SCUOLE DI MERLETTI IN FRIULI

di Vittorio Stringher , Udine, tratto dal “Bollettino della Associazione Agraria Friulana” n. 16-17-18 ( settembre 1892)

La introduzione delle macchine, le quali si sono sostituite in gran parte al lavoro manuale creandone alla loro volta di nuovo ma diverso, assieme a grandi, incontestabili benefizi ha portato con alcuni inconvenienti; mi limito, per restare in argomento, a ricordare quello della quasi totale scomparsa dell’industrie casalinghe nelle campagne. Nel contado, sebbene non da tutti ugualmente avvertito, il danno non è stato di lieve momento. I filò, dove le nostre contadine, nelle lunghe serate invernali, filavano il lino, la canapa, la lana, lavoravano alla maglia ecc. ecc., non esistono più; o, peggio ancora, hanno cambiato carattere, diventando ritrovo di sfaccendati  dei due sessi, dove il pettegolezzo è la nota  dominante nei discorsi, quando pure non sia qualche cosa di peggio. La industria dei merletti potrebbe dar lavoro a tante mani costrette di tratto in tratto a stare inoperose. Anche il modesto guadagno di pochi soldi torna a sollievo dell’ esiguo bilancio delle famiglie di contadini. A Cantù (Lombardia) l'industria dei merletti è diffusissima fra quelle popolazioni rurali, le quali ne risentono con lieve benefizio. In Friuli, quasi contemporaneamente, sono sorte scuole di cestari  per gli uomini scuole di merletti per le donne. Le une e le altre mirano allo stesso  fine, che è quello di dare, nei momenti  ne’ quali le faccende dell’azienda rurale lo consentono,  lavoro rimunerativo e non faticoso. Io traggo lieti auspici da questa felice coincidenza. Le scuole di merletti e quelle per la sia lavorazione dei vimini, hanno una impronta tutt’affatto loro propria, che mi piacerebbe fosse seguita dalle scuole professionali in genere e da quelle d’arti e mestieri in ispecie.

 

Nelle scuole di merletti, come in quelle di cestari si insegna il modo di guadagnare facendo un lavoro dilettevole; chi più impara più guadagna; è questa la loro caratteristica, che le distingue da  tutte le altre e che dovrebbe trovare più larga applicazione. Il guadagno è uno stimolo potentissimo a ben fare e a far molto. La semplice lode ha sicuramente un grande valore; ma quando questa viene determinata in danaro, mentre riesce più equa, porta ancora con l’ineffabile conforto del guadagno procurato col proprio lavoro. Del denaro io ho avuto sempre una gran buona opinione. Di quelli che lo possiedono non sempre. Siamo noi che molte volte usandolo male lo abbiamo fatto giustamente maledire. Il denaro è un elemento di libertà non di schiavitù. Rendere agiata una famiglia è elevarla moralmente, è renderla padrona di , è farla libera e rispettata nei suoi rapporti con la vita esteriore. Tutto ciò che tende a migliorare le condizioni economiche di un paese deve trovare appoggio ed essere favorito da chi può, nel modo migliore. Le nostre scuole, parlo ora in generale di tutte, dalle più modeste, le elementari, alle più elevate, le università ed istituti superiori, sono così fattamente ordinate che sembrano istituzioni destinate più che altro a popolare l’Italia di gente spostata; e per gente spostata, sembrerà a taluno per lo meno superfluo darne la definizione, intendo quella che non risponde al bisogno del paese, all’indole sua, alle sue tendenze peculiari. E gli spostati, per legge naturale, sono destinati a soccombere, qualora, degradandosi, non si adattino all'ambiente.

Non credo di aver divagato inutilmente.

L'industria dei merletti, per divenire altamente rimuneratrice e benefica, nel nostro paese stesso dove la mano d’opera è a si buon prezzo, deve assumere il carattere di industria sussidiaria. Non vi ha dubbio che così intesa può stare a fronte e vincere nella lotta la concorrenza mondiale, e a questo fine pratico mirano le scuole di merletti di Brazzà, di Fagagna e di Martignacco. Al cuore buono, alla intelligenza superiore, alla sorprendente attività, alla tenacia, che per adulare il mio sesso, chiamerei  virile, della contessa Cora di Brazzà Savorgnan, si devono le tre scuole che ho nominate, le prime istituite in Friuli, le quali contano di già, ed hanno pochi mesi di vita, un centinaio circa di allieve.

Come sono ordinate queste scuole? In che si differenziano da altre consimili istituzioni? Perchè il tipo Cora Brazzà è meglio rispondente all’indole del nostro paese? È quanto sto per dirvi con la maggior chiarezza possibile. Vorrei infondere in qualcuna delle mie lettrici (incomincio con la presuntuosa lusinga di averne) lo stesso entusiasmo, che io provo, per queste ben intese istituzioni. Se non ci riesco non attribuitelo alla causa che è ottima, ma alla pochezza dell'avvocato.

Le scuole tipo Cora Brazzà sono ordinate nel modo seguente:

Le fanciulle, che col consenso esplicito dei loro genitori o di chi ne fa le veci, si iscrivono alla scuola, non debbono avere meno di 6 anni, più di 16, salvo autorizzazione speciale da parte della patronessa. Le allieve si obbligano di frequentare  la scuola durante il periodo di tre mesi, assistendo a due lezioni di due ore almeno la settimana e di pagare gli oggetti che perdono o guastano per trascuratezza... Nel periodo, in cui sono aperte le scuole elementari, le allieve che le frequentano, vengono ammesse a quella di merletti soltanto nelle ore che hanno libere. Se non vi fosse stata questa restrizione, molte famiglie di contadini avrebbero preferito di mandare le loro figlie alla scuola di merletti anzichè alla elementare. Ciò è significante. La scuola è aperta d’estate dalle 7 ant. sino al tramonto. Durante l'inverno si ammettono le allieve alle 8 ant., e, in questa stagione, vi è pure scuola serale di due e anche tre ore, secondo il desiderio delle allieve e l'urgenza del lavoro. Dal mezzogiorno al tocco, hanno libertà piena ed intera per desinare e divagarsi un pochino. In estate, alle 4 pom., sono concessi 20 minuti di riposo per la merenda.

Nella scuola vi ha un andirivieni continuo di fanciulle; poichè esse la frequentano nei momenti in cui le faccende dei campi, l’orario della scuola elementare ed il governo della casa lo consentono. Mentre lavorano, le allieve possono parlare, ma senza far troppo rumore; è loro permesso di cantare in coro. Nessun estraneo può entrare in iscuola senza speciale permesso; sì fa eccezione per il clero della parrocchia. Ogni allieva viene inscritta in apposito registro, con la indicazione esatta del materiale che fu ad essa consegnato (tombolo, fuselli, spille, filo) attribuendo a ciascun oggetto il prezzo di costo all’ ingrosso. Le allieve quando hanno terminato il pezzo di merletto, che viene stabilito a seconda delle ordinazioni, lo staccano dal tombolo e vi applicano un cartellino sul quale scrivono il proprio nome, il numero del disegno, la lunghezza del merletto ed il prezzo che loro è dovuto. In tal modo le bambine continuano ad esercitarsi un po’ nello scrivere e far di conto. A questo stesso fine mirano le brevi relazioni, che le fanciulle debbono fare per iscritto alla patronessa durante la di lei assenza, su quanto avviene nel tranquillo e sereno ambiente della scuola. Ho avuto la fortuna di leggere alcune delle lettere scritte dalle allieve alla loro nobile patronessa, in cui appunto riferivano intorno all’andamento della scuola e rimasi commosso per la ingenuità della narrazione e per la schiettezza sublime dei sentimenti. Alla buona contessa di Brazzà queste lettere sono carissime, e per chi non lo sarebbero?

Una volta al mese, la sorvegliante della scuola di Brazzà, che è una contadina del luogo, la quale percepisce 75 centesimi al giorno, consegna alla patronessa od a chi per essa, tutto il merletto terminato nel corso del mese, perchè il lavoro delle singole allieve venga esaminato e giudicato il merito relativo di ciascuna. Ad ogni pezzo bene eseguito, viene assegnato un maggior prezzo, in ragione del 5 per 100, su quello normale. All’allieva, la quale nel corso dell’anno ha ottenuto il maggior numero di questi compensi, si conferisce un premio speciale di lire 20. È questo un ottimo metodo di premiazione, poichè il premio viene conferito a chi ha lavorato meglio e con maggior diligenza e pulizia, non a chi sa fare merletti più difficili. La più giovane delle allieve può quindi competere con quelle che sono maggiori di età e che da molto tempo frequentano la scuola. Le fanciulle lavorano a cottimo; sarebbe conveniente adottare altro sistema in una scuola di questo genere.

Ogni disegno consegnato all’allieva porta un numero corrispondente ad una speciale indicazione risultante da apposito registro, nel quale sì segna la quantità ed il numero del filo, la quantità dei fuselli consegnati e, a lavoro compiuto, il prezzo pagato all’allieva per il lavoro da essa fatto e quello di mercato, che supera il primo del 30 per 100. Dal prezzo, che spetterebbe alla allieva per il merletto fatto, si deduce il costo del filo e di qualsiasi altro oggetto abbia perduto o guastato per negligenza o sbadataggine. Questo computo viene fatto regolarmente mese per mese. Le fanciulle, che insegnano alle loro compagne tre nuovi punti, ricevono un compenso di 50 centesimi. Il 30 per 100 sul prezzo di mercato viene prelevato onde sopperire alle seguenti spese generali: retribuzione della sorvegliante e della persona incaricata di tenere la facile contabilità; affitto del locale per la scuola (per Brazzà questa spesa non esiste); riscaldamento ed illuminazione durante l’inverno; acquisto e manutenzione di tomboli, fuselli, spille e sopratutto disegni, che rappresentano una spesa assai rilevante e sono consegnati gratis alle allieve, le quali debbono restituire il vecchio disegno per poterne avere uno di nuovo. In questo modo si evita la possibile vendita a danno della scuola. Col predetto 30 per 100, si sopperisce ancora alle spese di trasporto dei merletti alla loro destinazione, alla corrispondenza ed al ribasso del 10 per 100, in favore del negoziante a cui il prodotto è venduto. Le allieve sono pagate ogni mese ed in contanti. Nella scuola di Brazzà, contrariamente a quanto accade in altre scuole, si è verificato ripetutamente il fatto che anche le contadine adulte, nel momento in cui il lavoro nei campi cessa, cioè dal mezzogiorno alle due, frequentano e con profitto la scuola. Ciò prova come la industria dei merletti vada facendosi rapidamente popolare nelle nostre campagne. Due o tre contadine adulte, costrette a starsene tappate in casa per infermità croniche, mandarono le loro bambine alla scuola ad apprendere il lavoro del merletto, perchè queste alla lor volta lo insegnassero ad esse. Queste povere donne si guadagnano ora una quindicina di lire al mese; non sono più di peso, ma di sollievo alla loro famiglia. Iddio benedica la buona Contessa!

La scuola di Martignacco, che conta 18 allieve, non è che una sezione di quella di Brazzà. Quella di Fagagna, con 32 allieve, è invece sussidiata dal Legato Pecile; la maestra, di quest’ ultima, percepisce a titolo di retribuzione (constatata insufficiente) il prezzo dei merletti fatti dalle bambine nei tre primi mesi di insegnamento ed il 10 per 100 sul prezzo del lavoro complessivo dell’ intera scolaresca. Secondo calcoli, i quali non possono essere molto lontani dal vero, si ammette generalmente, che, dopo 4 o 5 anni, con 500 o 600 operaie, mediante un’amministrazione economa ed avendo assicurato il mercato per la vendita dei prodotti, il profitto pel capitale d’impianto e di manutenzione possa raggiungere il 15 per 100. Sarebbe davvero un bel resultato.

Accennerò ad altre due forme di scuole.

Nella scuola di Coccollia (Romagna), fondata dalla contessa Maria Pasolini, le allieve non lavorano a cottimo ma a giornata. È stata istituita tre anni fa, non si possono quindi stabilire confronti rispetto alla quantità e precisione del lavoro con la scuola di Brazzà. A Coccollia, le allieve merlettaie sono tutte giovanissime; poichè la contessa Pasolini avvertì l'inconveniente che insegnando alle più mature d’età, queste abbandonavano troppo presto la scuola e non continuavano quindi a lavorare di merletto dopo aver cessato di frequentarla.

A Cantù, la patria adottiva del merletto, vi sono molte scuole e fabbriche. Nelle scuole, le fanciulle sono tenute sino a tanto che diventano abili operaie; ma non ricevono, durante questo periodo, alcun compenso. Il reddito netto del merletto prodotto va a totale beneficio delle maestre. In un paese nuovo all’industria dei merletti questo sistema non reggerebbe sicuramente. Anzitutto bisogna provare che questo genere di lavoro è rimunerativo e poi che l’ industria abbia gettato salde radici.

Nel territorio di Trieste, esistono pure fiorenti scuole di merletti, le quali vengono largamente sussidiate dal governo. Io ritengo che se in altre parti della nostra provincia sorgessero scuole di merletti e che per il loro impianto abbisognassero di sussidio da parte del governo, il Ministero d’agricoltura non si rifiuterebbe di concedere un qualche centinaio di lire. Abbiamo il precedente che per le scuole di cestari fu: largo di aiuto. Del suo speciale interessamento, per l’elegante industria dei merletti ha dato anche recentemente una splendida prova, accordando lire 1000 a titolo di contributo nelle spese a cui andrà incontro il Comitato di signore (anima e mente del quale è la contessa di Brazzà) per una mostra italiana di merletti alla prossima esposizione internazionale di Chicago.

Vidi la scuola di Brazzà nel suo nascere e mi fu facile il pronostico che la istituzione, sorta sotto i più lieti auspici, doveva prosperare, dare frutti buoni e copiosi e trovare ambiente adatto in altre parti della nostra provincia dove non difettano certamente le persone ben disposte ad accogliere quanto può tornar utile per il miglioramento morale e materiale della classe agricola.

Era il dì 8 settembre; nello splendido castello di Brazzà aveva luogo la prima esposizione agraria locale di emulazione fra i contadini.* Inspiratrice ed anima della esposizione fu la contessa Cora, che coadiuvata dalla intelligente operosità di signore gentili e di egregi signori, a capo de’ quali il suo consorte, il conte Detalmo, ebbe il conforto di vedere pienamente riuscito e giustamente apprezzato il primo tentativo di consimili esposizioni in Italia.

Ciò che attraeva maggiormente l’attenzione della gente, accorsa in folla a vedere l'esposizione, era un gruppo di sei bambine, che col tombolo sui ginocchi  e i fuselli alla mano lavoravano il merletto con modesta disinvoltura dinanzi ad un pubblico assiepato attorno ad esse meravigliato e commosso. Quelle bambine avevano avuto dalla contessa Cora la prima lezione di merletto il dì 25 agosto, dunque in tutto soli 15 giorni di scuola! In questo brevissimo tempo erano già riuscite a fare merletti a uso torchon con 50 fuselli. La contessa Brazzà ebbe aiuto efficace, in questo suo primo tentativo, dalla gentile signorina Dorina Bearzi, la quale non trascura di occuparsi, anche al presente, di tratto in tratto delle allieve merlattaie. Il tentativo riuscì a meraviglia, molte contadine de’ dintorni chiesero e furono ammesse alle tre scuole, che, come già dissi, contano ora un centinaio di allieve, alcune delle quali sono capaci di fare i punti di Milano, di Chioggia, copie di merletti antichi e merletti fini da biancheria. Le più abili possono guadagnare, in una giornata di lavoro di 10 ore, da 80 centesimi ad una lira.

