Il
merletto e la passione di Paulo Fambri
Per capire quanta passione e
risorse economiche, abbia dedicato Paolo Fambri per far rivivere la lavorazione
del merletto nelle isole veneziane basta leggere i suoi scritti, che rimarranno
negli annali della storia, come un tatuaggio indelebile. Aggiungere altre
parole sarebbe inutile, la sua grinta traspare in tutto il suo “sentire”.
LA
STORIA DELLA CONQUISTA DI DUE MEDAGLIE D' ORO, (I
Merletti di Venezia 1878), Fambri e S. Tre
mesi fa, il capitano cav. Luigi Chiala, l'egregio storico della campagna del
1866 e già direttore della Rivista militare
,pubblicava in occasione di nozze in casa Voghera, un volume
d'importantissimi scritti inediti ch'egli teneva da uomini di gran conto,
coi' quali era stato in amichevole corrispondenza durante la sua carriera
lunga e onorata. Tra le pagine di tale volume intitolato Nuptialia e
stampato a Roma nel tempo che abbiamo detto, trovasi una lettera del Fambri,
che Domenico Berti e Luigi Luzzati, per nominare due giudici soli, chiamarono
un vero gioiello. L'argomento affatto economico venne trattato altre volte
nelle pagine di questa Rivista, la quale riprodusse, tre anni
fa, fra l’altre una lunga risposta del Fambri stesso ed alcuni appunti del
prof. Toniolo sul richiamo dei merletti veneziani alla vita dell'arte e degli
scambi. Il Fambri in questa materia mostrò una forza di volontà che tocca la
pertinaccia, ed un coraggio di annegazione che, come ben dice la Gazzetta
di Venezia, non ha riscontro nella storia industriale di
nessun centro di produzione. Estraneo
in tutto alla parte tecnica e industriale, aiutato da pochissimi fidi, deluso
anzi tradito proprio allora che si sforzava a combattere, egli non volle dare
un passo indietro ed abbandonare le
due mila donne che amò... son sue parole. Il Fambri, come è noto, scherza
anche nei più cattivi passi. Oggi
per altro i passi sono tutť altro che cattivi, sebbene un anno fa
fossero tali, addirittura terribili. Ma non anticipiamo, ecco la lettera. Carissimo
Chiala, Chi mai
potrebbe, mi dicevate qualche settimana fa, indovinare in voi il gentile (Dio
vi perdoni l'epiteto, io nol farò mai), dico, il gentile produttore dei
merletti cosi ammirati ora a Parigi? Non c'è mai stata interrogazione al
mondo (neanche, sto per dire, quella recente del mio Gabelli) più legittima
di questa. Infatti,
alla naturale spiccatissima contraddizione che passa sempre tra la persona
nonché il fare mio, e tutto ciò che si presenti in qualche modo tenue,
elegante, o, per dirla in una parola, carino, come se non fosse già troppa,
s' aggiungeva in quel momento il più brusco e stridente rincaro. Mi ricorda
che venivo giusto allora da certi miei lavori di un tre chilometri fuori
porta, rudemente insaccato, più rudemente stivalato e grigio di polvere
peggio che ď anni, avendone inoltre, non che il resto, tutta
impiastricciata la faccia salvo tre o quattro righe le quali scendevano,
inesausti ruscelli di onorato finché si vuole ma noioso sudore, giù dalle
tempie al collo. Eppure,
riconoscibile o no, indovinabile o no, ero quel desso. Io so
che a parecchi amici vostri, e forse amiche, e' par mill'anni di penetrare il
mistero di codesto giuoco di flagranti contrasti. É vero che se ci fu un Dio
il quale, secondo le sacre carte, si divertiva a suscitare gli stolti per
confondere i sapienti, ci può anche per la stessa ragione essere stata una
Dea tentata di servirsi ď una incarnata e membruta negazione del gusto a
risurrezione per l'appunto di esso. Però, dato cotesto tiro d'onnipotenza, la
curiosità loro di conoscerne le vie e gli andamenti non poteva, lo capisco,
non rimanerne ancora più stuzzicata. Nè a voi era certo dato di soddisfarla,
chè, quante volte ci s'è incontrati noi altri, i discorsi s' aggirarono
sempre intorno alle cose di Marte, senza che a Venere sua venisse mai fatta
la più lontana allusione. Ebbene,
dacché a Parigi un po' se ne occupano e il grido arriva nientemeno che da
Folchetto, eccomi a dirvene succinto ma preciso ogni cosa, e fiat
lux. Voi
ricordate senza dubbio che or fanno sei anni ero deputato del secondo
collegio di Venezia - una specie di propheta in patria in
onta al dettato, il quale però volle avere ragione, tanto che la cosa ebbe da
ultimo a finire col mio capitombolo. Ma ciò non rileva. Allora c'ero, e un
bel mattino feci vela con alcuni amici, fra i quali il Pisani, per Burano,
