Non è quindi fuor di luogo il
ritenere che all’eccellenza dei merletti concorrono e l’inspirazione
artistica e un alto senso decorativo e un gusto raffinato non solo per
idearli, ma per comprenderli e per trarne compiacimento profondo dall’uso.
Per la bella dama colta e spirituale un prezioso merletto è come una
manifestazione dell’invisibile fascino della sua anima. Condizioni
intellettuali queste che parimente non si verificano se non in tempi di
elevata e fastosa civiltà. Talché si può subito avvertire una speciale
relazione fra lo sviluppo dell’arte del pizzo e il movimento della civiltà,
relazione di cui ora vedremo più da vicino il carattere. Infatti
insieme all’ampliarsi maestoso della fortuna di Venezia, mentre la civiltà
veneziana si avvia al suo massimo fulgore e la vita si fa più opima, più
signorile e più voluttuosa, l’arte dei pizzi tocca la sua perfezione, sale
nel massimo pregio e raggiunge la più larga estensione. Non si accresce più
la grandezza politica della Repubblica, ma Venezia sfrutta il suo enorme
patrimonio, le sue sterminate ricchezze per lo splendore della sua esistenza,
ed è da tutto il mondo che si muove in pellegrinaggio verso la festa
magnifica e continua della vita veneziana, ed è da tutto il mondo che si chiede
a Venezia ciò che abbella la vita. Sono questi i tempi che San Marco domina
per il fasto e per le eleganze, e che altari e prelati, dame e regine, nobili
e imperatori si fregiano dei merletti veneziani. Per
altri due secoli, per il secolo decimo settimo e quasi fino al termine del
secolo decimottavo, l’arte dei merletti permane floridissima, migliaia e
migliaia di mani delle leggiadre fanciulle delle lagune sono in moto per
adornare dei lievi tessuti templi e palagi, le favorite regali e i cavalieri
alla moda; celebri pittori disegnano i motivi dei pizzi, e l’arte crea e
ricrea miriadi di capolavori estesi e minuscoli quasi composti di fiato:
tutti i fiori, tutte le fronde, tutte le ondulazioni, i rabeschi che traccia
il sole fra l’erbe o un insetto nel volo le sono acquistati; essa crea un
intero mondo pallido, bianco, trasparente, ambiguo, indefinibile di filo, o
tesse la trina come un eterno filugello che avvolgerà delicatamente
leggiadramente tutte le cose del Mondo. Dopo
una così bella signoria secolare, che trova anzi un suo ultimo sprazzo nella
civiltà di decadenza,quando l’adornamento e tutte le arti del lusso e del
diletto prendono il sopravento su quelle necessarie ed utili, quando sembra
che nella imminenza presentita della prossima fine, in un solo inpeto, in un
solo rogo di ebbrezza, vogliano gli uomini ardere ogni bene, l’arte dei
merletti precipita insieme al crollo della grande repubblica. E come
la sorte di Venezia sembra troncata in eterno, così pure irreparabile sembra
la caduta dell’arte del pizzo. Infatti fino a tanto che perdurano la servitù
politica e la costrizione delle anime, fino a tanto che lo straniero cerca di
improntare a sé il genio nostro e questo giace sterile, e la città si
spopola, langue, e i monumentali palazzi rovinano chiusi e una tetraggine
inerte incombe ovunque e la desuetudine disavvezza l’occhio dalla bellezza,
lo spirito dalla finezza, e rende le mani ignare grevi e lente, anche l’arte
dei merletti giace abbandonata come estinta per sempre. Celebri restano in altri
paesi i merletti veneziani, ma la loro prodiga ed eccelsa fonte appare
inaridita. Per
fortuna, e politicamente e artisticamente, si tratta solo di apparenze di
morte. È un torpore donde una scintilla di libertà sarà sufficiente a far
divampare nuovo e lieto il fuoco della vita. Con il fermento per
l’indipendenza altri fermenti vitali si suscitano, e appena Venezia risorge
libera nella patria italiana comincia a ridestarsi l’arte dei merletti. Siamo
nel 1866, il torpido silenzio neppure è durato un secolo. Ed
entriamo così nella nuova èra del merletto, non meno splendida dell’antica in
cui essa si allea l’immenso fervore della grande industria moderna. Il
conoscere le origini di questo benefico risorgimento forma per noi ragione di
vera compiacenza e nello stesso tempo è doveroso omaggio a coloro che ne sono
stati gli illuminati e fiduciosi fautori. Tre
nomi essenzialmente sono collegati al rifiorire dei merletto nelle nostre
lagune, quelli della contessa Adriana Marcello, del commendatore Michelangelo
Jesurum e di Paulo Fambri, a cui si deve aggiungere quello di colei che di
ogni nobile sforzo è patrona e incitatrice, Margherita di Savoia. Ognuno di
questi spiriti provvidi e tenaci lavorò in un proprio campo e con mezzi
propri, tutti concordando nel solo intento di restaurare un’arte mirabile,
una tradizione gloriosa ed una fonte abbondante di ricchezza. Contemporaneamente,
e la coincidenza è invero notevole, quasi che ad essa avesse presieduto una
fatalità imprescindibile, come se le volontà diverse degli uomini fossero
state spinte dalla forza delle cose; nello stesso momento vunqu e presso che
nella stessa maniera, ma senza alcun preventivo accordo, senza alcuno scambio
di idee, in cui la contessa Adriana Marcello dava tutta la sua opera per far
riviveie a Burano l’arte dei merletti ad ago, il commendatore Michelangelo
Jesurum faceva altrettanto a Pellestrina per i merletti a fuselli. E dell’una
e dell’altra benemerita iniziativa era caldo valido amoroso cooperatore
materialmente e moralmente con i consigli del suo intelletto geniale e con
sacrifici pecuniari Paulo Fambri. A
Burano si era trovata una vecchia donna settuagenaria, Cencia Scarpariola,
che lavorava in pizzo e serbava così la tradizione dell’antico punto di
Burano. Ma la Cencia se sapeva fare il merletto era però incapace di
insegnare. Fu incaricata quindi la signora Anna Bellorio maestra alle scuole
di Burano di vedere e studiare come la Cencia lavorava e di apprenderne il
processo. La Bellorio poco tempo dopo riusciva a insegnare a otto allieve