Alla imminente seconda esposizione locale di emulazione fra i contadini, che avrà luogo in Fagagna, ben 93 allieve delle scuole di Brazzà, Martignacco e Fagagna si presenteranno a lavorare il merletto e vi sarà pure una ricca mostra di merletti da esse fatti nel corso dell’anno. Si è percorso molto cammino in così breve tempo! Crescit eundo!

Ho visitato, ne’ giorni scorsi, la scuola, che è installata nel castello stesso di Brazzà. La signora contessa siedeva fra le sue allieve e mentre col tombolo dinanzi lavorava il merletto, istruiva le bambine con rara abilità pedagogica, ma senza l’ombra di pedanteria. Le ragazzine mostravano di avere una confidente venerazione per la loro nobile maestra, che non incute timorosa soggezione, ma affettuoso rispetto. Le fanciulle vanno orgogliose di avere così abile e buona insegnante. Qualcuna recitò in mia presenza, una breve poesia in lode della Contessa. Come erano liete di esprimere in bella forma i loro sentimenti! Sembrava che i versi scaturissero spontanei dal loro cuore, così calde e sincere fluivano alla bocca le parole, così tenero era lo sguardo, che nei luoghi più toccanti, indirizzavano alla nobile Signora, che ne era lieta. Sotto così abile direzione la scuola non può che prosperare: bontà di cuore, rettitudine di mente, abilità tecnica e commerciale, gusto fine, sono doti cospicue della contessa Cora. Abilissima nella propaganda, può dire ormai di avere assicurata al nostro Friuli l’industria dei merletti. Non mancano presso di noi signore, le quali possono emulare nel bene, santa emulazione, la contessa di Brazzà. Questo articolo è scritto per esse. Dare alle nostre contadine il mezzo di guadagnare con facile e dilettevole lavoro durante i periodi di tempo che il governo della casa e le cure de’ campi non richiedono la loro opera, ecco lo scopo elevato cui mirano queste scuole. Non tutti i fisici si prestano al faticoso lavoro de’ campi, non sempre dalla donna e specialmente dalla fanciulla si esige lavoro manuale, ma semplice e passiva sorveglianza. Ai fisici deboli, alle mani costrette temporaneamente alla inoperosità, ecco offerto il modo di guadagnare qualche peculio.

, a mio credere, vi è da temere che le fanciulle del contado avvezzate al facile lavoro (lavoro da signorine, appreso da signore o da esso propugnato) sdegnino quindi la rude bisogna de’ campi. La tendenza vi può essere a ciò, non lo nego; ma a ricondurle sulla buona via: varranno i savi consigli e gli autorevoli ammonimenti delle signore patronesse delle scuole, e più che tutto varrà il comando, non sempre egoista, del contadino che vuole la donna equamente e proficuamente associata al suo lavoro. I signori non possono disinteressarsi della sorte della classe operaia, sia delle città come delle campagne. I tempi corrono difficili e ben giustamente il Bonghi ebbe a dire, in uno de’ suoi splendidi articoli: “Le classi che stentano, bisogna che siano circondate d’amore da quelle che godono; che non s’aspetti che il soccorso lo chiedano, ma sia offerto, quasi direi imposto. E il soccorso non deve consistere nell’ elemosina; bensì in creazione di istituzioni, che a ogni vicenda triste della vita dell’operaio, bambino, fanciullo, adulto, vecchio, provvedano con sincerità e prontezza di commozione e di servigio. L’elemosina umilia, e oggi n'è sentita una amarezza nell’animo di quello che la riceve; l’instituzione invece una volta creata, par cosa di quella in cui favore è creata”.

Udine, agosto 1892, Vittorio  Stringher

 

A seguito di questo articolo, un lettore firmato E.D. , nel giornale La Patria del Friuli  del 15 novembre 1892, espresse dei dubbi sulle conseguenze nel diffondere tanto entusiasmo sulle scuole di merletto e Stringher così rispose tramite lo stesso giornale.

 Per le scuole dei merletti , La Patria del Friuli  24 novembre 1892

Egregio professore,

le chiedo un po’ di ospitalità nel suo accreditato giornale, per rispondere agli appunti del signor E.D. contro le scuole di merletti istituite dalla signora Cora di Brazzà Savorgnan nel castello di Brazzà, a Martignacco ed a Fagagna. Non è certo il signor E.D. con il suo articolo, pubblicato nella Patria del Friuli del 15 novembre corr. N.273, che nuocerà alla filantropica iniziativa; tutt'altro, ma siccome, durante il mio soggiorno costì, vi fu chi espresse dubbi sulla opportunità e convenienza di diffondere l'industria dei merletti nelle nostre campagne, così prendo la palla al balzo per richiamare l’attenzione del pubblico su queste scuole provandomi a ribattere le obbiezioni contro di esse. Nello scrivere l’articolo “ Scuole di  merletti in Friuli », pubblicato nel Bollettino dell’ Associazione Agraria Friulana, del 10 settembre p. p. N. 16-17- 18, che il signor E.D. si compiace di citare nei suoi “appunti” fui  eccessivamente preoccupato di una obbiezione la quale più frequentemente m'era giunta all’ orecchio ed è questa che il lavoro del merletto avrebbe potuto distrarre le nostre contadine dai lavori faticosi dei campi e dal governo della casa. Difatti fui molto temperato e guardingo nel manifestare il mio avviso sulla convenienza di diffondere l’industria dei merletti nella nostra provincia. Giudichi il lettore dai seguenti luoghi del mio accennato articolo, che qui riproduco testualmente. ( segue tutto l’articolo).

Come vedono i cortesi lettori, io fui molto circospetto nel giudicare dell’avvenire della industria casalinga dei merletti e se di una cosa debbo pentirmi si è di esserlo stato sino troppo: come lo provano gli «appunti» del signor E. D. L'onorevole Marinelli, in un suo breve articolo comparso nel «Bollettino dell’ Associazione Agraria Friulana » del 4 novembre N. 19-20-21 consigliando la visita alla scuola di merletti di Idria * in Carniola, ebbe a dire: « Vedo con grande piacere come, specialmente per iniziativa e per merita della contessa Cora di Brazzà, una nuova industria vada diffondendosi nelle nostre campagne, quella dei merletti, industria non solo proficua ma educatrice, come quella che non può non esercitare un Benelico influsso, ingentilendo l'animo di chi vi si dedica. » Ecco sino alla missione educatrice del merletto io non c'ero arrivato; come, del resto, non mi sono mai voluto convincere della missione educatrice del teatro, mi sono lasciato molto persuadere dell’ ingentilimento degli animi mediante la musica... malgrado che le cantanti si chiamino virtuose. Ma non divaghiamo. Il sig. E. D, invece, prova un senso di disgusto al solo pensiero che in una famiglia di contadine del Friuli, quale ci viene magistralmente descritta da Caterina Percoto, possano esservi una o più ragazze sane, vispe, fiorenti di vita e di salute, intente al lavoro del merletto. Io non posso non fare omaggio alla eccessiva sensibilità del sig. È. D, anche perchè vorrei mi passasse per buono, ed almeno per non morboso, il sentimento di viva commiserazione che io provo per l’innumerevole stuolo di ragazze del nostro contado, che per un meschino salario aflaticano dalle 12 alle 14 ore al giorno negli stabilimenti per la trattura della seta, In quel lavoro accasciante e malsano sì sciupano miseramente non soltanto il fisico, ma talvolta anche il morale, a centinaia e centinaia le ragazze sane, vispe, fiorenti di vita e di salute, delle famiglie di contadini del Friuli, quali ci vengono magistralmente descritte dalla Percoto! Per il sig. E D, una scuola di merletti di mezzo ai campi, fra una popolazione di una sola classe che ha bisogno di tutte le sue forze per esplicare la sua vita, le sue tradizioni, le sue arti, è cosa che non va, può durare; anzi gli dà l'aspetto di uno sforzo contro natura. Ora io chiedo al sig. E D. se gli va l'esodo continuo dei nostri contadini per l'America, e se trova molto consolante la statistica dei pellagrosi, che rallegrano le nostre campagne e se gli sembra una spesa voluttuaria quella che fa la nostra Provincia (circa 300 mila lire all'anno) per il mantenimento dei mentecatti in massima parte dovuti alla pellagra. Il sig. E. D dice che il contadino ha bisogno di tenere raccolte e disciplinate tutte le sue forze, ed una distrazione qualunque sarebbe sempre di grave danno alla sua economia; perciò condanna le scuole di merletti. Il signor E. D., mi perdoni tanta franchezza, non è giusto se non condanna contemporaneamente tutti gli uomini benemeriti della nostra Provincia, i quali hanno fondato gran numero di stabilimenti industriali dove trovano lavoro e pane migliaia e migliaia di ragazze di quelle vispe, ecc. ecc., per cui prova tanta tenerezza il sig. E. D. da rendermelo simpatico. Or figuriamoci, dico Il Sig. E D. quale esca potente non trovi apparecchiata alla sua vanità, la figlia del nostro contadino che sì vedo offerto il tombolo gentile della scuola dei merletti. Le sue mani callose, rammorbidite dalla nuova consuetudine, sdegneranno di riprendero in appresso l' arcolaio, la rocca, il mestolo, in mazza, la zappa è tutti, gli altri simili  istrumenti della casa. A questa asserzione gratuita il prof. Errera, gli risponderebbe coi seguenti fatti relativi all'industria dei merletti nell’Alta Loira e paesi limitrofi: « Tutte le donne se ne occupano: taluna durante 15 ore al giorno e per tutto l’anno ; altre in certe ore e in qualche stagione. Nella regione di Puy le operaie di merletti sono da 130 a 140 mila. Le donne di questi luoghi sono attive, massaie, buone amministratrici del proprio peculio, bottegaie eccellenti e un proverbio dice: «Avec femme du Puy, homme de Lyon, on devail faire exellente maison». Si insegna l'arte ai bambini mentre giuocherellano: si danno merletti da fare e piccole macchinette da girare, in luogo dei bamboccì.  En genéral les moeurs sont pures, ecco quello che tutti affermano.(1) Se io, nel mio articolo, ho tanto insistito nel dichiarare vantaggiosa l'industria dei merletti quale industria sussidiaria e non come formante l'unica occupazione delle nostre contadine, lo fu in vista del tornaconto economico, non nella tema che per essa si sottraessero ai lavori dei campi le braccia delle donne; chè se tornasse meglio rimunerativo il lavoro del merletto rispetto a quello impiegato nei campi, perchè impedire alle nostre contadine di applicarsi anche esclusivamente al primo? Ma, a questo proposito, il sig. E. D. sarebbe capace di venir fuori di nuovo con questa peregrina sentenza dovuta, a quel che sembra, alla divina Provvidenza, Ora, se per l'economia universale vi dovrà essere sempre nel mondo e chi lavora i campi e chi da questo lavoro deve trarre comodo per attendere a più alti uffici, procuriamo di non turbare quest'ordine pensando che una volta usciti dal nostro posto, sdegneremo poi di ritornarvi restando solo ricchi di desideri, Così dovevano pensarla anche gli antichi egizii, che si dividevano in caste; ma non lo dovrebbero, parmi, i liberali di questa fin di secolo. Sono certo che il Sig. E. D. non perdonerà mai a Giotto di non aver continuato a fare il pecoraio; a Mauro Capellari di avere abbandonato alla pastura i suoi porci per divenire poscia papa Gregorio XVI; a Edison di non avere continuato a fare il train-boy (venditore di giornali, paste sigari e bibite ) sulle ferrume dell'America del Nord; tutta gente i cui genitori non seppero tenere i figli al loro posto. Forse dell’ opera nefasta di quei sciagurati genitori il Sig. E. D. troverà una spiegazione riflettendo che essi ignoravano come “la pace”, che è uno dei supremi beni sociali, derivi dalla tranquillità dell’ ordine e l’ordine dalla giusta armonia delle forze, e questa armonia dall’esercizio diligente e fedele degli uffici e ministeri che a tutti assegnano la Provvidenza, la qual cosa, invece il Sig. E D. sa benissimo. Pel Sig. E. D., le scuole di merletti sono destinate a creare nuovi spostati. Ma di grazia, come può credere ciò mentre chi lo frequenta impara a fare quattrini mediante un lavoro onesto e dilettevole ? E poichè il S'g. E. D. tira in ballo, a titolo di lode, e incontrapposto a quella di merletti, la scuola agraria di Pozzuolo, gli dirò che pensano più particolarmente alle scuole d'agricoltura quando, nel mio articolo, accennano al falso indirizzo dato ai nostri istituti d'insegnamento ; e, per mettere ora i punti sugli è, non esito a dichiarare che macchina più perfetta e costosa per la fabbricazione di gente spostata non vi ha in Italia delle scuole d’ agricoltura e ciò malgrado la buona volontà e l’intelligenza di taluni professori ad esse preposti. “Curioso riscontro, dice il signor E. D., una gentildonna veneziana (la Contessa Cecilia Gradenigo vedova Sabbadini), nata e cresciuta fra le trine e i merletti, che consacra tutte le sue fortune alla creazione di una scuola d’agricoltura”. Ed il riscontro è curioso davvero, tanto più che quando la gentildonna veneziana non poteva più vivere fra le trine e i merletti,.... cioè dopo la sua morte, pensò bene di lasciare la sua fortuna per l'istruzione di una scuola -agraria. Anche i parenti della contessa Gradenigo, che furono diseredati  ebbero diminuita d’assai la loro quota ereditaria, avranno trovato il riscontro curioso assai ! Io invece ammiro molto di più la contessa Cora di Brazzà Savorgnan, la quale non aspetta di morire ( Dio le conceda cent'anni di vita!) per fare del bene, ma spende intelligenza e danaro, mentre vive, in pro della classe agricola.

(1) A. Errera. Manuale teorico-pratico per le piccole industrie. Milano 1880. }

 

 

L’industria dei merletti nelle campagne

Conferenza tenuta in Udine dal sig. Vittorio Stringher, per incarico dell'Associazione Agraria Friulana, il giorno 2 giugno 1893, nella sala maggiore del Palazzo degli studi.

 

« Donc, sous le double point de vue du bien-étre matériel et des bienfaits moraux qu'elle rèpand dans les villes et surtout  dans les campagnes, l’industrie dentellière est digne de la sollécitude de tous les esprits éclairés; elle doit étre considérée comme une des plus utiles et des plus intéressantes, et nous citerons, en terminant, aux esprits  chagrins qui déplorent les progrés du luxe, cette phrase si juste d'un éminent orateur, M. Thiers: Le luxe est un des sìgnes de civilisation.« FELIX AUBRY »( Pertanto, dal duplice punto di vista del benessere materiale e dei benefici morali che diffonde nelle città e soprattutto nelle campagne, l'industria del merletto è degna della preoccupazione di tutte le menti illuminate; deve essere considerato come uno dei più utili ed interessanti, e citeremo, in conclusione, agli spiriti scontenti che deplorano il progresso del lusso, questa frase molto appropriata di un eminente oratore, il signor Thiers: Il lusso è uno dei segni di civiltà. “FELIX AUBRY”).