una sezione del collegio non solo staccata ma insulare, della cui
squallidissima miseria, risalente ad anni immemorabili, non saprebbe formarsi
un'idea chi non l'abbia veduta cogli occhi propri. E il vederla fece a tutti
noi un gran male al cuore. Sapevamo, ma non ci aspettavamo lo strazio a quel
punto. Dopo le
prime glose, si cominciò, il Pisani, io, il parroco, il sindaco, e due o tre
notabili del posto, a ragionare sul come tentare un principio di rimedio. - Non
lavorano dunque per niente ? chiedevo. -
Pescano, rispondeva il sindaco, come il tempo permette. -
Coltivano anche le vigne, aggiungeva il parroco, ma di terra ce n' è così
poca ! - E le
donne? -
Badano alla casa, a' bimbi ! - La
casa ? bella spiegazione - se la maggior parte debbono anzi uscire di casa
perchè non ci si vede ! quanto ai bimbi che cosa fanno loro ? - lavarli no,
che di acqua ce n'è appena da bere; vestirli nemmeno, che sono a zonzo ignudi
nati... Una
volta però, seguitavo tristamente, qui si lavorava; c’erano industrie famose. - Altro che famose ! mi si rispondeva in coro, i
merletti e i cappelli di trucciolo, i quali sul cadere del secolo scorso si
vendevano a tre, a quattro e fino a dieci zecchini. Capisce che prezzi, e a
quei tempi lì! - Ebbene, saltai su interrompendo tentiamo qualcosa
incominciando dagli uomini. I panama oggi non vanno essi da cinque
fino a trecento lire? C’è chi paga anche oggi. Rifacciamoci un po' cappellai. - Neanche discorrerne, ci fu subito replicato. Sul
principio del secolo l' industria fina cessò, l’ordinaria tirò innanzi ancora
qualche anno, poi decadde affatto, e gli ultimi operai emigrarono su quel di
Modena, senza che dopo se ne sapesse mai più nulla. - Faremo delle ricerche. E i merletti? - Anche lì finito tutto. Morte tutte! - Davvero tutte? - Meno una; la Cencia Scarpariola già settuagenaria
e che non ci vede più.... - Vediamola noi. . . subito. - Io son sempre pel
subito. Andarono a scovarla e me la condussero. Una
vecchietta pulita ed arzilla, sulle prime alquanto confusa di trovarsi
innanzi a dei grandi personaggi, secondo lei, ma ben tosto orientata e
precisa nelle risposte. Io fui l' interrogatore : - Ebbene, buona donna, non potete più lavorare ? - Non ce n'è da lavorare, signore. Poco, ma pur
qualche cosa ancora potrei. - Dunque ci vedete ? - Sissignore! mi stanco presto, ma tanto. . . magari
ce ne fosse un po'del lavoro. - Vi pigliereste l'impegno di insegnare a delle
bambine? - Bambine? Oh no; si figuri! se fosse delle fanciulle.
. . Ella aveva mille ragioni. Io venivo allora allora di
Toscana dove così bambinescamente i figli si chiaman bimbi fino a
diciott'anni, nè questa dev' essere l' ultima delle ragioni per la quale il
senno non si può dire che anticipi... - Dunque delle fanciulle sì? ripigliavo
correggendomi. Grandette, sissignore ; per quel poco che so, veda,
perché non sono stata mai delle brave. -Insomma vi impegnate! - A'suoi comandi. - E sta bene. I comandi vedrete che non si faranno
molto aspettare. - Io m'ero già fatto in testa il disegno d'un potente
anzi prepotente appello al mio pubblico. Tornato appena a Venezia, misi fuori per le stampe
un letterone al mio amico D. Fadiga, direttore allora del Rinnovamento, con
descrizioni, perorazioni e un primo obolo. Carlo Pisani e il Fadiga lascia
fare a loro, giù il secondo e il terzo accompagnati da altre descrizioni ed
eccitamenti. Ed io, a ribattere il ferro fin che era caldo, giù un discorso
in pubblico, poi un secondo, e i giornali a tenermi più o meno bordone. Non
c'è mica altro da fare che così. Il clarino gorgheggia, il violino parla e
canta, il violoncello piange e fa piangere, eppure io ho veduto gente, anche
per bene, a dormire a musiche di paradiso. Non c' è proprio altro che la gran
cassa la quale valga a scotare per davvero e mantenga desti. E sel sanno i
timpani e le tasche del prossimo se l'ho battuta! Le sottoscrizioni fioccarono tosto dall'universo ed altri
siti. Qui la designazione famosa del Dulcamara torna a
capello, conciossiachè il suono dello stromento sullodato giungesse niente
meno che fino al soglio di Pio IX, e parecchie, dico parecchie, migliaia di
lire scendessero dalle case Vaticane, alle quali, come cosa a cavaliere tra
il reale e il trascendente, l’altri siti rimane la più applicabile
espressione del mondo. Però quei danari furono volti ad altre istituzioni.