quello che avea potuto imparare. Da questo primo nucleo è sorta e si è
sviluppata la scuola di Burano dei merletti ad ago, intorno a cui tanto fu
scritto ultimamente. Men
noto è quello che avvenne per i merletti a fuselli, il punto veneziano
tipico. Questi
merletti prima del 1866 si facevano a Pellestrina in quantità così scarsa e
in modo così imperfetto, che non godevano più di alcuna considerazione
soprattutto formavano oggetto di alcun desiderio; essi venivano venduti da
due donne nelle campagne attorno a Venezia. Di merletti questi lavori non
avevano che il nome, più propriamente potevano dirsi labirinti,
aggrovigliamenti inestricabili di fili, uniti rozzamente sulla traccia di
qualche linea ingenua meglio che decorativa e attorno a pochi fori inegualmente
sparsi sulla carta conduttrice avvolta sul tombolo, da una vecchia contadina,
la quale continuava a molestare a deformare qualche vecchio disegno ridotto
ormai irriconoscibile. Nulla
più di così trovò lo Jesurum quando si recò in quel tempo a Pellestrina, ma i
suoi occhi esperimentati e il suo animo colto e intraprendente intuirono ben
presto il partito che si poteva trarre da quei lamentevoli avanzi e i germi
fecondi di avvenire che se ne potevano ricavare. Egli prese subito nella sua
casa una buona vecchia, certa Giustina Coja che nell’arte dei fuselli si ad
dimostrava la più intelligente e con lei, che può dirsi la prima operaia del
grande stabilimento Jesurum, cominciò a provare e a riprovare, perfezionando
i metodi e la fattura, suggerendo nuovi modi. Da prima tentò la riproduzione
di qualche vecchio modello tra i più semplici, per giungere poi con lieto
esito ai più complicati. Quando egli potè avere una serie di saggi
sufficiente per sostenere il confronto con gli antichi merletti, diè conto
del suo tentativo ad amici e intenditori mostrando quei primi prodotti che
furono approvati ed ammirati e procacciarono allo Jesurum confortanti
incoraggiamenti a continuare. Egli tornò allora a Pellestrina fondando e
organizzando una scuola che dopo pochi mesi forni buoni risultati, e alla
quale non mancò l’appoggio autorevole di Paulo Fambri. Lo
Jesurum per sviluppare la scuola e l’industria del pizzo dovette risiedere a
Pellestrina per parecchi mesi ogni anno, poiché malgrado il buon successo
fortissimi erano gli ostacoli da superare e gravi i sacrifici e le fatiche da
sopportare. Le maggiori difficoltà erano opposte dalla ignoranza di quelle
povere donne e in genere di quelle popolazioni. Ci volle tutta la buona
volontà, ci volle tutta la instancabile e paziente energia del comm. Jesurum
per persuadere quale era il loro vantaggio a quelle povere figlie e mogli di
pescatori, lasciate fino allora nella più squallida miseria e nella più
profonda ignoranza. Basti il dire che ogni più piccolo cambiamento, ogni piii
lieve progresso, ogni lavoro richiedente un maggiore sforzo di intelligenza
assumevano l’importanza di cose straordinarie e dovevano essere retribuiti
enormemente, più di quanto meritavano. La lotta contro l’inerzia, contro la
consuetudine, contro la routine, la più difficile ed estenuante fra le lotte
fu sostenuta per oltre dieci anni, mentre col metodo e coi modelli apprestati
dallo Jesurum ne sarebbero bastati, in altre condizioni, assai meno, ma
tuttavia la vittoria, conseguita a così alto prezzo, rifulse in fine e coronò
tutti i sacrifici, poiché Venezia e le sue isole potevano davvero proclamare
di aver riacquistato l’arte e le industrie perdute. Ma il
comm. Jesurum non si accontentò di rifare e bene l’antico, volle tentare il
nuovo e nel 1875 inventò i merletti policromi, in cui il colore veniva a
rallegrare per la prima volta la pallida trama di tutte quelle esili
figurazioni di filo. Sopra disegni di fiori, di frutta, di fronde, di
animali, o su pure volute ornamentali il colore si distese con sapienti
sfumature con morbidi chiaro-scuri cosi da dar la impressione di un finissimo
arazzo, di una delicata miniatura. Il giury dell’esposizione di Parigi del
1878 consacrò l’innovazione giudicando i merletti policromi, la sola cosa
nuova apparsa da secoli nella fabbricazione del merletto, e premiandone i
primi campioni con la medaglia d’oro, il pubblico sanzionò il giudizio ed il
premio, accordando al nuovo pizzo il suo favore. A
questo punto si entra nella fase moderna del merletto e si inizia la grande
industria, la quale se delle altre grandi industrie ha adottato alcuni cri¬
teri generali, ha però assunto un tipo specialissimo con norme sue singolari
dovute alla singolarità del suo prodotto, il pizzo, il quale, come già ho
accennato, accoppia alla natura industriale una natura eminentemente
artistica, unica nel suo genere. E mi spiego meglio. La fabbricazione del
pizzo è da taluni ritenuta un’arte, da altri un’ industria, e gli uni e gli
altri hanno torto e hanno ragione, poiché essa soprattutto simultaneamente e
l’una e l’altra, o per meglio dire ha due faccie, l’ una artistica e l’altra
industriale. Dal punto di vista artistico essa è un’ opera rigorosamente
individuale, dovuta a facoltà ed attitudini artistiche sia pure elementari
dell’individuo, facoltà che si riscontrano in grado più o meno eminente che
opportune condizioni ed educazioni accrescono ed affinano. Come i prodotti
dell’arte pura i merletti hanno uno scopo essenzialmente ornamentale e
decorativo e constano di un vero e proprio lavoro artistico che partecipa
delle due arti, della pittura e della scultura e ne subisce le regole
principali; e come i prodotti dell’arte, i merletti hanno la medesima
ricchezza di motivi, di inspirazione, di varietà (sono uno diverso dall’altro
e ognuno ha una fisionomia sua propria) e raggiungono la stessa entità di
valore e di prezzo. Dal
punto di vista industriale se ne può effettuare la fabbricazione su vasta
scala occupando numerosissimi operai, se ne può organizzare la produzione con
una certa regolarità fornendo i modelli, apprestando i disegni, fissando
