Collezionisti

Elisa Ricci

Elisa Ricci Moglie in seconde nozze di Corrado Ricci, fu seguendo il marito, nominato Direttore Generale Antichità e Belle Arti, che Elisa visse a Firenze tra il 1903 e il 1906, periodo durante il quale poté approfondire gli studi sulle arti applicate e i mestieri femminili preparando le due sontuose monografie sulle Antiche trine italiane per le pregiate edizioni dell’Istituto d’Arti Grafiche di Bergamo: Trine ad ago, edita nel 1908, e Trine a fuselli, nel 1911. L’imponente apparato iconografico di cui si fregia ciascun volume era da intendersi quale un museo ideale, che potesse “servire d’insegnamento, di incitamento, d’incoraggiamento alle nuove artiste dell’ago”, ma si rivelava altresì uno specchio del collezionismo con cui Elisa poté entrare in contatto. Pubblicati dopo il trasferimento dei coniugi Ricci a Roma, i due volumi sono infatti l’esito delle ricerche condotte negli anni immediatamente precedenti e si avvantaggiano delle frequentazioni dell’ambiente cosmopolita che si dava ritrovo a Firenze, come attesta anche il numero cospicuo di tavole che illustrano oggetti custoditi nelle raccolte di famiglie fiorentine o in quelle di stranieri residenti in città: dai pezzi fotografati presso la britannica lady Harriet Ellis Howard, terza moglie di Michelangelo Caetani duca di Sermoneta, a quelli della tedesca Ida Schiff, che per il volume 1911 aveva messo “a disposizione la sua importantissima collezione di trine antiche”, oltre ai numerosi tessuti custoditi dall’americana Edith Bronson, che avremo modo di ricordare, e di Florence Colgate, “una intelligente raccoglitrice americana” residente a New York, conosciuta sicuramente per tramite della fiorentina Carolina Amari. È la stessa Elisa Ricci infatti a chiarire nell’introduzione alle “Antiche Trine Italiane” quanto il suo lavoro di raccolta fosse stato frutto di “collaborazione” con coloro che le avevano elargito informazioni e consigli, oltre che messo a disposizione le proprie trine, e soprattutto con “i possessori di antichi libretti di modelli, preziosi come e più dei merletti”, come quelli della “contessa Rucellai Bronson (che mi lasciò pure largamente scegliere nella mirabile collezione di trine antiche fatta da sua madre, Mad. Bronson), e quelli della signorina Carolina Amari”; un ringraziamento speciale era dedicato infine alla signorina Francesca Amari, sorella di Carolina, “compagna di lavoro preziosa per la sua competenza, pel suo ardore, per la sua liberalità”.

 