Messi ad ogni modo insieme discreti mezzi materiali, mi detti attorno pei
morali. Affari di ragazze bisognava naturalmente finire per metterli in mano
a delle signore, buone, intelligenti, ricche, alto locate, possibilmente
anche belle.» Fu allora che mi rivolsi con due lettere piene di rispettosa
audacia e coronata, in ordine al mio fine, dal più lusinghiero successo,
prima alla contessa Andriana Zon-Marcello, indi
alla principessa Maria Chigi Giovanelli. La scuola cominciò con sei ragazze, ben tosto
divenute dodici, poi ventiquattro, salendo poi gradualmente alle due per
avviarsi alle trecento. Da una stanzettina di forse cinque metri per quattro,
si passò a una maggiore al pianterreno, poi al primo piano in una sala molto
chiara, ampia e fin ricca per Burano. La giovane signora D' Este-Bellorio,
maestra comunale, fu tra le prime scolare della Cencia, e in due mesi divenne
una perfetta maestra dell'arte. La cosa cominciò a camminare. Le spese di scuola, di
sussidi, materiale ed altro crescevano e ci si sopperiva fra le due illustri
patronesse e me. Quanto poi al lavoro d'iniziativa promozione, protezione,
sorveglianza tecnica, amministrativa, disciplinare; ecc. si devenne fra noi
tre a un patto di divisione di lavoro, ed ecco come: Considerate le frequenti
assenze da Venezia della principessa da una parte, e dell' ingegnere
dall'altra, essi due membri imposero, come maggioranza, una deliberazione del
seguente tenore: «In nome ecc., abbiamo decretato e decretiamo che il lavoro
sarà d'ora innanzi diviso fra noi nella seguente maniera ; la contessa
Andriana Marcello farà tutto, e noi altri due faremo il resto.» La deliberazione era tanto più giusta che la
plenipotenziaria possedeva già l'arte per principii e non tardava in appresso
a farci l'occhio e la mano alla tecnica. Le fanciulle venivano su di numero e di capacità, la
maestra ď Este, il sindaco Pitteri, il parroco aiutavano intelligenti
assidui e concordi. Arrivava già il momento di prendere o, per dir meglio, di
cercare delle commissioni. Le prime partirono, e splendide, dall' allora
Principessa, ora Regina Margherita, la quale accettò inoltre la presidenza
dell'istituzione e le fece quell' infinito bene morale e materiale che fa a
tutto quello che vede e tocca. E sempre avanti ! Occorse anticipare parecchio. Ci si tassò ancora fra
noi tre; poi si prese dentro il circolo dell'infaticabile ed egemonica
patronessa, e in giorni, direi quasi in ore, si messero insieme, fra tutti
(una serqua e mezza di amici) da otto a diecimila lire. Questa dunque di Burano è ormai una ciambella
riuscita col buco, e non accade discorrerne più a lungo che la parrebbe una
cosa fatta per lodarsi, la quale del resto avrebbe la sua ragione e il suo
pregio come una delle tanto poche che quaggiù si facciano di vero cuore. Ora incomincian le dolenti note. Il lavoro ad ago non chiede aiuti materiali di sorta
alcuna. L' operaia, come l'ora avanzi o il punto si renda eccessivamente
delicato, lascia il mezzo della stanza e, ritta al vano ď una finestra,
agucchia più preciso e squisito. Egli è per tale mobilità tutta aerea del
lavoro e dell'apparato cui bastano occhi e dita, che gli fu dato, io penso,
nome di punto in aria. Ma
che occhi, per altro, e che dita ci vogliono! e che giunta di costanza e di
garbo! - Mi vengono in mano signora rispose costei. Malgrado il
suo innegabile talento, non aveva mai potuto imparare il galateo dei titoli. Mentre le cose de' merletti ad ago ormai volgevano al
meglio, e il mio spirito ottimista e facilone respirava confidenza e buon
umore, m'arriva l'opuscolino d'un sig. Michelangiolo Jesurum che a molti
parve sempre, e s'afferma più che mai ora a Parigi, proprio il Michelangelo
dei fuselli. A ogni modo si chiese permesso a' soscrittori e al
governo di cominciare i lavori con qualche diecina di migliaia di lire meno
della chiesta somma di centomila. Alcuni azionisti ebbero più giudizio di me;
e, poste le spalle al muro, dissero: o piantarsi con tutto il capitale che
occorre, o non farne nulla; e ritirarono le azioni sottoscritte; ma i più
assentirono. La cosa si iniziò. E tale iniziazione fu, economicamente
parlando, un passo circa cinque volte maggiore della gamba, imperocché ci
fosse proprio tutto da fare e da ordinare. Bisognava formare le operaie tanto
che quei loro rozzi e peggio che barocchi lavori passassero ai perfettissimi
d'oggidì, modificando i gusti e le consuetudini tecniche. La prospettiva loro
era di guadagnare quasi subito il quintuplo, ma per intanto c'era un periodo
di insegnamento e poi di addestramento da attraversare, quindi di maggior
fatica, di disciplina resa più difficile dai sobillamenti delle antiche
maestre, già incettatrici della produzione, non che delle cottimiste e
cassiere le quali S' era dunque bensì a un mal passo, ma con forza di
vapore si doveva uscirne trionfalmente. E perchè mo' io ? Oh bella! perchè il più fiducioso, il più impegnato
oramai ď amor proprio e di core, il più facilone e corrente. E ça ira' sclamai.