determinate norme di valutazione ecc. Ma sopra tutto l’essenza industriale
del merletto consiste nella quantità di lavoro effettivo, manuale che in esso
è contenuto. Nel quadro pure vi è una data quantità di lavoro effettivo, ma
non ha che scarsa o veruna influenza nella determinazione del valore del
quadro stesso, valore che viene giudicato in base ad altri criteri, talché un
quadro che richiese due giornate di lavoro può valere infinitamente di più di
un altro intorno al quale il pittore lavorò un anno; in ogni caso è certo che
il valore di un quadro è di gran lunga superiore al valore della quantità di
lavoro effettivo in esso condensato. Nel merletto le cose sono del tutto
diverse, il valore del merletto a mano è il corrispettivo di altrettanto
lavoro rimano che vi fu impiegato, sì come avviene nel più genuino fra i
prodotti industriali ; il prezzo del merletto non è un prezzo di affezione,
ma il costo autentico della mano d’opera. Niun altro prodotto al mondo,
neppure quelli provenienti dalle così dette arti industriali, ha questa
duplicità spiccata di natura, esclusiva del merletto; esso nulla è di ibrido
però; esso è una vera opera d’arte quando lo si consideri nel corso e nel
modo della sua fabbricazione, ed è un oggetto industriale quando lo si ha
dinanzi compiuto, pur non perdendo mai le sue pure qualità artistiche. La
grande industria moderna da canto suo si regge su principii che tutti ornai
conoscono: impiego di capitali rilevanti, riunione in un solo centro della
massima produzione possibile, fusione in una delle molte officine, di tutte
le lavorazioni necessarie a produrre un dato oggetto e i suoi affini;
trasformazione continua per seguire ogni progresso e ogni lusso che migliori
il prodotto, che ne abbassi il costo e che richiami il pubblico; guadagni
minimi e larga vendita rapida con prezzi prestabiliti. Come conciliare queste
necessità della grande industria con la natura speciale del merletto? Quali
di questi principii hanno potuto trovare applicazione nella nuova industria
veneziana dei pizzi? E quali nuovi criteri si dovettero trovare e praticare? Noi ci
troviamo veramente in cospetto di un nuovo organismo, originale e poco
conosciuto in mezzo all’industria moderna; dinanzi a noi sta Io stabilimento
Jesurum, che riverentemente sembra inspirarsi alla maestosità secolare del
palazzo dei dogi ; entriamo, guardiamo attentamente dentro e vi troveremo le
risposte che cerchiamo. L’impressione che prima ne colpisce è la semplicità
unita al bisogno di un lavoro sempre più fervido e di una estensione sempre
più ampia per soddisfare lo sviluppo degli affari, è la florida invasione di
ogni angolo, che ha messo a profitto ogni cantuccio. E il primo spettacolo
che ci si presenta dinanzi è quello della scuola ove un centinaio di
fanciulle attraenti per la leggiadria insigne della femminilità veneziana
apprendono da abili maestre l’arte del pizzo, di quello ad ago e di quello a
fuselli, vengono instrutte nelle difficoltà dei vari punti a roselline, di Durano,
di Venezia ecc. La lunga corsìa ove in doppia fila si allineano le brune e le
bionde teste giovinette, incoronate da lucenti e gonfi diademi di capelli,
curve sui tomboli e sui telai, come dinanzi a un piccolo altare, intente al
nobile trapunto come ad un rito, è allietata da quella grazia primaverile che
si effonde e dalla gioconda bellezza delle lavoranti e dalla deliziosa
signorile opera delle loro mani. La visione è dolce varia e pittoresca tanto
che alcuni artisti e fra questi lo Zorn cercarono di riprodurla sulla tela. “
Merlettaie a Venezia”, Anders Leonard Zorn, 1894 Questa
stessa artisticità dell’aspetto porta subito a riflettere al modo come è
stata sistemata la produzione e all’armonia con cui si accordarono gli
intenti artistici alle esigenze industriali. Qui si tratta di una scuola,
giova ripeterlo, non di un laboratorio; naturalmente si produce, ma il fine
principale non è questo, si mira soprattutto a formare operaie sapienti di
tutte le strutture del pizzo, educate e affinate sia nella fattura sia nel
gusto, le quali poi dovranno portare la loro abilità e la loro scienza nelle
case, lungo le vie, sulle spiagge di Venezia e delle isole e qui insegnare a
lavorare, perfezionare i processi empirici delle altre lavoranti ecc. Ed ecco
il primo divario fra la industria dei merletti e la grande industria, mentre
quest’ultima aumenta la produzione accentrandola, formando le grandi masse
operaie, la prima invece aumenta la produzione irradiandola e procura anzi di
non agglomerare mai il personale, bensì di lasciarlo nel suo ambiente
naturale. Tutto deve concorrere, nulla devesi trascurare per aumentare
l’eccellenza del prodotto, epperò tenendo conto che il suo processo creativo
è eminentemente individuale e artistico, si è pensato che l’operaia non deve
trovarsi in un centro artificiale, in un camerone per lei uggioso, cui bensì
in condizioni possibilmente simili a quelle in cui si trovava, secoli prima,
l’antica fabbricatrice di merletti, nella propria casa, ed avere dinanzi agli
occhi gli stessi spettacoli esaltatori di bellezza, inspiratori di nobiltà,
di magnificenza, come l’infinità del mare o la dolcezza della laguna colma
d’oro nel tramonto, la sagoma perfetta dell’arco gotico e la signorile
snellezza di una loggetta dell’antica casa muranese. Solo così il pizzo
poteva profittare dei suoi progrediti metodi moderni serbando intatta la
nobiltà e la purezza della sua tradizione gloriosa; l’occhio dell’artigiana
si serbava incorrotto. La
preoccupazione di mantenere nell’immune campo artistico la produzione del
merletto, affinchè maggiormente risalti la sua superiorità sui pizzi fatti a
macchina, prevale su tutte le altre e quindi poco si produce nello stabilimento,
e si cerca che la massima parte del lavoro sia compiuto a casa. Soprattutto
si creda che la produzione sia scarsa ed esiguo il numero delle operaie.