 

Signore e Signori,

Strana pretesa sarebbe stata la mia se mi fossi fitto in capo di intrattenervi, cortesi ascoltatrici, sul gentile lavoro dei merletti.  Parlarne a voi, che al più nobile dei lavori femminili avrete dedicato la miglior parte del vostro tempo, a voi che il culto del bello fa preferire un merletto antico o anche moderno di squisita fattura, in cui l’arte predomina, alle volgari pietre preziose la cui bellezza da natura soltanto derivano e il pregio dalla loro rarità?

E poi, in confidenza, avrei saputo farlo? Credetemi sulla parola: no!

 

( I )

 

Nacque controversia circa la culla dei merletti; ma ormai può darsi per sicuro che il vanto spetti all’Italia. Non è di piccola importanza questo primato; poiché noi sappiamo quanto importino la vocazione naturale, il genio specifico, il gusto artistico del popolo nel far risorgere e fiorire una industria tradizionale. Bastò che il Fambri dopo una visita, che chiamerò pietosa sebbene elettorale, all'isola di Burano, formasse il proposito di far rivivere la scomparsa e un giorno fiorente industria dei merletti, perchè la povera Burano migliorasse notevolmente le sue condizioni economiche. Bastò che una popolana di svegliato ingegno, Angela Bafico, da Chiavari, si proponesse di por riparo agli sconci cui andava soggetta l'industria dei merletti, già famosa nella Riviera ligure, per ridarne l’antico splendore. Non moltiplico gli esempi che numerosi s’affacciano alla mente.

Quando non v’ha modo di fissare una data cronologica, si ha pronta la comoda frase che l'origine si perde nella notte dei tempi. E nella notte dei tempi si perde, per taluni, l'origine del merletto. Ma dalle diligenti ricerche fatte in questi ultimi tempi, specialmente per opera di Felice Aubry (Rapporto sui pizzi all’ Esposizione universale di Londra del 1851), della Bury Palliser (History of lace) d’Alan Cole (Les Dentelles anciennes) e di Joseph Séguin (La Dentelle. Histoire, description, fabrication, bibliographie. Paris, 1875), non vi ha più luogo a dubitare che prima del XV secolo non si conoscesse alcun documento certo comprovante l'esistenza del merletto. Non è che alla fine del XV secolo che noi vediamo questo genere di lavoro entrare nell’uso generale e costituire una vera industria. I pizzi più belli al commercio europeo furono dati da Venezia e la loro fama risale appunto al XV secolo, che è il secolo di maggiore sfarzo per la Serenissima Repubblica. Allo stato presente delle ricerche, nessun paese può contestare a Venezia l'invenzione del pizzo ad ago. Erano di Venezia le trine adoperate nella incoronazione di Riccardo III d’Inghilterra (1483). Non è certo se il merletto ad ago abbia preceduto quello a fuselli: secondo il Melani sì; ma il Séguin li vorrebbe contemporanei e così pure il Lefébure, il quale osserva «che è alla stessa epoca che si vedono progredire ed essere impiegati a vicenda or l'uno or l’altro (Ernest Léfebure, Broderie et Dentelles. Paris, 1887) ».V’ha pure controversia circa l'origine dei merletti a fusello. La Fiandra, mentre non contesta il vanto a Venezia della creazione dei pizzi ad ago, si attribuisce il merito dei merletti a fusello. J. Séguin ha messo avanti buone ragioni per contestare alla Fiandra tale priorità . Il Melani è dello stesso avviso, non solo, ma si studia di provare, come il paese, il quale fabbricò prima d’ogni altro i pizzi a fusello, fosse l’Italia e probabilmente Venezia (Svaghi artistici femminili. Ricami, pizzi, gioielli, ventagli, specchi e vetri di Murano, Milano, 1891). Il Lefébure sembra propenso ad attribuire la precedenza all’ Italia. Sfuggito al Séguin, che lo avrebbe fatto certamente valere a sostegno delle sue argomentazioni, il Lefébure ricorda che in Italia (e non solo in Italia) la più antica menzione dei pizzi a fusello risulta da un contratto divisionale fatto a Milano il 12 settembre 1493 tra la sorella Angela ed Ippolita Sforza Visconti in occasione delle nozze Costabili – Caselli). Nel 1580 i fiamminghi copiano il libro di Nicolò d'Aristotile detto lo Zoppino, pieno di svariati disegni, i quali, pubblicati cinquant'anni innanzi, mostrano la perfezione a cui l’arte era già salita nel 1530 a Venezia.  Il libro ha per titolo: Esemplario di lavori dove tènere fanciulle et altre donne nobile potranno facilmente imparare il modo di lavorare, cusire, reccamare, finalmente far tutte quelle gentilezze et lodevoli opere, le quali po’ fare una donna virtuosa con laco in mano, con li suoi compassi et misure, Noto ancora che i pizzi a fusello furono introdotti in Germania nel 1536 per mezzo di alcuni mercanti provenienti dall’Italia e sopratutto da Venezia. In Isvizzera e più particolarmente a Zurigo quest'arte fu introdotta dai veneziani in quel torno di tempo. Ciò s'apprende dalla prefazione ad una raccolta di disegni conservata nella Biblioteca reale di Monaco, intitolata: Neue Modelbuch allerley Gattungen Dantelschnir, stampata a Zurigo da Christophen Froschowern (1). È una graziosa e commovente leggenda quella che corre a Venezia intorno all’origine dei merletti a fusello. Un giovane pescatore dell'Adriatico era fidanzato alla più bella fanciulla d'una delle isole della laguna. Bella ma laboriosa, la ragazza fece al suo amante una rete, che egli lieto portò nella sua barca. La prima volta che se ne servì, trasse dal fondo del mare un’alga superba pietrificata, che sollecito offri alla fidanzata. Ma ecco che la guerra scoppia ed obbliga tutti i marinai a partire sulla flotta veneziana verso le rive dell’Oriente. La derelitta fanciulla piange la partenza del fidanzato e rimane lunghe giornate a contemplare la bella alga, che le aveva donata come pegno dell’amor suo. Mentre guarda quelle superbe nervature, rilegate da esili fibre, intreccia i fili, che terminati da un piombino, pendono dalla rete che sta lavorando; poco a poco essa riproduce con le abili dita il modello amato sul quale i suoi occhi ritornavano senza posa. Alla fine ella riuscì: e il merletto a piombini era inventato! Il Lefébure, riferendo questa graziosa leggenda, si chiede se non sia il caso di ripetere: « Se non è vera, è ben trovata », ed io soggiungo che a volerla sfatare sarebbe crudele quanto inutile profanazione.

( II )

Non è mio compito quello di tracciarvi la storia dei merletti; delle vicende loro ve ne dirò quel tanto che possa giovare allo svolgimento del tema, che mi sono prefisso. Le persecuzioni delle quali i pizzi furono oggetto in passato, provano la grande importanza che aveva acquistata la più gentile fra le industrie femminili. Le leggi suntuarie non risparmiarono i merletti. Negli anni 1616, 1633 e 1634 i Provveditori alle pompe proscrissero il punto in aere da Venezia, sotto pena di ducati 200 per ogni trasgressione. Una drammatica, deliberata dalla Republica di Genova il 17 marzo 1705, proibiva l’uso di certi pizzi e indicava l’uso di quelli che potevano adoperarsi e in che misura. In Francia, sino dal tempo del gioviale Enrico IV, si emanò qualche editto per reprimere l’abuso che si faceva dei merletti, ma il ministro Sully, l’austero ugonotto, non l’ebbe vinta. Luigi XIII, affetto da rigorismo religioso, fu più severo emanando, nel 1629, l’editto Réglement sur les superfluités des habits; ma però la legge draconiana non fu applicata con soverchio rigore e fu cagione di mordaci, graziosissimi epigrammi. Ricorderò i disegni d’Abraham Bosse rappresentanti le courtisan suivant le dernier édit, così pure le valet de chambre e la dame sempre suivant le dernier édit. Sotto la reggenza d’Anna d'Austria i merletti furono perseguitati da parecchie leggi suntuarie. Quella che comparve nel 1660, l’ultimo anno del cardinale Mazzarino, produsse molta emozione, poichè era promulgata nientemeno che alla vigilia del matrimonio del giovane re. Questo editto fu causa di un elogio canzonatorio del Molière nell’ Ecole des maris e di una satira in versi da parte di un gruppo di belle signore, che si riunivano all’ Hotel de Rambouillet, avente per titolo: La Révolte des passements. Il Colbert la ruppe con le tradizioni del Sully e a lui deve la Francia la creazione ed il diffondersi dell’ industria dei merletti ad Alencon. A tale scopo, il grande ministro fece venire da Venezia e dalla Fiandra abilissime operaie, accordò privilegi, elargì denaro, protesse con tariffe doganali elevatissime, proibitive l’ industria nazionale. Anche in Portogallo i merletti ebbero aspre persecuzioni. Una legge del 1749 ordinava l’esilio dalla città di quei negozianti che avessero esposto in pubblico qualsivoglia genere di pizzo per la vendita.

L'uso del merletto è andato restringendosi dopo che alla fine del secolo XVI il sesso forte, non dico forte perchè è il mio, non l’adoprò più nei suoi abbigliamenti, mentre sino allora aveva contribuito per buona parte allo sviluppo della sua fabbricazione în ogni genere di punti. Oggidì i merletti rimangono il privilegio esclusivo degli abiti femminili e di quelli sacerdotali. Ma le donne furono la causa, attuale d’una deplorevole decadenza. È il Didron competente che lo dice, non io! Le belle guipure, i grandi punti d’Italia e di Fiandra, ch’erano di stile così elevato, scomparvero per far posto ai merletti banali, poco decorativi e in cotone, anche nelle qualità superiori. Il Lefébure, per soprasello, osserva che “contrariamente all’opinione generale non è l'influenza del gusto femminile che produsse i merletti più belli; fu quando gli uomini si son decisi di portare i merletti, che i disegni assunsero un carattere artistico ben definito. Non spiaccia agli uomini, che criticano così facilmente il lusso delle donne, è incontestabile che i pizzi di merletto più preziosi furono fatti per i costumi di Corte dei grandi signori o per i camici e i rocchetti dei prelati». Cinq-Mars, alla sua morte, nel 1642, lasciò più di trecento acconciature di colli e manichini guarnite di merletti!

Ad onor del vero però, e per cattivarmi la benevola attenzione delle mie gentili ascoltatrici, ricorderò che nel secolo XV sembra che l’ industria dei pizzi abbia avuto a Venezia un forte impulso dall'alto patronato della dogaressa Giovanna Malipiero. Nel secolo successivo un'altra dogaressa, la Morosini Grimani, moglie del doge Marino Grimani, dedicò cure e interessamento particolari al lavoro dei pizzi istituendo, a spese proprie, una officina di merletti e altre curiosità nella contrada di Santa Fosca. Gli storici affermano che in questa officina lavorassero 180 operaie circa sotto la direzione della mistra (rnaestra) Cattina Gardin ed esclusivamente per la dogaressa, la quale regalava parte dei pizzi del suo laboratorio alle più galanti gentildonne delle Corti europee. Cesare Vecellio, nipote del grande Tiziano, sullo scorcio del XVI secolo, fece una mirabile raccolta di pizzi cui dette il titolo di: Corona delle nobili et virtuose donne, che dedicò alla clarissima et illostrissima signora Viena Vendramina Nani, dignissima consorte dell’illustrissimo signor Polo Nani, il Procurator di S. Marco. La Viena Vendramina Nani non soltanto era brava di eseguire pizzi, ma teneva presso di delle donne a lavorarli, sì che la sua casa era divenuta, secondo il Vecellio, il « ricetto delle più virtuose giovani della città ». Nella biblioteca Angelica di Roma, trovasi un vecchio album intitolato: Teatro delle nobili et virtuose. donne, dove si rappresentano vari disegni di lavori novamente inventati et disegnati da Isabella Catanei Parasole Romana. In Roma 1616. Di questo album furono fatte non meno di tre edizioni: quella che si conserva all’Angelica è la più grande ed è dedicata a donna Elisabetta Borbona d'Austria, principessa d’ Austria. La Parasole aveva il segreto d’ogni cosa bella e sapea far con lago quanto da poeta o pittor mai fosse espresso, come dice il codice (4). Per rimanere in Italia e venire ai tempi nostri, ricorderò la contessa Andriana Zon Marcello, la contessa Maria Pasolini e la contessa Cora di Brazzà Savorgnan, alla prima delle quali spetta in gran parte il merito di aver fatto risorgere la industria dei merletti a Burano, alle altre due di averla iniziata rispettivamente in Romagna e nel Friuli. Il merletto dunque fu in ogni tempo l'occupazione prediletta; il vanto e la gloria delle nobili et virtuose donne...

«E se ben dritto di veder procacci

Tra quei merletti e quella reticella,

Vi scorgerai mille amorosi lacci,

Mille punte d’Amor, mille quadrella, »

Come cantò galantemente, arcadicamente il monaco vallombrosano Agnolo Firenzuola. Ma per dare un colpo al cerchio e l’altro alla botte, mi corre l'obbligo di ricordare che in Portogallo fanno i merletti sopratutto gli uomini; in Inghilterra ed in Germania lavorano merletti uomini e donne. Il bello si  è, dice il Melani, che in Germania i pizzi a fusello fatti dagli uomini sono molto più pregiati; ed invero sono migliori di quelli eseguiti dalle donne.

Non mi direte che sono parziale!

( III )

Ho notato ed è notevole un fatto: in molte località si deve alla miseria persistente o a disastri momentanei l’iniziarsi o il risvegliarsi dell'industria dei merletti. Non sempre, dunque, la fame è cattiva consigliera. La miseria estrema, in cui versavano le popolazioni agricole della Boemia, determinò la introduzione della industria dei merletti in quella regione, dove ora ha una certa rinomanza. All’ Esposizione universale di Parigi del 1878 conseguì la medaglia d’oro il Comitato centrale per l’incoraggiamento dell’ industria nelle montagne della Boemia. Questo Comitato costituitosi sotto l’alto patronato dell’imperatrice Elisabetta per venire in aiuto delle donne povere della Boemia, ha fatto considerevoli sforzi per introdurre e sviluppare la fabbricazione dei merletti nelle montagne di quel paese.