Francesca e Carolina Amari

Le sorelle Francesca e Carolina Amari, erano note “fra le prime a collezionare ricami e trine antiche italiane, ritrovandone il punto e risvegliando così il gusto”. Nell’abitazione di Trespiano, dove una lapide ancora ricorda il padre storico e patriota Michele Amari, Carolina teneva la propria raccolta, ordinandola con un’inclinazione metodica e scientifica testimoniata da più fonti. Con il contributo della sorella Francesca, i tessuti venivano sistematicamente fotografati, così da comporre un vasto repertorio, che le consentiva di ampliare le sue conoscenze e competenze: per la “compiuta artista dell’ago e dei fuselli”, come la ricorderà Elisa Ricci, della quale era “amica molto intima”, la raccolta e lo studio furono dunque premessa indispensabile alla “rinascita” di quell’arte. Accogliendo le donne del contado che avevano iniziato a presentarsi da lei per aggiustare qualche vecchio pezzo, Carolina si era trovata poi a formare attorno a sé, alla villa di Trespiano, in maniera quasi inevitabile, una vera e propria scuola. Già nel 1903, in occasione della Esposizione e vendita del lavoro femminile nazionale, Amelia Rosselli, ribadendo il ruolo dei piccoli laboratori che davano lavoro alle donne di umili condizioni, ricordava il paziente e instancabile impegno di ricerca di Carolina e come ogni oggetto uscito dalla sua scuola sapesse mostrare un “particolare significato storico o tradizionale”, una “profonda erudizione storico-artistica”. Così, i campioni e i disegni raccolti da Carolina, ma anche quelli da lei segnalati da studiare “nei musei, nelle raccolte private, in libri o pitture antiche”, venivano “riprodotti da operaie accuratamente scelte alle quali si chiede solamente esattezza ed intelligenza artistica, affidando a loro tutto il materiale necessario”. Il collezionismo di antichi tessuti e lavori di filo non si esauriva dunque nel piacere del possesso o nella ricerca e ricostruzione storica, ma trovava per Carolina un esito pratico nel crearne di nuovi e incontrava un fine sociale nell’aiuto e nel sostegno chela scuola poteva offrire alla popolazione rurale femminile, mettendola in condizione di contribuire al bilancio della famiglia. Sotto tutti questi aspetti, l’episodio della Scuola di Trespiano si inseriva in un movimento di rinascita in cui le signore, “le più alte dame”, per usare ancora le parole di Elisa Ricci, per prime avevano preso l’ago in mano per studiare punti e disegni. Questa rinascita aveva avuto avvio nel Veneto, attorno al 1872 a Burano, dove “una dama veneziana” per soccorrere le donne dell’isola colpita da una dura carestia, pensò di rimetterle a lavorare a una antica trina di cui stava per smarrirsi il segreto e che le donne di quel paese avevano fatto qualche secolo prima rendendole famose”: rinasceva così il punto di Burano, grazie alla contessa Adriana Marcello e alla principessa Chigi Giovannelli, con il patrocinio della regina Margherita. La riscoperta di trine e merletti si propagava poi nella Romagna, in Toscana e nel Sud Italia, sostenuta dalla nascita nel 1903 delle“Industrie Femminili Italiane”, una cooperativa con sede a Roma per la realizzazione, promozione e vendita, attraverso strade nazionali e internazionali, dei lavori di filo e dell’artigianato artistico femminile italiano. Ne era presidentessa l’americana Cora Ann Slocomb, che si era stabilita in Italia dopo il matrimonio con il conte friulano Detalmo Savorgnan di Brazzà: nella loro residenza estiva in Friuli, il castello di Brazzà, Cora aveva fondato nel 1891 una scuola di merletto a fuselli, la prima di molte altre analoghe. Fu da una costola delle “Industrie Femminili Italiane” che nel 1905 prese vita a New York la “Scuola d’Industrie Italiane”, al civico 28 di MacDougal Street, in “due buone stanze al primo piano, belle illuminate e ariose”, della Richmond Hill House, una settlement house del Greenwich Village. Le mani di giovani donne emigrate vi producevano ricami e merletti, copiati da antichi modelli, ma adattati all’uso moderno, da commercializzare in America e in Italia. Nella ideazione e realizzazione della scuola di New York avevano giocato un ruolo di primo piano Florence Colgate che sicuramente aveva conosciuto Carolina durante uno dei suoi viaggi in Italia e che già abbiamo ricordato tra le fornitrici di esemplari a illustrare i volumi di Elisa Ricci e Gino Speranza, marito di Florence, emigrato italiano di seconda generazione e avvocato impegnato nella difesa dei diritti degli immigrati: nelle finalità culturali (il recupero della conoscenza di antichi manufatti), artistiche e commerciali (la realizzazione e vendita degli oggetti), ma anche sociali (l’aiuto alle donne immigrate), convergevano gli interessi dei due coniugi. Avviata nel novembre del 1905 con sei ragazze, dopo solo un anno la scuola ne contava ventuno . Tratto da “Images”, il Magazine delle Gallerie degli Uffizi nr.5 Luglio 2021

 