Oltre a 3000 sono le operaie che lavorano nei merletti (il numero è però
mutevole a seconda delle stagioni e degli anni), diffuse per tutto
l’Estuario, a Burano a Pellestrina a Sottomarina a Chioggia a Porto Secco a
San Pietro ecc., e ad ogni sabato i raccoglitori adunano migliaia e migliaia
di lire di pizzi. Ed un sistema equo e rapido determina insieme al valore del
pizzo la misura del compenso all’operaia. Quando si vuol fabbricare un
determinato merletto, approntato il disegno, se ne affida l’esecuzione a
un’operaia provetta di cui viene sorvegliato il lavoro. Si stabilisce così
quante giornate ella impiega a compiere una data quantità, un metro ad
esempio, del pizzo voluto, e la somma del salario giornaliero forma la base
per dare lo stesso pizzo a cottimo alle operaie che lavorano a casa e per
fissare, con l’aggiunta del costo della materia prima e della percentuale di
spese e di utili, il prezzo con cui sarà venduto il merletto medesimo. Ogni
operaia indipendente sa che un metro di quel pizzo le viene pagato a tanto,
ella è libera poi di impiegare nella fabbricazione quanto tempo vuole, epperò
può graduare da soprattutto il guadagno. Naturalmente
questo compenso non è molto e- levato, ma bisogna considerare, in primo
luogo, che le operaie mogli e figlie di pescatori, lavorando in casa,
impiegano le ore libere, le ore in cui starebbero disoccupate, e quindi ogni
guadagno è per così dire un di più, una piccola fortuna; in secondo luogo,
data l’opera poco faticosa ma il tempo straordinariamente lungo che il
merletto richiede, e i salari fossero più alti, i prezzi raggiungerebbero
cifre favolose che ne vunqueimi quasi impossibile la vendita. Riguardo
al prezzo è da tener presente che il costo della materia prima è presso che
trascurabile, in un pizzo da 1000 lire al metro vi sarà tanto filo per 5
lire, come pure sempre minore è la percentuale per le spese e gli utili,
causa appunto l’estensione sempre maggiore della produzione e dello smercio,
per modo che, data pure l’assoluta inalterabilità del prezzo, il compratore
ha la certezza che la somma sborsata rappresenta altrettanto lavoro
impiegato. I prezzi
dei merletti sono enormemente diversi l’uno dall’altro; si va da un minimo di
20 centesimi al metro (e si tratta sempre di pizzo fatto a mano) a un massimo
di 2000 e più lire al metro, non escludendo che per eccezionali occasioni
possono farsi speciali merletti superanti le 10000 e anche le 20000 lire. Ve
ne è dunque per tutte le borse e per tutti i gusti ed anzi la tendenza
odierna il merito dello Stabilimento consistono nell’adattare il pizzo alle
diverse capacità economiche, nell’accostarlo anche alle piccole borse,
cercando che anche i prodotti inferiori siano curati come quelli preziosi e,
per quanto semplici, abbiano sempre la impronta della distinzione e del buon
gusto. È la
banalità che deve essere bandita dal merletto a mano, il quale non deve smarrire
mai la traccia della sua aristocratica discendenza e special-mente quel senso
di malleabilità plastica, di unicità distintiva, di varietà che caratterizza
la creazione diretta della mano dell’uomo, il merletto vero dalla eguaglianza
secca inespressiva e monotona del merletto falso. Non
mancano merletti falsi, a macchina, fatti bene e assomiglianti a quelli veri,
ma fra gli uni e gli altri passa la stessa differenza come fra i gioielli
falsi per quanto vistosi e quelli veri per quanto umili. Una signora che ha
l’intuito dell’eleganza sa sempre scegliere e preferisce la più modesta
pietra buona alla più smagliante collana falsa. Ed a
proposito di pizzi falsi, per il nostro buon nome, non è fuor di luogo
rispondere qui alla signora Dorotea Gobeler, che essi piuttosto ci vengono
dall’estero. A parte
la preziosità e la bellezza, i nostri merletti a mano hanno su quelli a
macchina altre ragioni dì superiorità. Anzitutto la varietà dei tipi,
l’individualità quasi di ogni pezzo; soprattutto la fabbricazione di una
qualità di merletto a macchina sia remunerativa deve essere fatta in grandi
proporzioni; dello stesso merletto occorre eseguirne almeno 5000 metri,
mentre a mano il tipo può essere mutato ogni qual volta si vuole; siccome
l’operaio non fa che seguire il disegno e questo può sostituirsi con tutta
facilità, così appena si ha un tipo la quantità voluta, anche un metro, si
può passare ad un altro, senza per questo che il prezzo ne venga alterato. Il
merletto a mano poi è più forte e resistente, si presta meglio ad assumere
forme differenti ed infine può ritenersi sempre intatto, e cioè esso non è
mai rotto, lacerato; quando una lacerazione avviene lo stesso punto che
ripara ricostruisce
il disegno. Sempre
a proposito della produzione, il sistema che predomina assoluto è quello
della continua trasformazione, dell’assiduo perfezionamento; trovare il nuovo
e fare sempre il meglio secondo il canone della grande industria moderna. Ed
io non istarò a descrivere i miglioramenti tecnici escogitati ed applicati in
questi ultimi anni, accennerò soltanto ad alcune tra le più importanti
innovazioni. Già ho fatto parola dei merletti policromi, aggiungerò ora che
la fabbricazione ne è estremamente difficile e delicata. Essa richiede
dall’operaia non soltanto la consueta abilità, ma anche un certo senso del
pittoresco, una certa sapienza del colore. Naturalmente quando il disegno è
consegnato per la esecuzione alla operaia, sono pure prestabiliti i colori,
ma nel loro accoppiamento e particolarmente nella evanescente sfumatura di
ogni tinta è necessaria una attenzione acuta ed un gusto che senta l’armonia
digradante delle nuances. Merletto
a fuselli realizzato con sete policrome. Questa tipologia di merletto valse a
M. Jesurum la conquista della medaglia d’oro all’esposizione Universale di
Parigi nel 1878 e un grandioso soprannome, “ Il Michelangelo dei Merletti” Si
adoperano per questi pizzi sottilissimi fili di seta, talché l’impasto, si
consenta la parola, ne risulta omogeneo perfetto, e da una sfumatura si passa
all’altra insensibilmente, senza discontinuità siccome avviene nei colori
naturali dei fiori. Ed è questo merletto invero una serica fioritura. Variano
assiduamente e si rinnovano i modelli, sulla guida sempre della antica
eccellenza, per cui non è possibile l’infiltrazione di elementi spuri. I
disegni o sono ricavati esattamente dai più celebrati modelli antichi o sono
creati da artisti appositi su temi nuovi mantenendo la linea tipica. Nè in
questa operazione si potrebbe procedere con maggiore scrupolosità. Per i
modelli tratti dall’antico, lo Stabilimento possiede una ampia raccolta, un
vero e pregevole museo di pizzi vetusti e preziosissimi, di stoffe, di
frammenti di antichissimi tessuti di ogni specie, poiché pur dalle stoffe si
può prendere l’ispirazione di un disegno. E i modelli che si creano ex-novo
vengono appunto ricavati o da bei disegni di stoffe o da motivi architettonici