La storia di quest'arte in Portogallo segnala una rifioritura assai rigogliosa dopo il terribile terremoto, che colpì Lisbona nel 1755. Verso la metà di questo secolo si parlava ancora di pizzi fatti a Lisbona e nei paesi vicini. Erano di filo bianco grossolano, di cui si faceva una larga esportazione nell'America del Sud. L'Irlanda si dedica da molto tempo nei merletti ad ago: dopo la grande carestia del 1846, s’incoraggiò in tutti i modi questo lavoro per venire in soccorso della popolazione povera della Verde Erinni. Si vuole che il primo pezzo di punto di Venezia, che servì di modello, fosse procurato da un gesuita, da ciò il nome dei merletti ad ago Jesuit's lace. Da molti e molti anni gl’isolani di Burano avevano abbandonata l’industria tradizionale dei pizzi. La miseria era già grande quando il rigido  inverno del 1872, l’aggravò arrestando la pescagione, l’unica risorsa del paese, Il Fambri, allora deputato al Parlamento, visitò l'isola derelitta e rimasto pietosamente impressionato dalla povertà di Burano volle far rifiorire l'antica industria dei merletti. Trovò nella Cencia la Scarpariola, vecchia settuagenaria, la maestra merlettaia, e in due signore la contessa Andriana Zon Marcello e la principessa Maria Chigi Giovanelli potenti aiuti pecuniari non solo, ma quel che più vale personali; quest'ultimi specialmente da parte della Marcello, la quale faceva tutto.... lasciando al  Fambri ed alla Giovanelli di occuparsi del resto. È il Fambri che così disse e ripetè in due suoi scritti per dimostrare il gran merito che spetta alla compianta signora nella splendida riuscita della scuola. “E non fu, come il Fambri avverte, che col darsi attorno che essa potè in tempi difficili risolvere un problema rimasto per secoli insolubile in quella che per Venezia poteva chiamarsi, l’età dell’oro. Infatti l'isola, che i nostri arcavoli chiamavano la nostra povera Burano (non c'è manoscritto in archivio che la nomini senza un aggettivo compassionevole), la quale non presentava che cenci quando le antiche gondole bagnavano nell’onda i loro strascichi d’oro, vi presenta ora non meno di tre o quattrocento giovinette che paiono tante milanesine e che; oltre al  vestir , alimentano la famiglia. Costì l’arte c’era ab antico, ma vi era morta di stento; per lei vi rinacque illuminata da un raggio di garbo e di civiltà, che non era lecito sperare e si sarebbe detto incompatibile sotto l’azione deleteria dell’indigenza e della tradizionale degradazione”. Dei pizzi di Burano non sì hanno saggi che rimontino al di là del 1793. Però l'anno prima un giornale di Venezia, la Gazzetta Veneta, segnalava il punto di Burano, « del quale” si esercitava largo commercio anche nei vecchi tempi, » Il ritratto di Alvise Pisani, inciso dal Bartolozzi nel 1793, é l’unico esempio di questo punto nelle incisioni di ritratti che dal se» colo decimosesto al decimonono sì conservano nella ricca collezione di stampe del Museo civico di Venezia. Il Moschini nel suo Itineraire, pubblicato nel 1819, e gli ultimi scrittori che discorrono di Burano fanno parola delle trine lavorate dalle sue donne avvenenti. Nel 1870 il Layard si propose, ma non riuscì, a far risorgere l'industria dei inerenti. Questo onore spetta al Fambri ed alla contessa Andriana Marcello. La industria dei merletti a fusello, quasi del tutto abbandonata a Venezia, risorse nell’ ultimo ventennio come quella dei pizzi ad ago. A Pellestrina le poche Ditte erano andate in rovina e la misera popolazione campava fra gli stenti. Nel 1874 per opera di Michelangelo Jesurum e di  Paulo Fambri, si fondò una Società anonima per la manifattura veneziana dei merletti. Da quell'anno la industria dei pizzi rinacque e diè lavoro ad un numero straordinario di operaie, dalle bambine di 8 a 10 anni fino alle donne attempate. Nel vestibolo dello stabilimento di Pellestrina sta scritto un motto generoso: Qualunque operaia disoccupata può ottenere lavoro. Il Melani ebbe dall’Jesurum stesso le seguenti notizie: la popolazione di Pellestrina è di circa 7000 anime, e se si eccettua qualche donna che lavora di reti, il resto, 2500 circa, sono tutte merlettaie. Nei vari paesi della provincia di Venezia le operaie ammontano a oltre 4000 e sul principio, verso il 1870, se ne contavano appena una cinquantina. Il salario medio per una operaia; escluse cioè le apprendiste, è di 80 centesimi per una giornata di 8 ore di lavoro a domicilio. Le operaie vere non frequentano più lo stabilimento. Secondo la statistica industriale del Bodio la cifra delle merlettaie sarebbe di molto inferiore a quella indicata dal Melani, la quale però appare più attendibile(1).

IV

A Cantù l'industria dei merletti venne introdotta ed iniziata nel secolo XVI dalle monache dell’ordine di S. Benedetto, che vivevano in uno dei molti conventi colà esistenti (Gran parte delle notizie relative all'industria dei merletti a Cantù le debbo alla squisita cortesia del signor dott. Angelo Colnaghi, notaio del luogo). In principio erano lavori molto semplici; ma da una cinquantina di anni a questa parte, l'industria andò perfezionandosi e pei disegni, e pel migliorato lavoro, e per la introduzione di varietà di punti e diversità di oggetti, oltre i semplici merletti a bracciatura. Nel Dizionario corografico dell’Italia, dell'Amati, si legge alla parola Cantù: « Assai antica è pure la fabbrica dei merletti che vi continua tuttora producendo annualmente per il valore di 160,000 lire. È un’ industria che impiega circa 1500 operaie, tra donne e fanciulle. Il Frattini, nella sua Storia a dell'industria manifatturiera in Lombardia, nota che nel tempo in cui egli scriveva (1856), soltanto gli abitanti del distretto di Cantù si dedicavano al lavoro dei merletti, e che a Cantù se ne occupavano circa 1600 fra donne e fanciulle. Queste lavoravano per alcuni mercanti i quali davano alle operaie canturine la materia prima, i disegni e gli oggetti necessari al lavoro, con un compenso giornaliero che variava da 20 centesimi ad una lira .  Il lavoro non si fa in appositi stabilimenti e laboratori; ma è casalingo ed offre un mezzo di guadagno anche a chi durante una parte del giorno deve attendere ad altre occupazioni od alle faccende domestiche. La madre di famiglia si pone al tombolo ultimato che abbia il governo della casa; la giovane reduce dal campo o dal lavatoio; la fanciulla, che ancora frequenta la scuola elementare, nelle ore lasciate libere dallo studio, Si riuniscono d’estate nei cortili, d'inverno nelle stalle, e lavorano chiacchierando e facendo a gara per giungere prime al segno fissato e cantando le canzoni usuali o le litanie, recitando il rosario, e così via. Il lavoro è generalmente casalingo anche per le apprendiste, In casa la madre avvia ad esso la figlia; la sorella maggiore lo insegna alla minore. Non mancano però scuole o raccolte di apprendiste, ciascuna delle quali paga 40 o 50 centesimi al mese alla maestra, e ritiene per il poco utile che ritrae dal suo lavoro. Tali scuole non oltrepassano la decina, e sono frequentate in media da 30 a 40 allieve dai 6 ai 10 anni d'età. Raramente questo lavoro forma oggetto di professione esclusiva; ma però è sempre trattato con grande cura. È innato in quella popolazione un certo gusto artistico e non le fece mai difetto una certa facilità a variare. Il Consiglio comunale di Cantù provvide, nel 1883, alla istituzione di una scuola di disegno applicata all'industria pel miglioramento appunto della lavorazione dei merletti e dei mobili, che ne risentirono un grande vantaggio. Ma all’infuori di pochi coraggiosi o meglio provveduti di mezzi, in generale i mercanti canturini vendono la merce, per toccar presto denaro, a commercianti forestieri, i quali ne fanno mostra nei negozi o alle Esposizioni sotto il nome di altre provenienze più in voga, con grande nocumento e del guadagno e della fama di Cantù; colpa questa del quasi nessuno spirito d’associazione di quegli industriali e dei pochi mezzi di cui possono in generale disporre. In Cantù, comune che con le frazioni conta quasi 10,000 anime, vi si impiegano circa 3000 lavoratrici. Anche nei vicini comuni di Cucciago, Figino, Intimiano vi lavorano altre donne, ma in numero assai minore. Il Melani fa ammontare il numero delle merlettaie, in questi ultimi, a 2000 circa; epperò le donne, che per maggiore o minor parte della giornata si occupano di pizzi, sarebbero attualmente intorno a 5000. «5000 merlettaie! è un bel numero. mi meraviglia. Difatti, scrive il Melani, in una mia visita a Cantù non sono entrato in un cortile di casa senza vedervi una donna o due col tombolo davanti. » Una cosa l’ha rattristato: la nessuna cura nella scelta dei disegni. O come mai eseguite questi brutti disegni? egli chiese a più di una, La risposta è stata sempre la medesima: — Signore: i disegni mi vengono da Milano e da Como (1). A Pellestrina, a Burano, a Chioggia vi è un vero indirizzo artistico; a Cantù questo indirizzo fa difetto. Scarsamente rimuneratore è per l’operaia il lavoro del merletto. Le ditte, che lo dirigono e lo smerciano, tengono sin troppo basso il compenso delle merlettaie; e forse l’alea a cui soggiace continuamente questa produzione essenzialmente di lusso, costringe il commerciante a pagare il meno possibile l’esuberante mano d’opera. Fatto sta che di solito, chi vi attende tutto il dì, non riesce a guadagnare più di 50 centesimi o poco più; e soltanto poche merlettaie eccezionalmente abili possono toccare una lira. L'operaia preferisce il lavoro del merletto chiamato imitazione dell’antico, perchè per essa più rimunerativo; l’ industriale invece preferisce o il genere cosi detto corrente, perchè di costo talmente minimo che gli permette di tenersi in concorrenza col merletto a macchina, o quello per cui è richiesta una speciale abilità. Le ditte, che fanno commercio di merletti, tengono nel centro del comune appositi negozi con vetrine ricche di prodotti. Ma lo smercio è fatto specialmente dai girovaghi maschi e femmine che vanno per le città, per le ville, pei borghi ed esibiscono i merletti alle case signorili ed ai negozi di mode. A Milano, Bologna, Firenze, Roma ecc., sì trovano ditte smercianti merletto canturino. È impossibile indicare anche in via lontanamente approssimativa l’ammontare annuo dell’intera produzione dei merletti canturini. Basti dire che, mentre essa e quella dei mobili in legno (altra fiorente industria di Cantù.) arreca, malgrado la tenuità delle mercedi, un relativo benessere alle famiglie operaie, e specialmente alle contadine, è poi fonte di agiatezza per le 12 0 15 ditte che dirigono e smerciano i lavori e di ricchezza anche per qualcuna.

Dalle Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Como (Annali di statistica), di prossima pubblicazione, ricavo i seguenti dati intorno a sei ditte di Cantù:

Nella Riviera ligure, l’industria dei merletti si estende a Portofino, Santa Margherita e a Rapallo, nonchè, per la parte di levante, a Zoagli, Recco,  Camogli e Ruta, e per quella di ponente ad Albisola e ad Albenga. Non è dato stabilire l’anno in cui ebbe principio l'industria dei merletti in questa regione. Solamente a riguardo di Santa Margherita, esiste un documento, che conservasi nell’archivio parrocchiale della chiesa dedicata alla santa patrona, ed è nel registro sul quale notavansi le entrate e le spese della Compagnia del SS. Sacramento. Dal medesimo risulta, che un Nicoloso Lomelino, il 24 luglio 1592, fece dono alla chiesa di talune reti vecchie inservibili alla pesca di corallo, e dei pissetti (merletti), probabilmente donati per la buona pescagione fatta; ed un antico e logoro disegno in pergamena colà rinvenuto, che rappresenta una trina. Nella seconda metà del secolo XVI l'industria dei merletti era comune in Liguria. Notizie particolareggiate sull'importanza che ai tempi nostri ha l’ industria dei merletti nel circondario di Chiavari le fornisce, in un diligente opuscolo, il Brignardello, dal quale tolgo i ragguargli che più fanno al nostro caso. L'industria dei merletti è ora in fiore in Santa Margherita Ligure, Rapallo e Portofino. Chi percorre quei paesi vede le donne assise sulla soglia delle loro case o lungo le vie, col tombolo dinanzi intente a far scorrere con moto rapido fra le dita i fuselli, e condurre dei ben intesi disegni. Il merletto è il lavoro di quasi tutte le donne povere o ricche abitanti in paese o in campagna. Le fanciulle, compiuti i cinque anni d’età, sono mandate come dicesi colà, alla scuola del cuscino o tombolo, e imparano a fare il punto. In quattro o cinque mesi riescono d’ordinario a lavorare una piccola trina. Quindi gradatamente vanno facendo lavori ognor più difficili; ma sempre di refe bianco, specialmente a Rapallo. Dopo parecchi anni imprendono a lavorare i merletti di seta, cominciando di nuovo dai facili, e mano a mano progredendo verso i più difficili. Per tal modo lavorando da mane a sera, a quindici o sedici anni, in media, una ragazza è una merlettaia perfetta. Ma, è cosa molto singolare, che i lavori più belli e massime quelli che vennero premiati alle esposizioni, sieno stati fatti dalle donne di campagna, e che in campagna, quasi esclusivamente, si facciano i lavori di maggiore dimensione, come gli scialli, le mantiglie, le beduine, le vesti da ballo ecc. In codesti comuni non vi furono mai laboratori di merletti. Le donne appartenenti a famiglie aventi qualche fortuna acquistano il refe, la seta ed i cartoni dei disegni e lavorano per conto proprio; ultimato il lavoro lo vendono ai mercanti. Quelle povere, invece, le vere operaie, cioè, ricevono il refe, la seta e i cartoni dei disegni dal mercante, per conto del quale, mediante conveniente mercede, eseguiscono il lavoro. I mercanti pagano loro un tanto per ogni metro secondo la grandézza del disegno e’ la qualità dell’oggetto da farsi; ma in media ogni operaia guadagna 80 centesimi al giorno, e le più brave anche una lira e quaranta e cinquanta centesimi come massimo; il guadagno minimo è di 40 centesimi circa. A Rapallo ogni bottegaio: dal mercante di tessuti al venditore di frutta, in maggiore o minore quantità, fa negozio di merletti. AI tempo in cui il Brignardello scriveva, vent'anni or sono, solo una ditta s’occupava esclusivamente di questa industria. A Santa Margherita, invece, v’erano una ventina di famiglie le quali esercitavano su vasta scala esclusivamente questo negozio specialmente per l'esportazione verso l'America del Sud. I merletti di refe bianco per uso d’arredi sacri, per veli o per biancheria lavoransi comunemente a Rapallo e a Portofino, e questi anche sono esportati nella maggior parte in America. In Santa Margherita, invece, si fanno generalmente quelli di seta nera, e colà vi sono le operaie migliori e più intelligenti per la esecuzione di disegni alternati di punti diversi. Secondo il censimento del 1871, nei tre paesi, che ho nominati, le lavoratrici di merletto sarebbero state in numero di 5574; ma il Brignardello prova che questa cifra è inferiore alla vera e la porta a 7300 circa (secondo il censimento del 1871, Portofino con una popolazione di 1187 abitanti, contava 725 merlettaie; Rapallo 10,406 abitanti, merlettaie 3098; Santa Margherita abitanti 7180, merlettaie 1751, delle quali 264 nate in altro comune. Nel 1861, a Santa Margherita sopra 6170 abitanti le merlettaie erano 2210; mentre risulterebbe, nel decennio 1861-71, un maggior incremento nella produzione del merletto. Ciò, secondo il Brignardello ( Op. cit.. pag. 10), sarebbe spiegato dal fatto che nel 1871 furono classificate fra le merlettaie, le donne che dell’arte delle trine o dei merletti fanno la loro precipua occupazione, ricavano la loro sussistenza, e s'inscrissero fra le donne senza professione quelle che sebbene lavorino in merletti, pur tuttavia attendono a cure domestiche, e fanno merletti quasi per passatempo, non con intento esclusivo di lucro. Reintegrando le cifre secondo i criteri seguiti nella classificazione del 1861, il Brignardello darebbe a Santa Margherita nel 1871, 3462 merlettaie e ai tre comuni complessivamente 7285, senza tener conto di Chiavari, dove sono pochissime le donne che lavorano merletti).

