“ Favolosamente pizzo “ Un giorno, rovistando tra le mie vecchie
riviste, ho trovato con mio grande stupore un sevizio sull’Aemilia Ars. Sul numero di Marzo del 1983, la rivista Rakam
dedicò un servizio al merletto dell’Aemilia Ars, proponendo dei veri gioielli
realizzati all’uncinetto su ispirazione delle opere originali. Il servizio di Anna Veri a cura di Diana
Danesi, si intitolava “Favolosamente pizzo”.. Erano gli anni magici del Liberty detto
anche Art Nuveau (in Francia) o Modern
Style (in Inghilterra). Finiva il secolo e quei dieci, quindici anni prima
della Grande Guerra parevano l’alba di un giorno radioso. Fu nel dicembre del
1898, che il poeta –architetto della
nostra storia, Alfonso Rubbiani, fondò l’Aemilia
Ars. Lui e i suoi amici: artisti come lui, signori dell’aristocrazia, grandi
nomi della finanza, “ gentili patronesse”, ma anche artigiani d’ogni genere,
comprese ricamatrici e merlettaie. Tutti insieme in una Società Cooperativa:
fondata con 15.000 lire di capitale ( che si dimostrarono veramente troppo
poche) e un “manifesto controcorrente” ( in quegli anni di entusiasmo per il
travolgente processo di industrializzazione e di produzione in serie). Perché gli oggetti di uso quotidiano non
potevano aspirare ad essere opere d’arte? Perchè
l’artigiano non poteva lavorare sotto la guida dell’artista? E perché un
artista, un pittore, non avrebbe dovuto trovar gusto a disegnare il tracciato
di un bel merletto? Ma il successo fu breve; la Cooperativa si scioglieva nel
1903 e solo lui, il merletto, ne ereditava il nome e i sogni. Si scioglieva la Società, ma intanto la
contessa Lina Bianconcini Cavazza (la più entusiasta delle gentili patronesse)
era riuscita a convincere un buon gruppo di merlettaie e ricamatrici di
Bologna. Peccato, sprecare tanto tempo e abilità per
ripetere sempre gli stessi disegno, ormai dimentichi dell’inventiva e della
grazia dei tempi d’oro del merletto, che erano stati il ‘600 e il ‘700. Perchè non
riprendere quei tesori, (e ce n’erano tanti in Casa Cavazza),
studiarli punto per punto, motivo per motivo, e poi, imparato il loro
segreto, tentare strade nuove, sull’onda dei nuovi decori Stile Liberty? Fu così che la contessa Cavazza
reinsegnò alle ragazze di Bologna. Come “Sillabario” risalì addirittura alla
raccolta di ” modelli per trine”, che Arcangelo Passerotti nel ‘500 aveva
pubblicato proprio a Bologna, dedicandola “ alla serenissima Signora
Margarita Gonzaga d’Este, duchessa di Ferrara”. Successe infatti che il laboratorio della
contessa Cavazza continuò a chiamarsi “Aemilia
Ars”, e le merlettaie e le ricamatrici di Bologna divennero sempre più
numerose, più esperte e più famose. Nel 1912 scrive Alfonso Rubbiani, pittore, poeta, architetto:” Amo il mio umile
scanno nel laboratorio; volontario disegnatore e trovatore di fogge, nella
bianca stanza dove si disegnano merletti e ricami, che, anonimi, viaggeranno
verso Parigi, Londra, le Americhe “. Oggi ( e ormai da 40 anni) il laboratorio
non c’è più. Ma c’è ancora quella” bianca stanza”, al primo piano, proprio
sopra il negozio di Via Farini. Sul portoncino c’è
ancora la vecchia targa di ottone: Aemilia Ars. Dentro ci sono ancora i
vecchi armadi a tutta parete, e negli armadi ci sono i tesori: i merletti
campione della Contessa Cavazza. Solo qualche mese
fa a gioire di questi tesori erano qui la direttrice del British
Museum e la Direttrice del Poldi
Pezzoli di Milano. Ce lo dice con orgoglio con
tenerezza , la cara “ signora Maria” che prelevò
l’Aemilia ars nel 1945, quando negozio e laboratorio erano un cumulo di
macerie, In un angolo scorgiamo due seggioline e due “ donzelle”, per le ragazze che vengono ancora
a imparare l’arte del tombolo e trina ad ago. Se dunque oggi si dice Aemila
Ars, nessuno pensa più alla antica Società Cooperativa, pochissimi sanno di
Alfonso Rubbiani e della contessa Cavazza e pochissimi si rendono conto che si tratta di
“arte emiliana”. In tutto il mondo, invece, Aemilia Ars vuol dire merletto, e
quel particolare tipo di merletto ad ago, solido, compatto, che discende
dall’antico punto reticello. Più solido e compatto per esempio del
merletto di Venezia. Ce lo fa notare la signora Lani,
restauratrice presso il negozio Aemilia Ars. ” Vedete il Venezia? Si lavora in giri di
andata e ritorno, perciò è così leggero. Guardate l’Aemilia Ars: solo giri di
andata e il filo che, ogni volta alla
fine del giro, “ si getta” per tornare a sinistra, serve da imbottitura e dà
corpo alla trama del merletto( in quadrato, a rombo o in cerchio con dentro
stelle e rosoncini), che compare così spesso nelle
tovagliette da tè e nei risvolti di lenzuola della nostre nonne e bisnonne.