o infine da figurazioni puramente originali. Ma prima che un modello sia
definitivamente scelto, fissato in ogni suo particolare e apprestato per
l’esecuzione, quante cautele e quanti studi! E poi quante prove e quante
esperienze e tentativi e riprendere da capo, prima che il pizzo eseguito
corrisponda alia intenzione e venga passato alla vendita! Ora
appunto si stanno studiando disegni con linee e tratti ornamentali del nuovo
stile, ed è già qualche anno che le ricerche sono iniziate per vincere la difficoltà
di scegliere quei motivi dello stile nuovo che più convengono al pizzo e di
foggiarli in modo che ne prendano il carattere e non urtino contro la
tradizione. Alcuni esperimenti sono stati compiuti e felicemente, tanto che
questi nuovi saggi figurano insieme agli altri con molto onore alla
Esposizione di Torino, ma finora non è stato conseguito il grado definitivo. Un’altra
innovazione si è effettuata nelle forme nel taglio dei merletti, ottenendo un
notevole progresso a seconda dei nostri gusti più raffinati e dei capricci
del lusso. senso più squisito che noi
abbiamo della natura e la compiacenza più intima con cui la contempliamo ci
fanno oggi respingere ogni artifizio, ed artifizio è quella inquadratura rigida
in cui nel passato si costringeva ogni disegno, il quale qualunque ne fosse
il contorno doveva appoggiarsi all’esterno su linee diritte. E come per
appagare questa esigenza l’arte della illustrazione ha tolto via
l’inquadratura, talché si vedono ora riprodotte fotografie in cui il contorno
è segnato dalla stessa immagine, così i merletti non sono più diritti, non
sono più chiusi in alto e in basso da due linee parallele, ma i margini
frastagliati sono costituiti dal disegno istesso, e pertanto vediamo i petali
di una rosa emergere e arrotondarsi all’infuori, le volute di una ghirlanda
alternarsi con dolce onda od avanzare a punta le fronde, secondo il loro
reale modo di essere. Originali
e preferite son oggi alcune forme sagomate in modo che il pizzo si trova di
per sé naturalmente increspato e ondeggiato. Il merletto non viene fabbricato
in linea retta, ma in linea curva, per cui si ottengono specie di archi
allargati di cui la circonferenza esterna è molto più ampia di quella
interna, la proporzione fra i due bordi, l’esterno e l’interno, è di 3 metri
a 1, talché se il pizzo viene tenuto teso per il margine interno alle due
estremità, necessariamente si dispone a cannoncini, a ondeggiamenti che
presentano leggiadro aspetto di ricchezza e di grazia. “Godet”,
saggi di merletto con un nuovo stile di disegno Questa
forma speciale detta godet, appunto per il suo taglio si
presta più di qualsiasi altra ad adempiere gli uffici decorativi del
merletto; essa può assumere le più svariate fogge secondo la moda e il
desiderio di chi se ne adorna. E si rimane ammirati a guardare come per le
svelte mani della venditrice il godei si trasforma ora in un superbo colletto
che richiama quelli delle dame della corte di Francia, ora in una fluente
cravatta, ora in un molle bolero che recinge le forme del corpo, ora in
ciuffo gonfio come di spume, ora in una lunga trina che accentua la linea
della veste. Sembra di assistere a un prodigioso cinematografo di eleganza di
cui le vedute si succedono inaspettate e innumerevoli! Ma con
ciò mi avvedo che dalla produzione sono passato alla esibizione, dalla
creazione, dalla scuola sono pervenuto alla destinazione e alle sale di
vendita del merletto. Sotto questo rapporto lo Stabilimento ha potuto del
tutto effettuare l’organizzazione del grande commercio moderno. Troviamo lo
Stabilimento suddiviso in numerose sezioni per ognuna delle tante
applicazioni di cui è suscettibile il merletto, ed altre sezioni offerenti
prodotti complementari e affini al merletto: stoffe da abbigliamento e da
arredamento, biancheria, ventagli ecc.; ovunque lo stesso comfort semplice e
severo, ovunque presentatrici e venditrici gentili e instancabili e ovunque
un’esposizione svariatissima, copiosissima: monti di pizzi, di stoffe,
campionari, a portata di ogni mano sotto tutti gli sguardi che rimangono
attoniti in cospetto di tanta ricchezza profusa con signorile noncuranza. Finora
questa dilagante mostra che pone incontro al visitatore la roba a mucchi era
stata usata soltanto dai Grandi Magazzini per oggetti di gran consumo e di
scarso valore; ninno aveva avuto l’ardimento di valersene per merce preziosa.
Qui la vediamo effettuata per la prima volta e in una guisa tanto insigne che
dovrà restare insuperata. Nulla di simile appare neanche nei più rinomati
negozi di merletti dell’estero. E bisogna riconoscere che l’ardimento è stato
grande e felice. Il compratore si sente altamente compiaciuto e per lo
spettacolo sempre consolatore dell’abbondanza, e per la quantità di belle
cose che simultaneamente attraggono i suoi sguardi e fra le quali la scelta
potrà avvenire liberamente e per la fiducia che gli si addimostra,
trattandosi di oggetti di alto valore. Egli in anticipo sa che non dovrà
forzare la sua inclinazione nell’acquisto di un oggetto che non corrisponda
al suo gusto e ai suoi mezzi, egli comprende che in mezzo a una quantità sì
grande potrà accontentare anche le più sottili tendenze del suo desiderio. Servizio
da tavola con incrostazioni di merletto a “punto rosa di Venezia
a grosso rilievo” Inoltre
gli è dato così di vedere non su fotografie o sn modelli, ma nella realtà
qualsiasi genere di lavoro in pizzo e poi già compiute tutte le possibili
applicazioni del pizzo stesso, e mentre gli si evita il fastidio di ordinare
a lunga scadenza, gli si procura la gioia di potersi portar via subito
l’oggetto bramato, magari un pizzo che richiede mesi e mesi di lavoro. Così
nel primo salone centrale, di cui ho parlato in principio, si trova il
merletto da solo, e specialmente i più preziosi e belli merletti destinati
all’abbigliamento; qui è il ritrovo in cui si indugiano più volentieri le
signore, e nelle sale successive per ognuna di esse si ha una data
applicazione del merletto o merletti di uso speciale. Fra le
applicazioni che fermano l’attenzione e suscitano la più ammirativa delle
meraviglie noto quella alle suntuose e pesanti stoffe, arazzi e broccati da
arredamento da decorazione e quella alla biancheria da tavola. Sopra telai
eretti si dispiegano luccicando magnifiche coperte da letto che sembrano paramenti
di un trono. Sono damaschi opulenti dalle tinte più
delicate o più appariscenti, lisci oppure operati, che portano all’interno e
ai bordi guarnizioni di merletto. E il merletto è sempre scelto in modo che
si fonde armonicamente con il colore e il disegno del tessuto, e la fusione
non è soltanto apparente ma intrinseca, poiché il merletto non è applicato
semplicemente sulla stoffa, bensì ne segue le sinuosità dei contorni, le
linee dei disegni formandone una specie di intervallo o di continuazione traforata.