Secondo la statistica industriale del Bodio, pubblicata nel 1892, nella provincia di Genova, in complesso, sarebbero occupate in questa industria 4675 donne, delle quali 3871 adulte e 1304 sotto i 15 anni .

Avverto però che nella statistica del Bodio, non è ricordato il comune di Portofino dove lavorano il merletto circa 700 operaie. S'avrebbe oggidi un totale, per la provincia di Genova, di circa 5400 lavoratrici di merletto.

Notevole importanza ha pure l'industria dei merletti nel comune di Isernia, provincia di Campobasso, ove si calcola che circa 1000 donne di ogni età e condizione attendano, nei rispettivi domicili, alla lavorazione dei pizzi e merletti, guadagnando giornalmente una mercede che varia da un minimo di 50 centesimi a un massimo di una lira. Generalmente lavorano per conto di privati committenti o di negozianti del luogo, i quali forniscono la materia prima. Si eseguiscono merletti per ombrellini, ventagli, scialli d’ogni dimensione, grembiali, sottane, camicie, ecc. che trovano smercio nelle provincie del mezzogiorno d’Italia e in parte anche nella Lombardia, in Piemonte e Toscana (1). L'industria dei merletti nel comune d’Isernia è esercitata da tempo assai remoto; oggi però ha fatto rapidi progressi, e si eseguiscono lavori degni d’ammirazione. Non vi fu mai una vera scuola per l'insegnamento dei merletti; bensì vi sono delle brave operaie che raccolgono intorno a un certo numero di ragazze a cui fanno apprendere le regole necessarie per l’esecuzione dei vari punti. L'industria dei merletti è abbastanza rimunerativa; ma le merlettaie non guadagnano in media al giorno che da 50 a 70 centesimi a seconda dell’attitudine e del tempo che vi impiegano. In non pochi luoghi d’ Italia, e specialmente a Napoli ed a Roma, nonchè all’estero, si esportano i merletti d’Isernia. Sono donne del popolo quelle che esercitano questa industria, la quale sarebbe assai più proficua, se fosse nelle mani di persone intelligenti (queste notizie le debbo alla gentile signora Giulia Mattioli da Isernia).

Nella provincia di Aquila l'industria dei merletti a piombino è tradizionale, ha importanza storica e tiene alto il suo nome nelle industrie abruzzesi. Per questi lavori Aquila rivaleggiava, sino dalla fine del 400, con Venezia e Genova. Merletti aquilani di quel secolo furono esposti ed ammirati a Roma nell’ultima Mostra d’arte applicata all'industria. per quanto in principio di questo secolo l’arte del merletto fosse trascurata in Italia e più di trenta specie di esso andassero perdute, in Aquila questa industria fu sempre tenuta in onore ed anzi i principali monasteri della città come quelli della Misericordia, di S. Croce, dell’Annunziata, ecc., fecero a gara nel perfezionare la difficile arte. Nella provincia d’Aquila oltre le merlettaie propriamente dette, le quali lavorano tutto il giorno sotto la direzione e per conto di qualche maestra, moltissime lavorano per conto proprio avvicendando ii lavoro del merletto con quelli campestri e con le cure della famiglia. Si può dire che poche sono le donne aquilane che non sieno pratiche di questo genere di lavoro. Le operaie vere non si incaricano della scelta dei disegni, dell'acquisto del filo e della vendita dei merletti. A questo provvede la maestra o la committente. Gl’incettatori di merletti provengono da ogni dove. Le operaie guadagnano in media da 60 ad 80 centesimi al giorno. « Questa se non è ancora una delle più proficue è però una delle più importanti industrie aquilane.»

All’esposizione industriale e didattica delle provincie d'Abruzzo (Aquila, Agosto - Settembre 1888) le merlettaie aquilane conseguirono cinque medaglie d’argento di prima classe e due di seconda e quattro di bronzo.

Rispetto al genere di lavori eseguiti nell’Aquila ed ai prezzi che si ricavano ecco quanto si legge in una pregevole Guida di quella città: « Il cosidetto punto d’Aquila varia di prezzo secondo la finezza del filo e l'altezza del merletto. Le coroncine e i ventaglini sono generalmente lavorati dalle bambine, perchè facili, e si vendono da 4a 6 soldi al metro, se lavorati in cotone grosso, da 8 a 10, in filo. L’altezza massima dei merletti di punto aquilano è centimetri 80, ed il prezzo massimo è di lire 250 al metro. Ma nelle scuole elementari come in qualunque altro istituto femminile di pubblica beneficenza, le bambine imparano anche il merletto, riattaccato, i punti Guipure, Bruxelles, Valencienne, Veneziano ed anche il tanto pregiato e difficile punto d'Inghilterra, che si vende fino a lire 1000 al metro. «Le figlie del popolo col guadagno di questo lavoro aiutano la famiglia; le signorine lavorano per conto proprio e si preparano i loro corredi. » (1) In Italia si lavora il merletto anche nelle provincie di Chieti, di Ancona e nelle Calabrie. Non voglio tediarvi più oltre intrattenendovi in modo particolareggiato anche intorno a queste località. Credo di non essere lontano dal vero affermando che il numero dello merlettaie in Italia deve aggirarsi intorno alle 20 mila.

 

Un altro articolo di Stringher che porta sempre lo stesso titolo e pubblicato lo stesso anno a completamento dell’articolo precedente

Siccome l’ho sentito troppe volte a ripetere, così mi corre l'obbligo di far risonare anche nelle vostre orecchie, cortesi ascoltatori, il lamento che si muove contro qualsiasi lavoro che distragga la donna dalle cure della famiglia, dall’educazione dei figli. I borghesi della campagna vorrebbero che la donna s’occupasse soltanto delle faccende campestri, e guai a chi la distolga da queste per qualsiasi motivo. Mi si mosse rimprovero per avere, con le mie, ahimè, troppo deboli forze, appoggiata l’iniziativa della contessa di Brazzà, per la diffusione dell'industria dei merletti in Friuli. Parmi quindi prezzo dell’opera confutare le obbiezioni esclusiviste dei primi e quelle falsamente interessate dei secondi. Chi non ricorda l’invettiva del Michelet? “Operaia, parola empia, sordida, che nessuna lingua ebbe mai, che nessun tempo l’avrebbe compresa prima di questa epoca di ferro e che bilancierebbe da sola tutti i nostri pretesi progressi”. L’eloquenza, chiamiamola pure cosi, c’è; ma la storia? Il Leroy Beaulieu, in contrapposto all’apostrofe enfatica del Michelet dice: «Operaia, parola gloriosa, che tutti i popoli conobbero appena ch' ebbero soppresso la schiavitù e la servitù.» — Non soltanto il laboratorio comune esisteva prima del decimo secolo, ma esso presentava molti punti di rassomiglianza con lo stabilimento manifatturiero d’oggidì. «Il gineceo ebbe ben presto una detestabile reputazione morale. Le donne, che lo formavano, erano accusate di non avér alcun rispetto di loro stesse, nessun sentimento di pudore, alcun trasporto per la virtù. I regolamenti e le leggi si preoccuparono di questa demoralizzazione delle donne serve occupate nel laboratorio comune; ma le loro prescrizioni non sembra abbiano raggiunto un grande resultato: sino dal IX secolo, il nome di donna di gineceo (genetiaria), era diventato sinonimo di cortigiana.»

Chi ha sentito in modo elevato e sereno la necessità del ritorno alla vita di famiglia è Jules Simon. La sua è vera eloquenza, degna di un grande pensatore e d’un uomo di cuore. «..... Nella nostra organizzazione economica, egli dice, havvi un terribile vizio, che genera la miseria, e che bisogna vincere a qualunque prezzo se non si vuol soccombere; questo vizio è la soppressione della vita di famiglia. Occorre che le donne si maritino, e che le donne maritate possano rimanere nel domicilio comune, per essere la provvidenza e la personificazione della famiglia. Le donne sono fatte per celare la loro vita, per cercare la felicità nelle affezioni esclusive, e per governare in pace il piccolo mondo della famiglia, così necessario alla loro nativa tenerezza. Come non vi ha religione senza un tempio, così non vi ha famiglia senza l'intimità del focolare domestico. Dappertutto ove vi è morale, vi ha felicità. Non è la vita a buon mercato, il pane assicurato, la legge agraria, il diritto al lavoro, che possano spegnere il pauperismo; bensì il ritorno alla vita di famiglia ed alle virtù domestiche.» Ma il Simon non si nasconde punto le grandi difficoltà che si oppongono al raggiungimento di così nobile fine ed esce con questa dolorosa constatazione: « La grande industria paga bene le donne e le strappa alla loro famiglia ed ai loro doveri, e la piccola industria, che dà loro la libertà, non procura ad esse il pane. »

Le donne son’esse contrarie al lavoro fuori delle pareti domestiche, repugna ad esse, o non comprendono la necessità della loro cooperazione per soddisfare ai bisogni urgenti della vita? Quando, nel 1789, si preparava quella rivoluzione, che doveva romperla con l'ordinamento economico e con le istituzioni politiche del vecchio tempo, prima ancora della riunione degli Stati generali, comparve la Pétition des femmes du tiers état au roî, nella quale esse reclamavano per il loro sesso il diritto di lavorare senza incagli e, saltando il canapo, chiedevano che tutti i mestieri, che consistevano nel cucire, filare, agucchiare, fossero ad esse esclusivamente riservati. «Così, nota  il Leroy Beaulieu, davanti al mondo nuovo che stava per schiudersi, il primo grido delle donne era, non per ripudiare, ma per invocare il lavoro, non per declinare e respingere il nome d’operaia, ma per rivendicarlo e farsene un titolo d’onore.»

Poichè le dure necessità della vita impediscono alla donna di consacrarsi tutta intera alle gradite e nobili occupazioni del focolare domestico, e che sia nei campi, sia in città il bisogno di un pezzo di pane le impone ad un incessante lavoro, e costringe la sposa e la madre a rimpicciolirsì  ed a scomparire qualche volta dietro l’operaia, adopriamoci a che il lavoro delle donne sia equamente retribuito, che non ecceda la misura delle loro forze, e che non le tolga alla loro vocazione naturale, facendo  deserto il focolare, ed orfano il fanciullo. « Tolleriamo, poichè occorre, così dice Jules Simon, che un uomo maneggi la spola e rimanga seduto al coperto 13 ore al giorno; tuttavia è  meglio addicevole a lui seguire i lenti buoi e camminare sulle zolle smosse di fresco. È più al suo posto nei solchi del campo, fra le erbe bagnate dalla rugiada, quivi sente in modo più alto e completo la sua dignità. Questo virile lavoro è fortificante per il suo corpo e ritemprante per il suo spirito. La donna non si adatta che penosamente ai bruschi passaggi dal caldo al freddo; ad essa è malagevole guidare una muta; le sue mani non sono fatte per la vanga ed il rastrello; il suo corpo si piega sotto il peso dei covoni che deve portare sul carro o sulla mèta. Mentre essa sarchia o falcia, spendendo molta forza per poca bisogna, la casa rimane vuota e i bambini sono abbandonati. Ci si lamenta della diserzione dalla campagna; a che si deve? All’abbassamento dei salari....

«Se in ogni podere le donne guadagnassero buone giornate lavorando la seta — nel nostro caso i merletti — ne risulterebbe un grande beneficio per la famiglia; il coltivatore, privato dell’aiuto della moglie e delle figlie, assolderebbe un operaio pagandolo bene. Un buon operaio fa l’opera di tre donne, Il primo principio economico è quello d’applicare ogni produttore al lavoro, al quale meglio si presta. »

La fabbricazione elegante dei merletti esercitò, fino dall'origine, una considerevole influenza sulla sorte della donna; essa risvegliò pure gli scrupoli di quella classe di spiriti assoluti che, sedotti da un ideale troppo elevato e poco pratico dell'ufficio della donna nel mondo, vorrebbero abolire non soltanto la funzione, ma ben anco il nome di operaia. Un decreto del Parlamento di Tolosa, nel 1640, col pretesto che il merletto toglieva troppe donne alle occupazioni domestiche, proibiva il lavoro del tombolo nel raggio della giurisdizione. I veri interessi della donna, dell'industria e della civilizzazione trovarono per difensore in quell'epoca un religioso, che fu un santo. Il padre Francesco Regis, il di cui nome è tuttora ricordato per l’opera utile posta sotto il suo patronato, non contento di consolare le migliaia di operaie, che si vedevano private del loro pane, ne sostenne la causa a Tolosa e la vinse. La prosperità rinacque nelle montagne di Velay e le comodità di vita ritornarono nelle capanne con l’operosità meritoria e preziosa delle lavoratrici di merletto.

Questa industria, avverte: l’Aubry, e specialmente preziosa in questo senso ch’essa non toglie nessun braccio all'agricoltura. Le operaie non sono occupate nel lavoro dei merletti che una parte dell’anno. Esse smettono il tombolo allorquando altri lavori le reclamano, e lo riprendono a volontà; esse incominciano a lavorare all’età di sei a sette anni, fino ad svanita vecchiaia. Aggiungasi che questa industria è favorevole alla salute delle operaie ed alla loro moralità. È favorevole alla salute, in questo senso ch’essa non agglomera le donne, le fanciulle nei grandi opifizi o in laboratori insalubri; mentre le obbliga ad una costante pulizia. Nell'inverno le operaie si riuniscono, specialmente la sera, in numero di dieci o dodici, e lavorano, cantando, attorno ad una lampada che, con un mezzo molto semplice, rischiara tutti i tomboli; l'estate esse trasportano i loro tomboli sulla porta delle loro case o sotto i padiglioni di verzura. È morale, poichè si esercita nel seno della famiglia, avvicendata coi lavori dei campi. La madre di famiglia vi consacra il tempo che le è lasciato libero dalle cure domestiche. Più la famiglia è numerosa, più essa vi trova elementi di benessere. La madre insegna a lavorare alle sue figliole a partir dall’età di sei anni, le dirige, le sorveglia e imparte loro di buon’ora abitudini d’ordine, di lavoro, di pulizia. Queste giovani operaie si trovano così lontane da ogni contatto pregiudizievole. Senza preoccupazioni per l'avvenire, esse non sono sollecitate ad abbandonare il tetto paterno; paghe della loro sorte, non avendo altra ambizione che di accumulare qualche risparmio, esse vivono la vita di famiglia, ne formano il  gusto, ne prendono le abitudini. Fu osservato che le operaie della città presentano un’inferiorità nel lavoro del merletto sotto tutti i rapporti rispetto a quelle della campagna. “Allevate per essere merlettaie, nota il Simon, non sanno far altro: perciò esse smettono il tombolo soltanto per darsi ad abitudini di dissipazione. Il bisogno frequente di denaro le obbliga a tagliare un pezzo di merletto per cercare di venderlo subito, ciò che determina una diminuzione di valore, poichè i negozianti preferiscono i grandi lavori. Esse inoltre non hanno salute, pulizia sufficienti. La pulizia e il candore del merletto entrano per buona parte nella determinazione del suo prezzo; è un lavoro delicato che l'alito stesso dell’operaia può scemarne il pregio, così che bisogna aver buona salute per fare merletti belli.

