“ Istituto della Pietà “
Maledizione e Scomunica contro quelli quali mandano
o permettano siano mandati lì loro figlioli o figliole si legittimi come
naturali in questo ospedale della pietà avendo il modo e facoltà di poterli
allevare essendo obbligati al risarcimento di ogni danno e spesa fatta per
quelli ne possono esser assolti, se non soddisfano come chiaramente appare nella Bolla di nostro
signor Papa Paolo I Data addì 12 novembre l’anno 1548 |
Si
racconta che nel 1335-36 fra’ Pietro, fraticello di Assisi dell’ordine di S.
Francesco, giungendo a Venezia vide molti bambini abbandonati.
Raccolse
insieme i bambini e il 10 agosto del 1336 un certo Domenico Trevisan di San Lio, accogliendo l’urgente richiesta di Pietro, dispose un
legato testamentario a favore degli orfanelli. Nel 1340 prese in affitto dalla
nobildonna Lucrezia Dolfin, 17 casette alla Celestia vicino al convento francescano, “ della Vigna”. La
dama nel 1349-50 lasciò in eredità a Fra’ Pietruccio,
gli edifici citati, che divennero ricovero stabile per orfanelli e trovatelli.
Questo luogo venne denominato in seguito “ Corte della Pietà”.
La
repubblica veneta , nel 1343, decretò soccorsi più consistenti e diede la
facoltà a “Frà Pietruzzo
della Pietà” di questuare dicendo “pietà pietà”, da qui il nome dell’istituto;
questuava, anche per le balie e il personale del luogo pio. Le
balie erano figure importanti ed indispensabili per nutrire i piccoli,
basti pensare che nel primo giorno di vita c’era già un alto tasso di mortalità.
Nel 1346, Pietro fondò “L’ospizio della Pietà” e nello stesso anno ottenne il
riconoscimento giuridico dell’istituzione.
Nel
1348 divideva i maschi dalle femmine. I primi venivano affidati alla
confraternita maschile di S. Francesco e le seconde, alla congregazione delle
Matrone da lui stesso istituita nella chiesa di Santa Maria della Celestia, col titolo di “ Suore di Santa Maria dell’Umiltà”.
Le ragazze venivano educate bene a scrivere e a leggere ed i maschi nelle arti
e nei mestieri.
Frà Pietro, per assicurare continuità al
suo operato dopo la sua morte, ottenne la dispensa dal Papa. Essendo frate non
poteva fare testamento, ma con tale dispensa
il 12 luglio 1348 poté disporre le sue volontà, le quali dopo la sua
morte vennero eseguite. Il 27 dicembre del 1349 Frate Pietro morì e al suo
successore, Frà Pacino, il doge diede la facoltà di
continuare la questua a favore degli esposti.
Il
15 dicembre del 1535, il Maggior Consiglio unificò la gestione dell’ospizio,
affidando l’assistenza ai “Putti” sotto le Donne di Santa Maria dell’Umiltà.
Queste dovevano eleggere la priora che poi sarebbe stata confermata dal doge
Venier, come gestore dell’istituto.
Nel
‘600 venne posto la “ scafeta” che era il contenitore
dove i bambini abbandonati venivano lasciati : era una nicchia nel muro di
cinta dell’istituto, munita di un foro dalla parte del muro dove le
sorveglianti dovevano far passare il bambino all’interno dell’istituto. Nello
stesso periodo vennero istituite anche delle tasse pro’ fantolini della Pietà.
Il
Senato veneziano rivolgeva sempre le sue paterne cure alle istituzioni di
beneficenza che per recenti formazioni o per altri motivi avevano maggiori
bisogni finanziari.
A
loro beneficio devolveva certe condanne pecuniarie, ovvero un piccolo aumento
straordinario sulle condanne stesse. Così con decreto 11 agosto 1525 si
deliberò a favore “ del povero loco della Pietà”
Iniziò
con 400 bambini poi 600-1000-2000 e quando erano troppi venivano portati nelle
campagne e i parroci sorvegliavano sulla loro educazione.
L’istituto
era molto amato dalla città e vi ha lasciato grandi beni, terreni e ville a
Ponzano e Preganziol, dove i bambini venivano portati
d’estate a passare qualche mese in campagna. Il senato vedendo la crescita a
dismisura dei bambini, elesse nel 1472 due patrizi che avrebbero dovuto
rilevare gli urgenti bisogni dell’istituto.
Nel
XVI secolo venne eretto un oratorio e l’ultima priora venne eletta nel 1604.
I
beni dell’ospizio erano notevoli (notevole fu anche il lascito di Lorenzo
Cappello), quindi si pensò di commetterne l’amministrazione al doge e per suo
conto ai “Provveditori agli ospedali”. Caduta la repubblica (1797), l’ospizio
della Pietà fu amministrato fino al 1807 dal Comune.
Nel
1791 un documento marchiava i bambini abbandonati e ospiti nell’istituto, in
seguito questa regola venne tolta.
Alcune
diciture che si trovano negli inventari del Museo dell’istituto descrivono come
i neonati venivano trovati, ognuno portava con sé un segno di riconoscimento
che veniva scrupolosamente registrato in caso di ripensamento da parte della
madre.
Nel
1703, un giovane venne ordinato sacerdote e si prodigò per aiutare l’Istituto,
aiutò “le figlie del choro” a cantare suonare e
comporre: questo giovane era Antonio Vivaldi. A quei tempi le donne non
potevano ufficialmente comporre musica, ma alla “ Pietà “ ce ne erano sette
(così cita il “New grove dictionary
for women composers”) e si
chiamavano Vicenta da Ponte, Agata Geltruda, Sanza, Giulia Michelina,Teresa Orsini e Maria Verger
proveniente da Dresda.
Presso
l’istituto e nella stessa stanza dove le ragazze e Vivaldi si ritrovavano, è
stato aperto un Museo dove sono esposti gli strumenti, gli spartiti e la storia
della musica che si fece all’interno dell’istituto.
“Orfane filarmoniche”
Immagine tratta da “Gli abiti dei
veneziani” di Giovanni Grevenbrock,
Biblioteca del Museo Correr
Particolare
del disegno che mette in risalto le ragazze che cantavano nella chiesa della
Pietà durante le cerimonie. La storia ci racconta che quelle grate erano
schermate da tessuti perché le ragazze non si dovevano vedere, ma solo
ascoltare la loro voce da “usignoli”.
L’istituto
conserva oggi con amore dei merletti unici
e rari alcuni sono esposti all’interno del museo. Queste trine, ritrovate
in tempi recenti in una stanza abbandonata, si sono conservate molto bene, a
testimoniare un laborioso passato delle ospiti dell’istituto, o forse donazioni
di famiglie agiate.