L’effetto
ne è sorprendente, si ha un senso di inaudita ricchezza, eppure anche qui è
tanta la varietà e la quantità, che anche con prezzi relativamente bassi (si
può da 50 lire salire a parecchie migliaia) ottengonsi oggetti autenticamente
artistici e di gusto finissimo. Lo stesso dicasi per tende, cortinaggi e
quanto altro si richiede per l’arredamento. Uno dei fattori essenziali per
accordare il fine gusto degli oggetti al prezzo facile si deve rinvenire nel
fatto che pure le stoffe, tanto quelle per l’arredamento quanto quelle per la
toilette femminile, vengono pure direttamente fabbricate nello stabilimento,
ed anzi l’industria delle stoffe forma uno dei complementi principali alla
industria dei merletti. Si mira soprattutto a fabbricare stoffe di tipo
speciale, fuori dal commercio comune, di gran lusso, cercando l’effetto
artistico, ponendo la massima cura nel coordinare i disegni alle tinte e
tenendo sempre presente l’accoppiamento col merletto. Si riproducono quindi a
seconda dei campioni autentici contenuti nel museo dello Stabilimento, o
ricavati dai quadri degli immortali Maestri le più celebrate stoffe antiche
ed altre se ne fanno di nuove che alle antiche non cedono in bellezza. Basti
dire che il salone delle stoffe appare come una mirabile galleria di
artistici drappi. Nella stessa guisa, con la identica cura avviene
l’applicazione del merletto alla biancheria da tavola e da letto. Siamo nel
regno de! Candore e della suprema signorilità. Con l’aspirazione ora
vivissima al lusso intimo, alle imbandigioni fastose rievocanti i ricordi di
antichi festini, quale intreccio si può immaginare più attraente e più ricco
della massiccia e forbita argenteria, degli esilissimi e ricurvi cristalli,
fiori di vetro accanto a fiori vivi, con i pizzi diffusi e serpeggianti come
ghirlande nella stemmata tovaglia? Fra i
merletti di uso speciale ricorderò i fazzoletti che sembrano alitare tutta la
poesia femminile, piccole pezzuole quasi invisibili per raccogliervi un
profumo o un sospiro, dai trapunti leggeri deliziosi come sorrisi tra
palpebre socchiuse, ricorderò le sciarpe, le mantiglie, i ventagli su
madreperla e oro rinnovanti i più leggiadri modelli del settecento. E in
ogni sala e davanti a ogni vetrina l’incessante corrente umana arrivante da
ogni parte del mondo, lenta fluente con i suoi desideri e apportatrice di
vita con la sua ricchezza offerta all’opera più tipica di Venezia. Ed io
penso che non altrove che a Venezia poteva sorgere e salire in così famosa
magnificenza questa vita misteriosa del merletto, questa magica vegetazione
di filo, a Venezia selva marmorea ove la pietra fiorì nella trina portentosa
e insuperabile della Cà d’oro e della Basilica d’oro. Jesurum e l’esposizione a Milano articolo
tratto da “L'arte nell'Esposizione di Milano; note e impressioni”, 1906 Accanto
alle due sale delle Industrie Femminili, lo stabilimento Jesurum di Venezia
espone i suoi lavori. Delle cinquemila donne che a Venezia e nella Laguna
lavorano merletti, duemilatrecento, dicesi, lavorano per questa ditta. La sua
importanza nel rinnovamento di questa nostra arte eguaglia; perciò la sua
importanza commerciale, tanto più se, a leggere le varie edizioni della
massima opera sulla «Storia del merletto», quella della signora, Bury
Palliser, si consideri che, verso il 1870 quando il signor Jesurum cercava di
fondare e ordinare, con una scuola di quindici o venti operaie, la sua
industria, questa era dichiarata «interamente decaduta a Venezia:, senza
alcun segno di rinascita». Il
merito massimo dello Jesurum e d'aver intuito che solo il massimo progresso
artistico in una simile industria può dare il massimo sviluppo commerciale.
La sua fortuna è derivata da questa nobiltà d’intenti: il suo museo, a
Pellestrina, di campioni antichi e moderni e di quasi duemila stampe è stato
la sua guida. Da questi modelli egli non ha tratto soltanto imitazioni ottime
ma anche buone invenzioni, fra le quali lodevolissima quella dei merletti
policromi. Dal famoso punto Rosaline ad ago che è il più fino dei punti
veneziani ai merletti chioggiotti a rete, dall’antico “ponto de Franza”
(Francia) la cui trama è quasi invisibile a tutti i punti «tagliati» o
«sfilati» derivati in Italia dal ricamo, egli ha condotto le sue operaie a
una finezza di lavoro quasi sempre perfetta. Nelle
esposizioni, però, questi grandi stabilimenti d’arte industriale non
espongono molte novità: temono il facile furto dei rivali. Pure nello stand
Jesurum sono notevoli, per l’arte, una Collezione di tutti vecchi punti di
Burano, una coperta da letto in seta azzurra con un’altra raccolta
leggiadramente disposta di quei vecchi punti e dei più noti punti di Venezia
e di Ragusa, un’altra coperta di punto alla rosa, un vestito in merletto
policroma, e soprattutto una guarnizione di merletto, — collare e ventaglio, —
in punto di Francia che mi pare ripeta lontanamente il motivo del famoso
camice di Bossuet nel ritratto inciso dal Drevet. Ritratto
del vescovo Jacques-Bénigne Bossuet di Hyacinthe Rigaud, Di
fronte allo Jesurum espone la ditta
Melville e Ziffer pure di Venezia. Lo Ziffer è' stato per molti anni nella
Casa Jesurum e ne conosce i migliori segreti anche se non sa attuarli tutti.
Nei ricami e nei filets ha saputo anche fare qualche buona creazione che
espone qui con eleganza, accanto a molto belle riproduzioni di antichi
merletti ad ago, veneziani e buranesi. Le
manifatture riunite di Cantù non lavorano che merletti a fuselli di quel punto
che, secondo il Lefébure, in tutto il settecento fu chiamato punto di Milano,
e sanno applicarli a tutti gli usi con molta destrezza: belli, fra gli altri
oggetti esposti, una stanza da letto in seta di moerro azzurra con riporti di
merletti color d’avorio in stile Luigi XV, e un vestito di forma Empire dove
la, borda del lavoro supera troppo l’eleganza del taglio. La
vetrina del signor Navone di Firenze raccoglie merletti e ricami d’origine e
d’ispirazione svariatissima. Se sono fatti tutti a Firenze, sarebbe utile
dichiararlo perche alcuni pezzi, ad esempio alcuni suoi merletti di Burano e
una
berta in un punto a rosa che si fa solo in Belgio, sono davvero mirabili
e sarebbe per molte ragioni lodevole sapere che in Toscana esistono operaie
così agili e delicate. Incendio expo Milano 1906 Le meraviglie d'arte della ditta
Jesurum distrutte. Stavamo mostrando
in questo numero
le bellezze d’arte esposte
dalla Casa Jesurum
di Venezia nell’Arte Decorativa,
quando l’annunzio della catastrofe
distruggitrice ci è giunto.