 

L'industria dei merletti potrebbe dar lavoro a tante mani costrette di tratto in tratto a stare inoperose. Anche il modesto guadagno di pochi soldi al giorno torna a sollievo dell’esiguo bilancio delle famiglie di contadini. L’Aubry, a questo proposito, così si esprimeva: «Quando si rifletta che la fabbricazione dei merletti è, in qualche modo, la sola occupazione lucrativa di gran numero di operaie sparse più ancora nelle campagne che nelle città, che impiega vantaggiosamente le mani più delicate, dalle fanciulle di sei anni alle donne vecchissime, inferme o sofferenti, che utilizza i ritagli di tempo, che si collega ai lavori campestri ed al governo della casa, non si può non considerarla siccome una delle industrie le più utili, le più produttive e le più interessanti. »

Nel lavoro del merletto la donna non è in contrasto con la sua natura affettuosa e vaga, come quando lo applica ad una macchina; da questa si sente trascinata, soggiogata e ne segue quasi atterrita l’implacabile uniformità del suo fatale andare. Non è più una forza intelligente, è una intelligenza che dirige una forza. Tutti gli economisti, che si sono occupati del lavoro delle donne, hanno notato come il merletto ed il ricamo a mano sieno occupazioni che favoriscono la vita di famiglia. Tutto ciò che tende a migliorare le condizioni economiche di un paese deve trovare appoggio ed essere favorito da chi può, nel modo migliore. I signori non possono, non debbono disinteressarsi della sorte della classe operaia, sia delle città come delle campagne. I tempi corrono difficili e ben giustamente il Bonghi, in uno dei suoi splendidi articoli, ebbe a dire: « Le classi che stentano, bisogna che siano circondate d’amore da quelle che godono; che non si aspetti che il soccorso lo chiedano, ma sia loro offerto, quasi direi imposto. E il concorso non deve consistere nell’elemosina; bensì in creazione di istituzioni, che a ogni vicenda triste della vita dell’operaio, bambino, fanciullo, adulto, vecchio, provvedono con sincerità e prontezza di commozione e di servizio, L’elemosina umilia, e oggi n'è sentita un’amarezza nell’animo di quello che la riceve: l’instituzione invece una volta creata, par cosa di quello in cui favore è creata. »

Una signorina inglese, Emilia J. S. Dilke, al Congresso internazionale dei lavori e istituzioni femminili, che si tenne a Parigi in occasione dell’ultima Esposizione universale, lesse, una interessante memoria sulle Società di mutuo soccorso ed Associazioni d’operaie. Un concetto, che sopra gli altri mi colpì per la sua profondità e per l’eloquenza con cui fu espresso, è il seguente, che riferisco tradotto cercando di sciuparlo il meno possibile: « L’elemosina ed il patronato, idoli dei ritrovi filantropici, ecco i nemici dell’organizzazione del lavoro. Non è tanto il denaro che ci abbisogna, ma la prestazione personale. L'influenza personale può tutto. Che le donne agiate, ricche, intelligenti, vengano in nostro soccorso. Che esse ottengano la confidenza di quelle povere creature derelitte; apprendano loro perchè debbono ascoltarle; perciò studino elle stesse le difficoltà e le vicende della vita d’operaie; esse vedranno che il nuovo vangelo, che insegnerà all’operaia a difendersi da stessa imponendosi i necessari sacrifici, andrà diritto al cuore ed alla ragione di tutti quelli che conoscono intimamente le crudeli sofferenze e le dure necessità della vita del lavoratore. »

Pasquale Villari, in un suo discorso alla Camera dei deputati, domandò con calde parole che la beneficenza pubblica fosse, nei limiti del possibile, indirizzata, anzichè alla sterile ed avviliente elemosina, al miglioramento delle cui sociali più povere, mercè l'istruzione industriale. Ma io ho qualche cosa di meglio delle citazioni, ho degli esempi da porvi sott'occhio, che danno ad esse rilievo essendo l’espressione dei concetti elevati che quelle racchiudono. Dare alle nostre contadine il mezzo di guadagnare con facile e dilettevole lavoro, durante i periodi di tempo che il governo della casa e le cure de’ campi non richiedono la loro opera, tale è lo scopo elevato cui mirano le scuole fondate dalle signore contessa Cora di Brazzà Savorgnan e contessa Maria Pasolini. Non tutti i fisici si prestano al faticoso lavoro dei campi, non sempre dalla donna e specialmente dalla fanciulla si esige lavoro manuale, ma semplice e passiva sorveglianza. Ai fisici deboli, alle mani costrette temporaneamente all’ inoperosità, ecco offerto il modo di guadagnare qualche peculio. |Nè, a mio credere, vi è da temere che le fanciulle del contado avvezzate al facile lavoro sdegnino quindi la rude bisogna de’ campi e le umili ma non umilianti cure della famiglia. La tendenza forse vi può essere a ciò, posso anche ammetterlo, sebbene a malincuore, perchè contraria alla mia profonda convinzione ed ai fatti a me noti; ad ogni modo a ricondurre le vanerelle sulla buona via, varranno i savi consigli e gli autorevoli ammonimenti delle signore patronesse delle scuole, e più che tutto varrà il comando, non sempre egoista, del contadino che vuole la donna equamente e proficuamente associata al suo lavoro.  E poi non si violenta impunemente la rigida legge del tornaconto!

 

Il Jesurum, che fondò, fra le altre, una scuola professionale di merletti alla Mira, nella sua lodata relazione sull’industria dei merletti a Pellestrina, così si esprimeva: «Io spero provare alla Mira un mio vecchio asserto e cioè che il lavoro dei merletti si può alternare colle cure dei campi, e che sarà il solo possibile a sostituire quello del fuso e della rocca, la sola occupazione un giorno delle nostre contadine, ma che fa vinta e schiacciata dalla potenza delle macchine. »

Le scuole di merletti hanno un'impronta affatto loro propria, che mi piacerebbe fosse seguita dalle scuole professionali in genere e da quelle di arti e mestieri in ispecie. Nelle scuole di merletti, si insegna il modo di guadagnare facendo un lavoro dilettevole; chi più impara più guadagna; questa è la loro caratteristica, che le distingue da tutte le altre e che dovrebbe trovare più larga applicazione. Il guadagno è uno stimolo potentissimo a ben fare e a far molto. La semplice lode ha sicuramente un gran valore; ma quando questa è concretata in denaro, mentre riesce più equa, porta ancora con l’ineffabile conforto del guadagno procurato col proprio lavoro.

Nella scuola di Coccolìia, fondata dalla Pasolini, le allieve non superano le 40, sarebbe facile reclutarne un maggior numero, poichè, a differenza del nostro Friuli, in Romagna, le industrie casalinghe sussidiarie a quella dei campi, quali il filare, il tessere, ecc. sono tuttavia relativamente prospere. Per ciò è meno sentito il bisogno di una nuova occupazione. La contessa Pasolini, in vista di questo fatto, intende di fondare una nuova scuola presso Ravenna, dove è purtroppo numerosa la misera classe dei braccianti; colà l'istituzione potrà attecchire vigorosamente, qualora l’eccessiva miseria e lo spirito settario non vi si oppongano. Perfetti sono i lavori che escono dalla scuola di Coccolia e la contessa Pasolini ne è giustameate orgogliosa.

Nella scuola di Brazzà si è verificato ripetutamente il fatto che anche le contadine adulte, nel momento in cui il lavoro de’ campi cessa, cioè dal mezzogiorno alle due, frequentano e con profitto la scuola. Ciò prova come l'industria dei merletti vada facendosi rapidamente popolare nelle nostre campagne e come un lavoro non implica l'esclusione dell’altro come da taluno, con somma leggerezza, veniva pronosticato. Due o tre contadine adulte, costrette a starsene tappate in casa per infermità croniche, mandarono le loro bambine alla scuola di Brazzà ad apprendere il lavoro del merletto, perchè alla loro volta lo insegnassero ad esse. Queste povere donne si guadagnano ora una quindicina di lire al mese; non sono più di peso, ma di sollievo alle loro famiglie.

Nella scuola di Fagagna, che è una fiorente derivazione di quella di Brazzà, il numero delle allieve è in continuo aumento, oggidì se ne contano 60. Il senatore Pecile, che ha particolarmente a cuore questa nuova istituzione, mi diceva, non ha guari, che durante i lavori campestri la scuola si spopola, che le famiglie di contadini sono felicissime di poter mandare le loro figliole ad apprendere il lavoro del merletto. Le più agiate sono quelle che meglio ne approfittano, sebbene a tutta prima sembrerebbe sentissero meno il bisogno. È sempre vero che la miseria demoralizza ! Tanto a Brazzà quanto a Fagagna le più abili allieve guadagnano da 80 centesimi ad una lira il giorno di 10 ore di lavoro. Tutte indistintamente le apprendiste guadagnano quanto occorre per potersi vestire senza bisogno di aiuto da parte della famiglia. Questi risultati sono molto incoraggianti.

Erano in numero di sei le bambine che nel Castello di Brazzà per la prima volta, il 25 agosto 1891, presero in mano i fuselli; ora ne contano 150, così ripartite nelle quattro scuole istituite dalla contessa Cora di Brazzà Savorgnan:

Fagagna         nr 60

Brazzà            nr 45

Martignacco  nr 25

Silvella (San Vito di Fagagna) nr 20

Non v'ha quasi limite d'età nell’accettazione delle allieve.

Le scuole tipo Cora di Brazzà sono ordinate nel modo seguente: le fanciulle, che col consenso esplicito dei loro genitori o di chi ne fa le veci, si iscrivono alla scuola, non debbono avere meno di 6 anni, più di 16, salvo autorizzazione speciale da parte della patronessa. Le

allieve si obbligano a frequentare la scuola durante il periodo di tre mesi, assistendo a due lezioni di due ore almeno la settimana e di pagare gli oggetti che perdono o guastano per trascuratezza. Nel periodo, in cui sono aperte le scuole elementari, le allieve, che le frequentano, vengono ammesse a quella di merletti soltanto nelle ore che hanno libere. Se non vi fosse stata questa restrizione, molte famiglie di contadini avrebbero preferito di mandare le loro figlie alla scuola di merletti anzichè alla elementare. Ciò è significante. La scuola è aperta d'estate dalle 7 antimeridiane sino al tramonto. Durante l'inverno si ammettono le allieve alle 8 antimeridiane, e, in questa stagione, vi è pure scuola serale di due e anche tre ore, secondo il desiderio delle allieve e l'urgenza del lavoro. Dal mezzogiorno al tocco, hanno libertà piena ed intera per desinare e divagarsi un pochino. In estate, alle 4 pom, sono concessi 20 minuti di riposo per la merenda.Nella scuola vi ha un andirivieni continuo di fanciulle; poichè esse la frequentano nei momenti in cui le faccende dei campi, l’orario della scuola elementare ed il governo della casa lo consentono. Mentre lavorano, le allieve possono parlare, ma senza far troppo rumore: è loro permesso di cantare in coro. Nessun estraneo può entrare in iscuola senza speciale permesso; si fa eccezione per il clero della parrocchia. Ogni allieva viene inscritta in apposito registro, con la indicazione esatta del materiale ne fu ad essa consegnato (tombolo, fuselli, spille, filo ) attribuendo a ciascun oggetto il prezzo di costo all'ingrosso. Le allieve quando hanno terminato il pezzo di merletto, che viene stabilito a seconda ‘ delle ordinazioni, lo staccano dal tombolo e vi applicano un cartellino sul quale scrivono il proprio nome, il numero del disegno, la lunghezza del merletto ed il prezzo che loro è dovuto. In tal modo le bambine continuano ad esercitarsi un po’ nello scrivere e far di conto. A questo stesso fine mirano le'brevi relazioni, che le fanciulle debbono fare per iscritto alla patronessa durafte Ia di lei assenza, su quanto avviene nel tranquillo e sereno ambiente della scuola. Una volta al mese, la sorvegliante della scuola di Brazzà, che è una' contadina del luogo, la quale percepisce 75 centesimi al giorno, consegna alla patronessa od a chi per essa, tutto ilmerletto terminato nel corso del mese, perchè il lavoro delle singole allieve venga esaminato e giudicato il merito relativo di ciascuna. Ad ogni pezzo bene eseguito, viene assegnato un maggior prezzo in ragione del 5 per 100, su quello normale. All'allieva, la quale nel corso dell’anno ha ottenuto il maggior numero: di questi compensi, si conferisce un premio speciale di lire 20. È questo un ottimo metodo di premiazione, poichè il premio viene ‘conferito a chi ha lavorato meglio e con maggior diligenza e pulizia, non a chi sa fare merletti più difficili. La più giovane delle allieve o l’ultima venuta può quindi competere con quelle che sono maggiori di età o che da molto tempo frequentano la scuola. Ogni disegno consegnato all’allieva porta un numero corrispondente ad una speciale indica» zione risultante da apposito registro, nel quale si segna la quantità ed il numero del filo, la quantità dei fuselli consegnati e, a lavoro compiuto, il prezzo pagato all’allieva per il lavoro da essa fatto e quello di mercato, che supera il primo del 30 per 109. Dal prezzo, che spetterebbe all’allieva per il merletto fatto, si deduce il costo del filo e di qualsiasi altro. oggetto abbia perduto o guastato per negligenza o sbadataggine. Questo computo viene fatto regolarmente mese per mese.Le fanciulle, che insegnano alle loro compagne tre punti nuovi: ricevono un compenso di 50 centesimi. Il 30 per 100 sul prezzo di mercato viene prelevato onde sopperire alle seguenti spese generali: Retribuzione della sorvegliante e della persona incaricata di tenere la facile contabilità; affitto del locale per la scuola (per Brazzà questa spesa non esiste); riscaldamento ed illuminazione durante l'inverno; acquisto e manutenzione di tomboli, fuselli, spille e sopratutto disegni, che rappresentano una spesa assai rilevante e sono consegnati gratis alle allieve, le quali debbono restituire il vecchio disegno per poterne avere uno di nuovo. In questo modo si evita la possibile vendita a danno della scuola. Col predetto 30 per 100, si sopperisce ancora alle spese di trasporto dei merletti alla loro destinazione, alla corrispondenza ed al ribasso del 10 per 100. in favore del negoziante a cui il prodotto è venduto. Le allieve lavorano a cottimo e sono pagate ogni mese in contanti.

 

Scopo e regolamento della Scuola di Fagagna (Udine). — Scopo: La Scuola si prefigge di offrire alle contadine un mezzo di guadagno che non le distolga dai lavori casalinghi e campestri; la Scuola insegna questa industria principalmente alle bambine. La Scuola centrale di Brazzà si impegna di consigliare, dirigere e procurare lavoro alle altre Scuole anticipando le spese ed incaricandosi dello smercio del prodotto; essendo però detta Scuola responsabile verso i committenti, si pretende anche dalle allieve che lavorano fuori della  Scuola una esecuzione perfetta a seconda dell’ insegnamento ricevuto e come se lavorassero sotto gli occhi della maestra. Istruite le bambine, ed avvezzate a lavorare diligentemente e pulitamente nelle loro case la Scuola si propone di rendere possibile che da adulte ed anche maritate possano continuare a giovarsi di questa industria nella misura che gli impegni della famiglia permettono, procurandosi in tal modo una risorsa che altrimenti non avrebbero.