Marshall Cutler e Helen Calista Bell Culter

Marshall Cutler era giunto a Firenze con la moglie Helen Calista Bell, della quale si sarebbe persa memoria, se il suo nome non fosse stato legato alla collezione di samplers, o imparaticci, cioè gli esercizi di ricamo destinati all’educazione femminile o all’avviamento al lavoro, custodita oggi in parte al Museo di Casa Davanzati di Firenze* e in parte al Museum of International Folk Art di Santa Fe, New Mexico. Sebbene poco ci sia stato possibile ricostruire sui Cutler, bostoniani di nascita e fiorentini d’adozione, la loro ampia collezione di imparaticci, che annovera esemplari realizzati tra la fine del Seicento e la fine dell’Ottocento, tra Europa e America, è specchio di quell’interesse verso questo genere “minore” della produzione tessile che accomunò molti, e soprattutto molte signore dell’alta società, da una parte e dall’altra dell’Oceano Atlantico. Le trame tra Italia e America sul filo del collezionismo di antichi tessuti, ricami e merletti si intessevano infatti alacremente anche nei palazzi e nelle dimore fiorentine, dove certamente ebbe accesso Elisa Ricci, la quale andò cercando e scegliendo gli esempi migliori “fra i tesori ignorati che giacciono nel buio delle sacrestie e nei gelosi scrigni delle dame e dei raccoglitori”, talvolta riuscendo a ottenere una fotografia appena prima che questi pregiati oggetti lasciassero l’Italia per andare a incrementare le raccolte d’Oltreoceano. La figlia Lezlie con il marito Carlo Matteo Girard (Girard Foundation) donarono una parte di sampler della collezione alla Croce Rossa di Firenze di questi, nel 1972 lo Stato Italiano ne acquistò 97. Nel 1976 la Croce Rossa fece una piccola mostra con i 39 che erano rimasti, poi acquistati nel 1986 dalla Cassa di Risparmio e ceduti in comodato al Museo di Casa Davanzati.

 

 

Dallay Amilcare

Dallay Amilcare era un mercante d’arte e in vent’anni raccolse una notevole collezione di manufatti sardi comprendente filets, buratti e lini sfilati. La sua importante collezione si trova al Museo Nazionale G.A. Sanna a Sassari.

 

 

Geneviève Garvan Brady

 

Set da pranzo in pizzo filet color ecru, composto da un runner e dodici tablettes. Il disegno è composto da medaglioni con soggetti leggendari come satiri, sirene, teste di delfini e fogliame incorniciati da volute rinascimentali, il bordo è smerlato. Lunghezza del runner è 2 iarde.

 

 

Pregiato lino ad intaglio e runner in pizzo di Burano Point de Venise Fascia perimetrale e smerlo vandycato di finissimo punto di Venise che sviluppa cartigli fogliari di leoni rampanti e aquile, alternati a rami di ghiande e vasetti fiancheggiati da un porcospino e una lepre, il smerlo a coppie di unicorni, leoni e grifoni; racchiude riquadri alternati di punto di Venezia e di lino intaglio con inserti di pizzo di animali; intrecciato con il nome. Lunghezza, 1 iarda e 31 pollici: larghezza, 24 pollici.

 

Tovaglia ovale in lino, filet e pizzo di Burano con ampio bordo in filet smerlato che sviluppa volute di foglie, gigli, putti e uccelli; la parte central è in lino con ricami floreali e scorrimenti a intaglio, incastonato con medaglioni di putti a filet e pizzo di Burano e un giovani fanciulli che raccolgono l'uva.

