“Cora Slocomb
Savorgnan di Brazzà”
Il coraggio e la passione di Cora Slocomb di Luciano Morandini, “Il Nuovo Fvg ”
Del personaggio, parla nel suo libro:
“La signora di Sin-Sing/No alla pena di morte”, la pronipote Idanna
Pucci, nata a Brazzà, poco lontano da Udine, cresciuta a Firenze, laureata in
Lettere comparate alla Columbia University di New York e studiosa di
mitologia balinese. Il personaggio eccezionale riscoperto dal libro è la
bisnonna, l’americana Cora Slocomb, moglie del friulano Detalmo di Brazzà,
fratello dei famosi esploratori. Idanna Pucci ha raccolto documenti,
appunti, diari in vecchi cassettoni, ha sollecitato e ascoltato racconti dalla
madre e da ciò è nata una storia nella quale, sullo sfondo di paesaggi
geografici e sociali diversi, che vanno dal Friuli all’America, s’intrecciano
figure, miserie, dolori, destini, storie di mobilitazioni civili che
mantengono i lettori legati alla pagina, come ormai raramente capita. Vale la pena, allora, ricordare tre
giudizi apparsi su giornali americani. Da condividere. “La narrazione non
lascia niente al caso e riesce a provocare suspense ed emozione…” ( New York
Times ); “Un libro splendido e importante sulla giustizia nell’epoca
cosiddetta dorata di New York…apre la via a uno studio più
approfondito su questo periodo, caratterizzato da una giustizia ferrea a
sfavore degli immigrati e delle classi più povere, che nulla comprendevano
delle leggi e invariabilmente perdevano…” ( New York Law Journal ); “Le
questioni sociali più scottanti emergono in tutta la loro pienezza…le storie
di queste donne troppo a lungo neglette sono riportate alla luce con passione
e credibilità” ( Philadelphia Inquirer ). Cora Slocomb Brazzà “era
l’incarnazione dell’ideale di bellezza dell’epoca tardo vittoriana: la sua
pelle era bianca e liscia come l’avorio, le spalle perfettamente rotonde, il
seno opulento e la vita sottile…”. Ed era una donna anticonformista, libera,
attenta al mondo femminile e ai suoi problemi. Anticonformista quanto Detalmo
di Brazzà, il marito, appassionato di ingegneria civile,
scienziato-inventore. Entrambi convinti che “la ricchezza rende felici
soltanto perché offre l’opportunità di fare del bene al prossimo: quella dei
poveri era una causa che condividevano con pari determinazione”. Cora, poco
tempo dopo essersi stabilita a Brazzà, introdusse in Friuli l’arte del
merletto imparata adolescente in Louisiana dalla madre quacchera. A Brazzà
fondò una cooperativa che divenne ben presto uno dei centri italiani più
attivi e apprezzati del settore. “La cooperativa forniva i mezzi di
sostentamento alle donne senza distoglierle dai loro compiti domestici o dal
lavoro contadino, e le occupava nei lunghi periodi invernali durante i quali
non si poteva lavorare nei campi”. Le merlettaie di Brazzà divennero presto
famose anche come “le merlettaie della regina”, grazie agli ordini regolari
che venivano da casa Savoia, dalla regina Margherita. “A Chicago, all’Esposizione
Internazionale del 1893, i merletti di Brazzà furono scelti come esempio
magistrale dell’artigianato italiano”. Un grande e proficuo lavoro
d’emancipazione quello compiuto da Cora di Brazzà tra le donne del Friuli. Un
mondo che stimava e amava. Con la stessa intensità, le stavano a cuore i
problemi della pace e della non violenza. Tanto “da diventare presidente del Committee
on Peace and Arbitration all’interno dell’American National Council of
Women”. Inoltre, nel 1885, venne eletta presidentessa dell’Associazione
Italiana dell’Impresa Femminile. Nell’aprile 1895 apprende dalla
stampa americana, che puntualmente leggeva, una notizia: a New York, una
povera immigrata italiana, Maria Barbella, di ventidue anni, drogata, sedotta
e abbandonata, aveva tagliato la gola, per lo stato di vergogna in cui venne
a trovarsi, al seduttore Domenico Cataldo. Era in corso un processo che
lasciava trasparire venature razziste e pregiudizi contro l’emigrazione
italiana. Cora Slocomb di Brazzà decide allora, sostenuta
dall’accondiscendente e sempre presente marito, di trasferirsi a New York.
Per battersi a difesa di Maria, per salvarla dalla sedia elettrica, la
recente invenzione americana di un dentista. Là Cora, anche con l’aiuto di
un’altra donna coraggiosa, Mrs Foster vedova di un generale, mobilita
l’attenzione dei cittadini, della stampa, delle istituzioni giuridiche a
favore di Maria Barbella, per la revisione delle accuse, e contro la pena di
morte. “Cora e Detalmo non potevano
conciliare la reputazione dell’America come patria della scienza e
dell’abolizionismo con quelle spiccate tendenze barbariche (…) Per Cora la
pena di morte rappresentava un potente strumento di repressione dei gruppi di
minoranza. In ogni epoca storica, l’opinione della classe dominante era che
un assassino proveniva sempre da quel gruppo sociale che si stava
conquistando un posto autonomo nella società”. Alla fine la battaglia, almeno
per Maria Barbella, fu vinta. La povera, giovane donna della Basilicata, una
dei 247.000 italiani che sbarcarono in America nel 1892, fu libera e salva. “Nel 1906 si concluse la vita
pubblica di Cora. La contessa di Brazzà aveva quarantaquattro anni. “Avvenne all’improvviso”, scrive Detalmo nelle sue
memorie: “senza alcun sintomo premonitore; Cora cadde malata in un caldo
pomeriggio di maggio. Stava facendo sosta a Bologna nel suo viaggio di
ritorno a Brazzà dalla Calabria devastata dal terremoto, dove aveva
organizzato i primi soccorsi”. Quando morì, il 24 agosto
|