Regolamento approvato dalla Commissione del Legato Pecile nell’ottobre 1892:

La Scuola è aperta tutti i giorni ferali.

L'orario è il seguente:

D' inverno:

Dalle ore 9 alle 12 antimeridiane;

Id. 1 alle 5 pomeridiane;

Id. 7 alle 10       »

D'estate: Dalle ore 7 alle 12 antimeridiane;

 Id. 1 alle 4 pomeridiane;

Id. 5 alle 7          »

Non si accettano allieve al disotto dei 10 anni o al disopra dei 25, salvo eccezioni, che possono esser fatte dalla Direzione. Ogni alunna dovrà presentarsi all'iscrizione nel locale della Scuola colla madre o chi ne fa le veci, ed obbligarsi a frequentare la Scuola stessa nei primi tre mesi tutti i giorni per una parte intera dell'orario, e pel resto dell’anno tre volte per settimana sempre per una parte intera dell’orario. La maestra comunicherà alla Direzione i nomi delle allieve iscritte per da debita regolare accettazione. La Commissione del Legato Pecile deciderà sull'ammissione delle alunne e sulle condizioni dell'ammissione a norma del presente regolamento. Le nuove allieve saranno accettate un poco per volta, e non se ne riceveranno di nuove finchè le prime non siano in grado d’ insegnare il primo punto a quelle che vengono dopo. L'allieva riceverà in consegna tombolo, fuselli, spille e disegno. Il valore del filo che ricevérà sarà trattenuto nell'importo del lavoro. La madre si fa garante di tutto il materiale che viene consegnato all’apprendista. Le allieve agiate dovranno pagare lire 10 per il tombolo, pel cavalletto, per 12 fuselli e per l'apprendimento del primo punto; lire 9 per il secondo, e 3 pel terzo compreso fuselli e insegnamento. Il Legato Pecile provvede le allieve di tombolo, fuselli e spilli; provvede la Scuola di illuminazione, e contribuisce con 15 lire al mese alla retribuzione della maestra. La Direzione della Scuola centrale di Brazzà provvede al riscaldamento, ai disegni, alla carta e contribuisce anch'essa 15 lire al mese alla maestra; s’incarica della vendita dei merletti e perciò la Scuola di Fagagna lavorerà coll’aiuto, secondo le ordinazioni e i disegni della Scuola centrale. La maestra deve tenere un registro delle presenze giornaliere, segnandovi con una croce le assenze con una linea le intere presenze, e con 1/3 o 2/3 la frequenza parziale. In apposita colonna segnerà le eventuali osservazioni sulla condotta e sul profitto delle allieve. Nel registro d'iscrizione noterà tutto il materiale consegnato all’allieva, e di seguito al .momento dell'ammissione, noterà nel passivo di essa la quantità ed il numero del filo ricevuto e il materiale sciupato o perduto, e nell’attivo il lavoro prodotto dall’apprendista. La maestra proporrà alla Direzione l’allontanamento delle alunne che non hanno attitudini o che disturbano in iscuola per mancanza di contegno e di disciplina. Le alunne allontanate dovranno restituire tutto il materiale ricevuto e rifondere quello che avessero perduto o sciupato. L’alunna, che abbandona la Scuola prima dei tre mesi senza dadi fioatà motivo, non sarà più riammessa e dovrà pagare lire 3 se ha appreso il primo punto, lire 6 se ha appreso. il secondo, lire 9 se ha appreso il terzo. Per qualunque osservazione che le madri volessero fare riguardo alle figlie, esse devono ri; volgersi alla maestra. I lavori vengono valutati secondo la tariffa stabilita dalla Direzione della Scuola di dra: questa tariffa è soggetta a variazioni secondo i prezzi di mercato. Superata l’epoca dell’ apprendimento, ogni allieva deve lasciare a beneficio della Scuola il 5 per 100 del suo guadagno. Ogni alunna per compenso dell'insegnamento che riceve, deve lavorare gratuitamente fino ad aver guadagnato lire 10 nette, detratto cioè il valore del filo. Il lavoro delle alunne in quadrati interi, copertine o pezze minori di nove metri, secondo le ordinazioni speciali della Direzione della Scuola di Brazzà, porteranno all’atto della presentazione il cognome e nome dell’alunna, il numero d'ordine del disegno, il prezzo di tariffa e la data di presentazione. Se un’alunna volesse trattenersi parte del lavoro fatto dovrà pagareil 35 per 100 in più del prezzo stabilito dalla tariffa stessa. L'allieva, che insegna un punto ad una compagna, riceverà per compenso 50 centesimi. Il lavoro eccezionalmente ben eseguito e pulito e che si avvicina alla perfezione, avrà un sopra prezzo del 5 per 100 o più. Il giudizio sul lavoro dipenderà assolutamente dalla Scuola centrale di Brazzà. In fin d'anno sarà dato un premio all’alunna che avrà guadagnato di più ed a quella che avrà ottenuto il più regolarmente il sopra prezzo per la perfezione del lavoro. Riscaldamento ed illuminazione. — Se all’aprirsi della Scuola la temperatura fosse inferiore a 4 gradi, si farà fuoco finchè sì raggiungeranno i 5. È vietato di lasciar lavorare le alunne verso sera a lume incerto e la lampada dovrà accendersi appena se ne manifesta il bisogno. Questo regolamento avrà vigore fino a tutto il 1894.

 

A Coccolia (provincia di Ravenna) le allieve sono tutte giovanissime, poichè la contessa Pasolini, che dieci anni fa fondò la scuola, avvertì l’inconveniente che insegnando alle più mature d'età, queste abbandonano troppo presto la scuola e non continuano a lavorare il merletto. Le apprendiste tutte lavorano a cottimo; a mio credere, sarebbe conveniente adottare altro sistema. Le fanciulle frequentano la scuola quanto e quando possono; è quindi necessario pagarle in ragione di lavoro compiuto e non di tempo impiegato a compierlo, difficilmente, anzi impossibile a determinarlo esattamente.

Se non vi fossero altre ragioni, questa potrebbe bastare per preferirlo al pagamento a giornata. « Il cottimo, diceva benissimo la Marcello, è l'indipendenza, mentre invece la giornata è la schiavitù, la degradazione, poichè dà, a chi soprintende, il diritto alle più fastidiose osservazioni verso chi s’allontana per qualsiasi urgente motivo dal lavoro fermandovisi una volta più che l’altra, o ripetendo le assenze, o smettendo qualche momento per dire o ascoltare qualche cosa. Col metodo della giornata fissa, non si scappa mica al brutto bivio di avere deficiente il prodotto oppure odiosa e villana la sorveglianza.... »

Notevole caratteristica delle tre dame, che ho lodato, è questa: non tutto il tempo loro dettero alle iniziative d’indole filantropica di cui furono o sono l’anima ovvero prestarono il loro valido concorso. La vita di società non disdegnarono punto, anzi vi presero parte largamente e forse malgrado loro si trovarono in piena evidenza. Mi ricordo che un giorno la contessa Cora di Brazzà ebbe a dirmi che «la vita del gran mondo tutt'altro che distrarla dalla sue occupazioni predilette era a queste di aiuto indiretto, ma non per questo meno efficace. Non è piccola cosa, soggiungeva, provare che si può essere un po’ mondane e fare del bene alla povera gente. Quante compagne indolenti e uomini pigri e scettici non trassero dalla loro, e ne fecero abili collaboratori per l'attuazione delle felici iniziative dovute al cuore buono ed alla mente eletta! Della signora contessa Maria Pasolini, non so; l’afferma il Fambri per la Marcello e posso testimoniarlo io per la signora di Brazzà, la volgare réclame fu da esse nobilitata sfruttandola nel miglior modo e non a coup d’argent, ma con le alte relazioni di cui erano onorate e onoravano. Cosa seppe fare un Comitato di signore capitanato dalla contessa Savorgnan di Brazzà e del quale fa parte la Pasolini e ne faceva la compianta Marcello, per organizzare una mostra di merletti italiani alla Esposizione universale di Chicago, ha del sorprendente! Uomini politici, giornalisti, perfino le Amministrazioni pubbliche e gli nomini d'affari si sono commossi ed hanno contribuito alla generosa e non poco ardua impresa. È vero che l'appoggio morale della nostra graziosa Regina, prima sempre dove c'è una buona opera da compiere, non mancò e fu di grande aiuto e conforto per le valorose iniziatrici, che seppero fare veri miracoli per la riuscita di una impresa che presentava grandi difficoltà.

Non tutti i temperamenti sono adatti a dirigere simili scuole. Al sentimento del giusto bisogna accoppiare una grande energia e fermezza di carattere per non cedere agli impulsi del cuore così di frequente proclive all’indulgenza. Essere indulgenti nel giudicare il lavoro delle allieve merlettaie è un voler pregiudicare non solo l'interesse della futura operaia, ma, quello che più importa, della fama della scuola e dell'industria di un intero paese. La contessa Andriana Marcello era severissima nel giudicare dei lavori preparati nella scuola di Burano. « Io la vidi, narra il Fambri, più di una volta e di due e di tre respingere del lavoro che a tutti pareva buono se non eccellente, e passarvi di traverso una forbiciata. Erano - per quelle disgraziate sei, otto e anche dieci lire perdute in una settimana; quindi proteste e lagrime delle quali ella non si commoveva per niente. Talora vi aggiungeva il rincaro di qualche acerbo rimprovero. Se non vi sentite di lavorare coscienziosamente, diceva ella, restate a casa, che sarà meglio non solo per voi altre, ma anche per la Scuola, dacchè io, distruggendo il vostro lavoro, ho dovuto distruggere anche per qualche lira di filo di Bruxelles che è patrimonio della istituzione e che nessuno rimborsa. questo è il solo danno. C'è pure quello di una settimana perduta e quindi della consegna ritardata. Anche il ritardare le consegne è un motivo di discredito, capite? che non manca di rendere più difficile il trovare lavoro. »

Collocò a riposo la direttrice Bellorio d’Este perchè, secondo lei, si mostrava troppo indulgente verso le allieve. Amiche ed amici s’interposero indarno; il Fambri, che più vivamente obbiettava, si guastò quasi.  «Volete, diceva, che io faccia discendere il livello della Scuola e privi di lavoro le ottime perchè le negligenti seguitino a voler bene alla signora direttrice? ».

La contessa di Brazzà non meno buona ed amorosa verso le sue allieve, con esse sa farsi fanciulla così da sembrare la loro sorella maggiore, non è meno severa della Marcello. Ad una brava e tutt'altro che indulgente signorina udinese che la coadiuva nel buon andamento tecnico della Scuola, rimproverò un giorno vivamente, sto per dire aspramente, di aver troppo lodata una delle sue allieve per l’abilità eccezionale che dimostrava nel fare certe foglioline, che erano davvero perfette. «Sono convinta quanto voi dell’eccellente disposizione della ragazza; ma voi me la guasterete, disse, «con le vostre continue lodi; mentre avvilite di soverchio le sue compagne che hanno bisogno di essere incoraggiate! »

Da quanto potei capire in un brevissimo colloquio che io ebbi con donna Maria Pasolini, anche questa dama gentile si mostra giustamente severa verso le allieve della sua Scuola. Il regolamento del resto ne è una prova, quando si sappia che viene scrupolosamente osservato. I resultati ottenuti da queste tre gentildonne stanno a provare che solo in questo modo si riesce a bene.

 

Regolamento della Scuola di pizzo della contessa Pasolini, alla Coccolia. — Scopo della Scuola è di mettere nelle mani delle donne della campagna un mezzo di guadagno, che non le distolga però dai lavori casalinghi e da quelli di campagna. Per questo la Scuola sì propone di insegnare questa industria alle bambine:

1° Una volta addestrate nel lavoro si desidera che continuino l’ industria nelle loro case stesse, lasciando così il posto nella Scuola a nuove alunne;

2° La Scuola si impegna a consigliare, a dirigere e trovare lavoro a tutte, anticipando le spese e incaricandosi dello smercio del prodotto. Ma essendo la Scuola responsabile presso i committenti si pretende anche dalle lavoratrici fuori della Scuola un lavoro perfetto, come fu insegnato e come se fosse fatto sotto gli occhi della maestra. Qualora vi fosse la minima trascuratezza irrimediabile, la Scuola respinge il  lavoro che rimarrà nelle mani della lavoratrice e penserà essa medesima a trovarne lo smercio. Così istruite da bambine, avvezzate a lavorare diligentemente e pulitamente nelle loro case, si vorrebbe che da adulte e una volta maritate, potessero continuare a questa industria, nella misura che gli impegni di famiglia permettono, procurandosi in questo modo una risorsa che non avrebbero altrimenti.

3° Le bambine saranno accettate appena dai 9 ai 10 anni di età;

4° Rimarranno un giorno della settimana a casa per addestrarsi negli altri lavori della famiglia;

5° Dovranno motivare le loro assenze finchè frequentano leglatimenie la Scuola. Le presenze delle bambine alla Scuola e il motivo delle assenze verranno mandate settimanalmente alla proprietaria della Scuola.

6° Le lavoratrici facendo il loro lavoro a casa dovranno sottomettersi via via alle combinazioni fatte colla maestra, la quale naturalmente deve regolare l’affidamento del lavoro a seconda delle ordinazioni. Il numero delle lavoratrici crescendo sarà più facile per la Scuola la distribuzione del lavoro e il procurarselo.

7° La Scuola deve essere frequentata secondo gli ordini della maestra, che regolerà anche il tempo e il lavoro secondo le stagioni, e così pure verranno da lei regolate le ore del mangiare e la ricreazione;

8° La maestra deve prescrivere la quantità del lavoro giornaliero a seconda dell'età e della capacità;

9° Le ragazze che per una settimana non compieranno il lavoro assegnato verranno  espulse ;

10° Il rispondere alla maestra verrà punito colla sospensione del lavoro del giorno, chi  insisterà in quella abitudine verrà espulsa dalla Scuola;

11° Ogni ragazza che sia trovata in bugia dopo essere stata ammonita, verrà espulsa ;

12° La maestra ha piena fiducia e autorità da chi mantiene la Scuola;

13° Ha il diritto di espellere chi trasgredisce i regolamenti dopo averne informata la proprietaria ;

14° Ogni anno alla resa dei conti, le famiglie delle alunne dovranno avanzare formale domanda di frequentare la Scuola o di lavorare per la Scuola anche al di fuori di essa, affinchè la maestra possa sapere su che contare per le ordinazioni da prendere;

15° Salvo qualche caso eccezionale imprevedibile è proibito lasciar la Scuola a metà anno ;

16° Qualunque osservazione che le madri possano avere riguardo alle figlie, deve dirigersi direttamente alla maestra.