 

https://archive.org/details/unset00amer_44/page/n14/mode/1up?q=Genevi%C3%A8ve+Garvan+Brady+lace

http://www.marianiforos.com/lace233detail.html

 

Maria Margaret Pollen

 

Maria Margaret Pollen collezionava antichi merletti, ventagli e vetri inglesi del XVIII secolo. Attribuì il suo particolare interesse per i tessuti alla sua amica, la signora Bury Palliser, scrittrice d'arte ed esperta di merletti, che le regalò uno dei suoi primi "esemplari" nel 1862. Le collezioni di Maria Margaret furono esposte durante la sua vita al South Kensington Museum, dove suo marito era dal 1863 Assistente Custode, all' Esposizione franco-britannica del 1908 e all' Esposizione Giappone-Britannica del 1910.

Dopo la morte del marito nel 1902, aveva continuato a sviluppare il comune interesse per le arti decorative e i tessuti antichi, diventando docente sul tema dei merletti antichi.  Nel 1908 pubblicò una storia della lavorazione del merletto, incluso un catalogo illustrato di 120 pezzi della sua collezione intitolato Seven Centuries of Old Lace, con una prefazione di  Alan Summerly Cole. Basandosi sullo studio di manoscritti miniati, affreschi italiani e su ricerche originali su altri esempi di merletti antichi in collezioni private ed ecclesiastiche, l'opera si distingue per aver sostenuto che il pizzo, precedentemente ritenuto un'invenzione del XVI secolo, si potrebbe farlo risalire all'antichità,  attraverso l'ornamento dei paramenti liturgici in lino. Maria Margaret nell’introdurre la sua collezione così scrisse: ” L'idea di regalare, attraverso la fotografia, riproduzioni a grandezza naturale dei miei esemplari di antichi merletti ad ago e a tombolo, è nata dal desiderio di evitare di dispiegare questi delicati tessuti quando i miei amici desideravano vederli. Facendo attenzione che molte delle fotografie fornissero la dimensione esatta di ogni punto dell'opera, il vedere e maneggiare gli originali è stato praticamente superfluo. Sebbene esistano molti libri sul pizzo che forniscono dati storici, artistici e tecnici di grande valore, nessuno di quelli che conosco fornisce rappresentazioni a grandezza naturale. Penso quindi che tali riproduzioni dei miei esemplari possano avere un interesse più ampio di quanto avessi inizialmente immaginato, e di conseguenza le ho ora preparate per la pubblicazione generale”.

 

Leopold Iklé

Leopold Iklè nacque ad Amburgo nel 1838 da una famiglia di tessitori, dall'età di 15 anni lavorò come venditore itinerante per l'azienda di famiglia Iklé Freres con filiali a San Gallo, Parigi, Londra, Berlino, Vienna e New York specializzate nei merletti meccanici. È sempre stato uno studioso serio di tessuti storici, tanto che la sua collezione nata in una piccolo scatola nel suo ufficio, terminò per riempire tutta la sua casa a San Gallo. Nel 1904 fece una cospicua donazione al Museo Industrie und Gewerbe di San Gallo e dopo la sua morte nel 1922, gran parte della sua collezione fu messa all'asta a Zurigo. Il rimanente passò ai suoi figli e il 7 novembre 1989 i nipoti di Leopold Iklé vendettero, tramite la casa d’aste CHrisie’s, 254 lotti. I lotti successivi furono consegnati da altri membri della famiglia Iklé.

Quattro lotti della collezione Iklè venduti da Christie’s nel 1989: tre fondi di cuffia inizi XIX secolo e un engagiante fine XVIII secolo probabilmente proveniente da Dresda

Questa è una stampa a colori originale del 1932 di un pizzo a tombolo di Bruxelles della collezione Iklè. La didascalia riporta: "I pittori del XVIII secolo erano meno arroganti degli artisti moderni, che non consideravano la realizzazione di disegni per merletti al di sotto della loro dignità".