Ma dalle mani delle merlettaie bolognesi uscirono in quegli anni, ben altri
capolavori ”. “ Meno fastose e meno lievi delle trine di Venezia, le trine della Aemilia Ars non
hanno né la frivola e molle grazia delle francesi, né la inquietante
inconsistenza delle fiamminghe, ma parlano dolce e chiaro( come è la parlata
bolognese) nel loro linguaggio dalle vaghe risonanze classiche”. Così
scriveva Elisa Ricci, indimenticabile
intenditrice di pizzi e ricami, nell’introduzione al volume” Merletti e
ricami dell’Aemilia Ars”, pubblicato nel 1929. Un libro oggi rarissimo, ormai
un pezzo d’antiquariato. Recentissima ( 1982) invece, la riproduzione
anastatica ad opera della “University Press
Bologna”, della Santerno Edizioni di Imola.. Un
vero libro d’arte. In quasi 400 fotografie, tutti i merletti più belli del
tempo d’oro del laboratorio Aemilia Ars, dai primi anni del secolo fino alle
soglie degli anni Trenta. Ogni foto documenta un capolavoro, che oggi………. chissà dov’è: a Parigi, a Londra, in
America. Tovaglie principesche, letti a baldacchino
interamente vestiti di pizzo, veli e abiti da sposa, scatole d’ogni forma e
misura ; fiori ( soprattutto le rose, e i garofani del liberty), foglie e
riccioli, uccelli (soprattutto pavoni, con code come di filigrana), motivi
araldici e simbolici, affacciatisi da un largo reticolato che li sorregge
(come le interpretazioni a merletto dei celebri arazzi della “ Dame au
Lyocorne” del museo parigino di Cluny). Eppure tutto, sempre all’insegna della
sobrietà, dell’equilibrio. Dice ancora Elisa Ricci: “Le trine
dell’Aemilia Ars vogliono essere stese sul tavolo o sul letto, o pendere
dall’altare; o anche ornare la persona, nella biancheria e nella veste; ma
non vogliono mai nascondere, fra le allacciature e le pieghe, la bellezza del
disegno che considerano il loro pregio maggiore. La vecchia insegna della Aemilia Ars: un
focolare, con il suo fuoco acceso e il motto latino: “ In lateribus domus”. Come dire, a casa tua. E così commentava, nel ’29, Elisa Ricci: “ Il focolare a significare
che si tratta di un lavoro casalingo, come si vorrebbe che fosse ogni lavoro
femminile”. In
pratica, quella bianca stanza, che abbiamo chiamato laboratorio era prima di
tutto una scuola, dove si imparavano la tecnica e l’armonia, e poi solo il
luogo dove le signore del Comitato distribuivano il lavoro alle operaie( un
migliaio bel 1906, comprese molte signore della piccola borghesia di Bologna),
spiegando ogni volta il significato del disegno e la nobiltà di quel lavoro casalingo. Così
infatti si insegnava nella scuola : ”Il disegno può essere splendido, senza una
perfetta onestà di lavoro, senza impegno profondo del cuore e
dell’intelligenza, non riuscirà mai a trasformarsi in una cosa veramente
preziosa, fonte di guadagno, sì , ma anche di compiacimento”. Pensieri e parole di tanti anni fa. |