 

Chi non si sente l’animo a ciò non tenti dunque l’impresa, chè farebbe, più che un’opera vana, dannosa. Ma non crediate già che la severità nel giudicare dell’opera vada in quelle dame scompagnata a grande bontà e tenerezza per le allieve: sono delle mamme severe per il bene delle loro creature. Ho visitato, nello scorso luglio, la Scuola di merletti nello splendido castello di Brazzà La signora siedeva fra le sue allieve e mentre col tombolo dinanzi lavorava con sapienti dita il merletto, istruiva le bambine pazientemente, con rara abilità pedagogica; ma senz’'ombra di pedanteria e di sussiego. Le brave fanciulle, dico brave perchè son tali davvero, mostravano di avere una confidente venerazione per la loro maestra, che non incute timorosa soggezione, ma affettuoso rispetto. Le allieve sono orgogliose di avere così abile e buona insegnante. Qualcuna recitò, in mia presenza, una breve poesia in lode della Contessa. Come erano giulive di esprimere in bella forma i loro sentimenti! Sembrava che i versi scaturissero spontanei dal loro cuore, così calde e sincere finivano alla bocca le parole, così dolce era lo sguardo: che nei luoghi più toccanti indirizzavano alla nobile signora, che ne, era lieta! Ebbi pure la fortuna di leggere alcune delle letterine scritte dalle allieve alla signora di Brazzà, in cui appunto riferivano intorno all'andamento della Scuola, e rimasi commosso per la ingenuità della narrazione e per la sublime schiettezza dei sentimenti. Alla buona Contessa queste lettere sono carissime, e per chi non lo sarebbero? Sotto così abile direzione la Scuola non può che prosperare; bontà di cuore, rettitudine di mente, abilità tecnica e commerciale, gusto fine, sono doti cospicue della Brazzà. Abilissima nella propaganda, può dire oramai di avere assicurata al nostro Friuli l'industria dei merletti.

In Sassonia, fu una gentildonna, Barbara Etterlein, moglie di Cristoforo Uttmann, grande proprietario di miniere, abitante il castello di S. Annaberg, che introdusse l'industria dei merletti a fuselli per venire in aiuto alle donne dei minatori della contrada. (Secondo Félix Aubry  Exposition universelle de Vienne en 1873 il numero delle merlettaie in Sassonia sarebbe di 70,000 rimunerate in ragione di 10 centesimi all'ora. La produzione è assai abbondante e varia, si consuma sul luogo e si esporta in Inghilterra, Russia e Germania. Si preparano di preferenza merletti comuni a buon prezzo. I principali centri di fabbricazione sono Annaberg, Schneeberg, Eibenstock, Laubach, Baerringer, Carlsbad, ecc. ) Si narra che una brava vecchia, un po’ indovina senza dubbio, vedendo la devozione che la castellana di S. Annaberg poneva nel far apprendere questo lavoro alle povere contadine, le predicesse che Sant'Anna l’avrebbe ricompensata facendo prosperare i suoi figli senza perderne un solo e che questi si sarebbero moltiplicati altrettanto che i fuselli del suo tombolo. La predizione s'avverò, e quando donna Barbara Uttmann morì nel 1575, la piansero sessantacinque tra figli e nipoti! Altrettanto indovino vorrei essere io predicendo alle signore di Brazzàe Pasolini, ... non sì gran numero di figli e nipoti,un po’ troppi,che mi parrebbero ma un numero ben maggiore di donne italiane che le imiteranno per la redenzione economica e morale delle nostre popolazioni agricole e cittadine.

 

 

 

Il quotidianoLa Patria del Friuli”venerdì 2 giugno 1893

L'industria del merletti  conferenza del signor Vittorio Stringher

L’imperversare della piova tolse a molti la volontà di recarsi ieri alle due pomeridiane, nella Sala maggiore del nostro Istituto Tecnico per udirvi la conferenza del chiaro amico nostro signor Vittorio Stringher: una conferenza ricca di interessanti notizie storiche e di aneddoti graziosi, esposti con la forma chiara, corretta e piana consueta a chi usa a trattare argomenti d'indole statica ed economica. L'uditorio, a motivo appunto del maltempo, era scarso: una cinquantina di persone, fra cui dieci tra signore e signorine: vi notammo l'on. Sindaco, il conte A. di Trento, l'avvocato Battista Billia, il prof cav. Misani, il marchese Fabio Mangilli, l'avv. Antonini, il prof. Viglietto, il dott. Zambelli, il prof. Pontini e parecchi altri fra coloro che non mancano mai d'intervenire ai geniali convegni letterari scientifici, che oggidì sono di moda col nome di conferenze. Il signor Stringher fu presentato all'uditorio dal Presidente dell’ Associazione agraria friulana marchese Fabio Mangih.

Una quantità di cose ci narrò il conferenziere: dalle prime incerte notizie che si hanno intorno ai merletti, donde parrebbe che il vanto di averli prima inventati spetti all'Italia, ai documenti più antichi i quali fanno risalire al secolo decimoquinto le memorie certe dell'esistenza di questa industria: di Venezia erano le trine adoperate nella incoronazione di Riccardo III d’ Inghilterra (1483). E ricordò la graziosa e commovente leggenda che sì ripete a Venezia intorno all’ origine dei merletti a fusello; e le leggi suntuarie che  perseguitarono l’uso di certi pizzi a Venezia, in Francia, in Portogallo; e l'uso che di essi fecero per lungo tempo gli uomini nelle pittoresche loro acconciature, fino al chiudersi del secolo decimottavo; ed i parecchi libri pubblicati fin dallo scorcio del secolo XVI, contenenti raccolte di disegui artistici beIlissimi. Interessante la storia dello svolgersi di questa industria, a proposito di chè giustamente il signor Stringher disse notevole un fatto: che in molte località si deve alla miseria persistente o a disastri momentanei l'iniziarsi o il risvegliarsi di essa industria, non sempre la fame essendo mala consigliera, anzi più volte, se però il cuore abbia retto e buon fondamento, avverandosi il contrario. La miseria estrema, in cui versavano le popolazioni agricole della Boemia, determinò la introduzione della industria dei merletti in quella regione, dove ora ha una certa rinomanza; in, Portogallo rifiorì dopo il terribite terremoto che colpì Lisbona nel 1755; nel’ Irlanda, dopo la grande carestia del 1846; a Burano, dopo il rigido inverno del 1872 che aggravò le miserevoli condizioni di quel povero paese.Ora, in Italia, si coltiva prima industria dei merletti: nella provincia di Venezia, con circa quattromila merlettaie; a Cantù (Provincia di Como) e nei comuni contermini, con cinquemila; nella Riviera ligure, con circa settemila e trecento operaie; nel comune d'Isernia (provincia di Campobasso) dove circa mille donne di ogni età e condizione attendono nei rispettivi domicili alla lavorazione di pizzi e merletti; nella provincia di Aquila, di Chieti, di Ancona, delle Calabrie: intorno a ventimila donne italiane attendono al gentile lavoro, con guadagni che variano da cinquanta centesimi a una lira, una lira e quaranta al giorno. ln Francia, il numero delle merlettaie si calcola a duecentoquarantamila per un'industria che, un tempo, fu prettamente italiana! E l’ammontare della produzione alla cospicua cifra di cento milioni all'anno. Nel Belgio vi sono 700 fabbriche di pizzi e vi lavorano centocinquantamila donne. E le notizie storico,  statistiche vengono accompagnate da considerazioni molteplici e di variata indole, tratte da molti scrittori italiani 6 stranieri che si occuparono o di questa industria particolarmente, o delle donne operaie in genere. In Germania ed in Austria, le mertettaie non lavorano liberamente come in Italia, in Francia, nel Belgio: si riuniscono in gran numero, nelle scuole o nei laboratori dove regna una discipline rigorosa; debbono lavorare senza tregua e il merletto si risente di questo modo di lavoro; offre una eccessiva uniformità e presenta un aspetto freddo e monotono; non si sente la vita né l’intelligenza dell’operaio libero.

Dai cenni storico-statistici, il conferenziere venne a considerazioni d'ordine economico. Dal lavoro dei merletti non sì ritrae tutto il profitto che ad esso spetterebbe: i prezzi dei merletti. nei principali negozi delle grandi città sono più elevati il doppio, il triplo e anche più in confronto dei prezzi che si corrispondono alle operaie, Ciò dipende dalla nessuna organizzazione di questa industria — forse, la peggio ordinata, in Italia: il Munistero di agricoltura non vi pose mente, mai; non gli è nota. Sono gi’ incettatori che approfittano della povertà delle merlettaie, della incoscienza loro circa il merito reale della propria opera, della loro ignoranza intorno alle condizioni ed alle esigenze del mercato. Il sistema cooperativo potrebbe avvantaggiare sì trista condizione di cose, procurando rimunerazione più equa pel produttore e un prezzo di vendita meglio proporzionato all’intrinseco valore dell’ oggetto. Ed egli espone il modo, a suo pensare, più proficuo per istituire questa cooperativa, alla quale vorrebbe associato il mutuo soccorso.. À preparare il terreno per la costituzione delle Società cooperative reputa giovevole l’organizzare mostre nei principali centri di produzione. L'introduzione delle macchine, le quali si sono sostituite in gran parte al lavoro manuale — creandone alla lor volta di nuovo, ma diverso — assieme a grandi, incontestabili benefìzi ha portato con alcuni inconvenienti; fra cui la quasi totale scomparsa, in talune regioni, delle industrie casalinghe nelle campagne. La mancanza di lavoro, che significa demoralizzazione per l’uomo, per la giovinetta vuol dire la sua perdita. Trovare una nuova occupazione da sostituirsi a quelle già del tutto scomparse o in via di esserlo, è opera benefica moralmente e materialmente. Parla a lungo sui merletti a fusello e ad ago; crede che, nell’ ordinamento dell’ industria dei merletti, si debba tener tener di mira che le differenti attitudini si svolgano nel loro campo d’azione, se vuolsi conseguire, dal lato tecnico e da quello economici il miglior risultato. Trova ingiustificato il lamento che si muove contro qualsiasi lavoro che distragga la donna dalle cure della famiglia, dall'educazione dei figli: è cita in suo appoggio autorità di economisti e di letterati.Tutti gli economisti che si sono occupati del lavoro delle donne, hanno notato come il merletto ed il ricamo a mano sieno occupazioni che favoriscono la vita di famiglia. Dare alle nostre contadine il mezzo di guadagnare con fucile e dilettevole lavoro, durante i periodi di tempo che il governo della casa e le cure dei campi non richiedono la lore opera — è uno scopo nobilissimo; cui mirano appunto le scuole di merletti, fondate anche nella nostra Provincia mercè l'intelligente filantropia della contessa Cora di Brazzà Savorgnan. E si verificò questo fatto, nella scuola di Brazzà: che due o tre contadine adulte, costrette a starsene tappate in casa per infermità croniche, mandarono bambine di loro famiglia alla scuola ad apprendere il lavoro del merletto perchè alla lor volta lo insegnassero ad esse: ora, le povere donne si guadagnano una quindicina di lire al mese; non sono più di peso, ma di sollievo alle loro famiglie. Nelle quattro scuole istituite in Provincia (Fagagna, Brazzà, Martignacco, Silvela), il numero delle bambine frequentatrici è di centocinquanta. Conclude ricordando come alla gentildonna Barbara Etterlein che introdusse in Sassonia la industria dei merletti a fuselli per venire in aiuto alle donne dei minatori, una brava vecchia — vedendo la pazienza e l’abnegazione onde la castellana istruiva le povere contadine, le predisse che Sant’ Anna l'avrebbe ricompensata facendo prospe-rare i suoi figli senza perderne un solo, e che questi si sarebbero moltiplicati altrettanto che i fuselli del suo tombolo. La predizione si avverò; e quando donna Barbara Etterlein morì nel 1575 la piansero sessantacinque tra figli e nipoti.Egli vuol essere altrettanto indovino predicendo, alle signore di Brazzà e Pasolini (un’altra fondatrice di scuole per l'industria dei merletti)... non sì gran numero di figli e nipoti, che gli parrebbero un po’ troppi; ma un numero ben maggiore di donne italiane che le imi-teranno per la redenzione economica e morale delle nostre popolazioni agricole e cittadine.

Meritato plauso salutò il conferenziere, cui strinsero la mano, in segno di approvazione, parecchi dei presenti. _______________________________________________________________________________________________________________

Il 27 agosto 1897, il quotidiano “ La Patria del Friuli” pubblicava una serie di premi conferiti ai partecipanti ad una esposizione e per la sezione delle piccole industrie: “all’istituzione contessa Cora di Brazzà, scuola di merletti in Brazzà, Fagagna e Martignacco, produzione merletti: diploma d’onore. Signorina Dorina Bearzi, direzione scuola merletti di Brazzà, Fagagna e Martignacco, medaglia d’argento del Ministero d’agricoltura, industria e commercio.”

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Il quotidiano “La Patria del Friuli” del 14 settembre 1909, pubblicò un articolo dedicato ad una mostra artigianale svoltasi a Martignacco dal titoloFra I merletti e le pupattole”:  Ma dove l’industria femminile trionfa, è nelle due scuole di Merletti di Fagagna e Brazzacco, è nei «giocattoli » per regalare ai bimbi, creazione delle Industrie feraminili di Udine. I merletti... Chi avendo visitato, dieciotto anni or sono, l'esposizione agricola locale di emulazione fra i contadini (la prima che si tenesse in Italia), a Brazzà, per iniziativa della contessa Cora, non ricorda il gruppo di sei bambine che, col tamburo (tombolo) alla mano, lavoravano lentamente ma accuratamente il merletto ?... Quello fu il primo nucleo delle scuole di merletti in Friuli. Ora, la scuola di Brazzà conta 430 allieve, dai 4 ai 60 anni... E la scuola è frequentatissima; e va bene poichè I suoi lavori sono venduti ancora prima di essere incominciati. E frequentata è pure la scuola di Fagagna, che recentemente avemmo occasione di vedere in piena attività; e fortunata anch'essa nelle vendite. Il bello s'impone sempre. Naturalmente, le piccine fanno le cose più semplici: il lavoro si va grado a grado rendendo più complicato, più ifficile; e n’ erano esposti di stupendi, da entrambe le scuole: da quella di Brazzà in due vetrine ed in un campionario murale; da quella di Fagna in una grande vetrina, che fermava a dinanzi tutti i visitatori”. Le industrie femminili di Udine espongono centinaia di «capi » : orsacchiotti e scimmiotti e gatti e altre bestie; costumi friulani (fra cui il maranese e il resiano e lo slavo) e rumeno; una intera «scuola» di merlettaie, col loro piccolo tombolo dinanzi; tipi svariati di costumi antichi e moderni, Queste industrie femminili, delle quali son l'anima la signora Olga Renier e la signorina Noemi Nigris, occupano ora sei operaie fisse; ma in certe stagioni ne occupano di più. Finora seguirono modelli forestieri, la maggior parte tedeschi; ma si è già cominciato a emanciparsi dallestero anche per l'ideazione del giuocattolo; e ne uscirono, come primi campioni, appunto i costumini friulani, che si verranno moltiplicando. Anzi, è cominciata anche l'esportazione di questi «articoli nazionali»! Proprio: le difficoltà più ardue vince costanza. Certe parti in legno, le lavora por la scuola il falegname Giuseppe Perez di Fagagna, al quale pure è dovuta una parola di lode.

 

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