 

Lijerka Boenisch Ivana Marija Sondić

 

Ljerka Ivana Marija Sondić nacque a Bizovac il 30 aprile 1908. Studiò a Vienna, Zagabria, Varsavia e Belgrado. Sposò un polacco a Belgrado il 14 novembre 1939 e lavorò presso l'ambasciata croata a Helsinki all'inizio della seconda guerra mondiale, trasferendosi a Londra nell'ottobre 1943. Suo marito combatté con l'esercito britannico nell'Africa occidentale e in Birmania. Nel 1993 venne fatta una donazione al British Museum di Londra di alcuni suoi esemplari di merletto: quattro merletti ad ago dell’isola di Pago, un merletto croato a fuselli, probabilmente di Lepoglava e uno a rete proveniente dalla Bosnia.

 

          

 

 

       

 

Merletti ad ago con filo di cotone colore naturale, XX secolo, isola di Pago-Croazia.The British Museum, Londra.

 

 

Collezione famiglia Aruch di Perugia

 

Cuffia a punto intaglio e punto riccio e reticello in filo di lino,  1590-1710, collezione Aruch di Perugia, nel 1937 il Museo Nazionale di Torino l’acquistò dalla signora Emma Calligo Aruch.

“Sono rimasti pochi e appassionati collezionisti come la signora Elisa Ricci, e la signora Aruch di Perugia, in casa della quale ricordo di aver ammirato, anni or sono, una bella raccolta entro custodie di vetro”, scriveva così Augusto Jandolo nel suo libro “Le memorie di un antiquario”. Gabriella Aruch Scaravaglio ereditò la collezione che era stata dal padre Eugenio Aruch e della madre Emma Calligo.

Natalia Leonidovna Shabelsky

 

 

 

Bordo di un asciugamano

 

Natalia Shabelsky nacque a Taganrog, in Russia, nel 1841. Dopo il suo matrimonio si trasferì in una tenuta rurale nella regione di Lebedinsky, dove sviluppò un interesse per la lavorazione tessile indigena della Russia etnica. Raccolse e conservò campioni di ricami e merletti, come balze per asciugamani e accessori per i costumi, ricchi di motivi tradizionali come l'albero della Vita, il Sirin ( figura mitologica russa) e la Dea Madre nelle sue varie forme. Alla fine del XIX secolo, Shabelsky espose la sua collezione a numerose fiere mondiali. Dopo l'Esposizione Universale del 1900 a Parigi, vi si trasferì con le sue due figlie e la sua collezione. Morì nel 1904; le sue figlie si assicurarono che la collezione fosse adeguatamente documentata e pubblicata e non avendo figli la affidarono al conte e alla contessa Basil Musin Pushkin con la facoltà di esporre e vendere la collezione. All'inizio degli anni '30, il Brooklyn Museum, il Cleveland Museum of Art e il Museum of Fine Arts di Boston acquistarono tutti tessuti Shabelsky. Il Museo Etnografico di San Pietroburgo conserva da più di 100 anni una ragguardevole parte della collezione dei costumi tradizionali russi.

Nel 2020 presso l’università Lincoln del Nebraska si è svolta una conferenza dal titolo: “The Lost Narrative of Natalia Shabelsky’s Collection of Russian Textiles”.

https://digitalcommons.unl.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=2180&context=tsaconf

 

 

 

Bibliografia

 

Museum of International Folk Art (N.M.), “Textiles : collection of the Museum of International Folk Art”, 2010

“Images”,  Magazine delle Gallerie degli Uffizi nr.5 Luglio 2021

Jandolo Augusto, Le memorie di un antiquario, 1935  

Sitografia;

Jourdain Margaret, 1908, “Old lace: a handbook for collectors : an account of the different styles of lace, their history, characteristics & manufacture”, https://archive.org/details/cu31924055000339/mode/2up   , data consultazione 17/12/2024

Moody, A. Penderel, 1909, “Lace making and collecting : an elementary handbook”, https://archive.org/details/cu31924050710718/page/n5/mode/1up  data consultazione 17/12/2024

Morris Frances e Marian Hague, 1920, “Antique laces of American collectors”, https://archive.org/details/gri_33125010501092/mode/1up , data consultazione 17/12/2024

   

 

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