Quante meravigliose cose perdute!
Esse erano il
risultato di oltre un
anno di studi
che il commendator
Jesurum aveva fatto
intorno alle più
importanti riproduzioni di opere
antiche ed aveva
all’uopo intrapreso ripetuti viaggi
per visitare alcuni preziosi originali,
esistenti nel Museo
decorativo di Parigi ed
in quelli di
Anversa e Bruxelles. Aveva anche
appositamente acquistato antichi esemplari e compiuti
molti tentativi costosissimi per conseguire
risultati che ora
andarono perduti. I
lavori più importanti
fra quelli esposti
erano un cuscino e centri
da tavola e tavolini,
per la prima volta
riprodotti dai medaglioni
bizantini della chiesa di
Torcello, che erano
stati comperati dal
primo negoziante di
merletti di Parigi, Lesoure: una tovaglietta
gotica tutto ricamo
e merletto all’ago; una
guarnizione ricchissima di un collo a plastron, un ventaglio
di merletto in
punto all’ago, tanto fine
che era stato
necessario mettere dinanzi una
forte lente perché
il pubblico potesse rilevarne
il disegno e la
fattura; una guarnizione completa
di punto rosaline,
il più fine che
si fosse eseguito
in questi ultimi
tempi; una coperta in
ricamo, composta con
tutti i punti all’ago
che si fanno
nella manifattura Jesurum
a Burano; una ricca
collezione completa di merletti
di Burano di
tutti i punti ; tende da finestra
e coperte di tutti
i punti, singolarmente
disegnate e studiate; un
vestito completo in merletto
policromo, a fuselli, ecc. Inoltre vi
erano molti oggetti
da tavola, fra cui
una magnifica tovaglietta, composta
di sesantaquattro quadratini
con sessantaquattro disegni differenti; fazzoletti, cravatte, ventagli. Alcune riproduzioni di
antichi merletti di
PelIestrina erano state
messe insieme agli
originali tratti dallo stesso
Museo di Pellestrina, perchè apparisse la
precisione della copia. Il
comm. Jesurum aveva
assicurata la propria mostra presso
la Riunione di
Sicurtà, per trentamila lire, ma i
danni sono realmente
incalcolabili, per un complesso
di considerazioni. L’Esposizione
di Milano. Molto triste la cronaca di questa quindicina per l’Esposizione di
Milano: il fuoco, la notte del 3, sviluppatosi per ignote cause nel vasto
padiglione dell'Arte decorativa italiana, lo distrusse in pochi minuti, con
quello attiguo dell’Architettura e con le sale della Mostra ungherese,
cagionando parecchi milioni di danno, e incenerendo preziosi documenti
artistici, come si rileva dalle impressioni del onte Azzurro nella sua
speciale rubrica. Il Padiglione dell'Arte decorativa, opera del l’arch.
Locati, comprendeva la Mostra italiana, che occupava 12000 mq. e quella
ungherese che occupava 3200 mg. Dall'altro lato era la Mostra architettonica
legata con un piccolo portico al Palazzo delle Belle Arti, dove le fiamme,
grazie all’intelligente lavoro dei pompieri, non riuscirono a penetrare. I
principali danneggiati italiani sono, per l'Arte decorativa, la Mostra delle
Industrie femminili italiane, che ha perduto circa 300 mila lire, un terzo
delle quali rappresentato dalla sezione dei merletti di Burano: 200 mila
Jesurum di Venezia; 1’Ospizio di S. Michele di Roma, oltre 100 mila lire,
comprese le 80 mila del famoso arazzo del Pridotti, già ammiratissimo a
Parigi. Notizia apparsa su ”Illustrazione italiana” del 1909 Michelangelo
Jesurum, di Venezia, fondatore della più gentile delle industrie italiane,
quella dei merletti, è morto improvvisamente nella sua città natale il 26 maggio
nell'età di 65 anni. Uomo di azione, dalle vedute larghe e geniali, dotato di
energia e di bontà, incominciò la sua carriera industriale nel 1873 come
direttore della Società Anonima
Veneziana dei merletti da lui fondata con Paulo Fambri. Nello scorcio del,
1878 lasciò la direzione della Società. Si accinse da solo all'industria alla
quale diede subito un grande sviluppo portando in essa criteri più larghi è
più pratici. Nel 1881 essendo la suddetta Società stata posta in
liquidazione, il Jesurum ne rilevò l'azienda. Si diede quindi a rinnovare la
scuola dei merletti di Pellestrina, di Venezia, di Chioggia e più tardi di
Burano, allargando la cerchia degli affari, e riuscì a far conoscere ed
apprezzare i merletti di Venezia può dire in tutto il mondo civile. In tutte
le esposizioni, a cominciare da quelle di Vienna del 1875 e di Parigi del
1878, il Jesurum riportò le maggiori onorificenze tanto che nella mondiale
dell'89 a Parigi veniva chiamato a far parte della giuria ed insignito quindi
della Legion d’onore. La grande attività che per quasi quarant’ anni esplicò
nella sua industria non gli tolse di occuparsi con grande onore della cosa
pubblica, e fu Consigliere della Camera di Commercio ed era da parecchi anni
consigliere provinciale per il mandamento di Chioggia e sindaco di
Pellestrina. A quest’ isola per Iungo tempo dimenticata dedicò le più
amorevoli cure procurando alla popolazione inestimabili benefici economici e
miglioramenti morali onde intorno a lui si stringevano, si può dire, tutti
gli abitanti di Pellestrina, che avevano per il loro sindaco una vera
venerazione. Istituì a Pellestrina, facendone dono al Comune, un museo
storico dei merletti il quale raccoglie esemplari di grande interesse! Michelangelo
Jesurum prima di morire aveva sbozzato il disegno d'una pubblicazione che i
figli Aldo e Attilio, giusto ossequio alla memoria paterna, dal 1910
cominciarono a tradurre in fatto. Questa pubblicazione molto signorilmente
presentata entro una busta di pelle ornata da un motivo merlettario impresso
in oro, s'intitola: “Esemplarìo di Merletti moderni raccolti da Michelangiolo
Jesurum, Venezia-Roma e si compose di 100 tavole eliotipiche con 1000
esemplari. Omaggio alle Signore italiane”. Questa pubblicazione prospetta in
ampia sintesi l'operosità dell' Jesurum nella industria dei pizzi a Venezia e
nell'isole vicine. Attilio Jesurum morì nel 1911 all’età di 44 anni, dopo
lunga malattia. Aldo e Attilio Jesurum, Esemplari di merletti
moderni raccolti da Michelangelo Jesurum, Venezia-Roma, 1910: "Vestito
completo di merletto in punto Venezia ad ago a grosso rilievo eseguito nelle
Manifatture Jesurum di Burano (Venezia). Una medaglia per ELSA JESURUM. Nata a
Venezia il 23.04.1896 da Attilio ed Angelina Levi, sposata con Alando
Bolchini nel 1926, ebbero 3 figli Maria, Vera, Piero. Morì a Milano, dove si
era trasferita nel corso
della Seconda Guerra Mondiale, il 10.08.1996. Riposa nella tomba di famiglia al
Cimitero Ebraico al Lido di Venezia. È stata dirigente della ditta di
famiglia, produttrice di merletti, Manifattura Jesurum, negli anni Venti.
Il dopo
Michelangelo è stato ed è sempre italiano Michelangelo
Jesurum morì nel maggio del 1909 lasciando in eredità ai tre figli tutto il
suo operato. Il 17 febbraio 1923 nasceva la Società anonima M. jesurum &
C. con a capo e in qualità di amministratore il figlio più giovane, Aldo
Jesurum che morì l’anno successivo. Jesurum lanciò alla Biennale di Monza del
1927 una produzione moderna, promossa dal critico Roberto Papini, affidandone
il disegno al pittore decoratore Giulio Rosso. In seguito la ditta coinvolse
altri disegnatori come Gino Levi Montalcini e il giovane Lele Luzzati. Nel
1929 la rivista “Domus”, sposando
i tentativi di riforma del disegno dei manufatti inerenti l’arredo tessile
della casa, pubblicò la tovaglia ovale di gusto déco firmata da Giulio Rosso
per il laboratorio Jesurum. La Ditta Jesurum venne acquistata nel 1939 fino
al 2004 dalla famiglia Levi Morenos. Merletto
di Burano dei Successori di Jesurum, nella sezione dei merletti e dei ricami
nella mostra dei tessuti e dei ricami. Collocazione: Milano (MI), Fondazione
La Triennale di Milano, TRN_VII_13_0846. Foto risalente al 1940, autore
Crimella. Nel 2005
venne ceduta a un gruppo di imprenditori e nel 2009 dopo alterne fortune il
marchio finì all’asta, quando la società fu dichiarata fallita per
insolvenza. A rilevarla fu l’imprenditrice Rita Polese che portò la sede a
Maron di Brugnera nel pordenonese e nel 2021, la nipote Paola Cimolai con la
sorella Carla e il compagno Filippo Olivetti
amministratore delegato di Bassani Group, hanno rilevato il marchio. Jesurum ha sempre fatto notizia
Michelangelo Jesurum, testi e citazioni consultabili in
rete: https://archive.org/details/Palliser1881/page/n89/mode/2up?q=jesurum+michelangelo Descrizione della collezione di merletti
del South Kensington Museum dove troviamo 65 merletti realizzati a fuselli
donati da Michelangelo al Museo nel 1876. https://archive.org/details/lartenellesposiz00ojet/page/160/mode/2up?q=jesurum+michelangelo L'arte nell'Esposizione di Milano; note e
impressioni, 1906 https://archive.org/details/cataloguedesouvr00over/page/n3/mode/2up?q=jesurum+michelangelo Descrizione della collezione di libri sui
merletti della Biblioteca del Museo Reale di arti decorative e industriali
del Belgio, 1906. Vi troviamo diverse donazioni fatte da Michelangelo
Jesurum. https://archive.org/details/catalogo2189bien/page/30/mode/2up?q=jesurum+michelangelo Alla Biennale d’arte di Venezia del 1897,
Michelangelo portò in esposizione un quadro del pittore svedese, Zorn Anders dal titolo " Scuola di
merletti". https://archive.org/details/antichetrineital00ricc/page/n459/mode/2up?q=jesurum Alcuni campioni di merletti antichi della
collezione Jesurum https://archive.org/details/larestaurationde00verh/page/n3/mode/2up?q=jesurum https://archive.org/details/acw9599.0002.002.umich.edu/page/100/mode/2up?q=jesurum https://archive.org/details/ladentelleetlabr02verh/page/194/mode/2up?q=jesurum https://archive.org/details/134_GiornaleUdine_06-06-1891/page/n1/mode/2up?q=jesurum https://archive.org/details/svaghiartisticif00mela/page/98/mode/2up?q=michelangelo+jesurum https://archive.org/details/tessutiemerletti00ercu_0/page/96/mode/2up?q=michelangelo+jesurum http://www2.cs.arizona.edu/patterns/weaving/monographs/jesurum.pdf https://archive.org/details/lartenellesposiz00ojet/page/160/mode/2up?q=merletto La donna 1875 Tesi di Laurea di Federica Sacchetto dove si
parla delle collezioni e donazioni dei merletti antichi di Michelangelo
Jesurum http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/3521/827609-1153244.pdf?sequence=2 https://it-it.facebook.com/FondazioneAndrianaMarcello Pubblicazioni Esemplari di Merletti Moderni raccolti da
Michelangelo Jesurum. Opera in cento tavole edita
per cura di Attilio ed Aldo Jesurum. Omaggio alle Signore Italiane. di
Jesurum Attilio e Aldo, 1910 “STORIA BREVE DEL MERLETTO VENEZIANO”
- anni '20 Jesurum Michelangelo “Cenni storici e statistici sull'industria dei
merletti” per Michelangelo Jesurum LA STORIA DELLA CONQUISTA DI DUE MEDAGLIE D'ORO
(I Merletti di Venezia 1878) Fambri, S.
Giornale degli Economisti, Vol. 7, No. 5/6 (Agosto e Settembre 1878),
pp. 365-379 (15 pages) “Ceramiche e arti decorative del Novecento” All’interno
c’è un saggio di Doretta Davanzo Poli – Il
merletto e la cultura di progetto nelle opere di Jesurum e Giulio Rosso Bibliografia * Rivista "LA LETTURA " marzo 1901 ° Rivista Emporium 1895 Volume XVI, Istituto italiano d'arti grafiche (Bergamo) Tesi Laurea di Antonio David Fiore” In defence of the decorator’
Giulio Rosso (1897-1976) in Italy in the interwar period, The Open University
June 2017 Sitografia https://archive.org/details/adescriptivecat03musegoog/page/n8/mode/2up https://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/ https://messaggeroveneto.gelocal.it I testi sono dell’autrice del
sito frutto di una accurata e laboriosa ricerca. E’ vietata qualsiasi forma di riproduzione,
anche parziale, di questa e di tutte le pagine del sito. |