Vostro Fambri Ora a complemento di quel ça
ira del deputato monarchico diremo ai nostri lettori che ebbe
luogo a Venezia l'assemblea numerosissima degli azionisti, e che fu votata l'
ampliazione del capitale, di cui la maggior parte è già sottoscritta.
Conchiuderemo facendo voti noi pure perchè alla corraggiosa iniziativa del
Fambri non venga meno la fortuna, e S.
Tratto da Giornale degli Economisti, Vol. 7, No. 5/6 (Agosto e Settembre 1878), pp. 365-379
(15 pages) |
Atto verbale dell’adunanza ordinaria del 11 Dicembre 1873 -
Tratto dalla rivista Ateneo Veneto, 1873 Aperta la seduta e letto il processo verbale della
precedente adunanza, il Presidente invita il socio ing. Paulo Fambri a dar
lettura della memoria seguente: I MERLETTI UNA VOLTA ED OGGI MEMORIA dell'ing. PAULO DOTT.
FAMBRI Vengo di Montecitorio dopo gridato a squarcia gola e
picchiato dei pugni sul banco a proposito di materie militari, bisticciandomi
con finanzieri e con soldati a proposito delle più aspre e prosaiche materie
del mondo. Ora vengo qua ego ille, a parlare di cose geniali,
aghi, fuselli e trine. A chi sfoderasse in proposito certi epigrammi potrei
facilmente rispondere che tra le cose di Marte e quelle di Venere il trait-d'
union davvero non manca, e il signor Vulcano può dirlo.
Ma questa sarebbe, più o men buona, una celia. La verità vera sta in ciò che
materia economica e morale era quella, e materia economica e morale è questa,
che lì come qui si trattava di lavoro e di sussistenza. Colui che guardando
dall'alto al basso, con catonesco disdegno, le trine giranti su tre e quattro
ordini intorno ad uno strascico principesco, lancia il suo facile vanitas
vanitatum, troverebbe forse meno sapiente la frase
salomonesca vedendo quell’ornamento medesimo sotto le dita dell'operaia dove
non rappresenta sfoggio ma lavoro, cioè salvezza dal bisogno e dal pericolo.
Cucito sul velluto si chiama trina, ma puntato sul cuscino si chiama pane, ed
è un nome santo. I I merletti d'ogni gusto e maniera, (prodotto cioè
d'arte, d'industria, misti dell'una e dell'altra) furono, e ciò che vale
anche più, saranno la ricchissima sempre tra le fonti di lucri femminili. Il
male è però che quel furono si riferisce largamente all'
Italia, mentre il saranno, il quale importa tanto più
quanto il pensiero degli interessi soverchia quello delle memorie,
minaccia di non essere per l’avvenire affare nostro. Noi altri, sino a un secolo e
mezzo fa, anche senza avere in paese una corte la quale dettasse legge in
fatto di galanteria, s' aveva ancora tanto in mano, da portare un voto
importante e pressoché decisivo nel parlamento della moda. Rappresentavamo
per tre quarti la produ- zione delle trine, vale a dire proprio di quella
specie d'ornamento senza di cui non esiste acconciatura né ricca né elegante.
In fatto di moda, chi se ne ricorda più? il de Venise precedette il de Paris. Per quanto ciò possa sembrare
inverosimile, non cessa di essere vero. E Paris,
figurarsi, ne fremeva, e provavasi a tutte le guerre e a tutte le riscosse
suntuarie che il catonismo morale e politico, ed il proibizio- nismo
economico, alleati insieme, potessero incarnare in una legislazione come
s'usava a quei tempi lì. Le ordinanze di Luigi XIV, tre alla fila e
rincaranti l'una sull'altra, non arrestarono però un'oncia sola del merletto
di Venezia o di Genova alla frontiera del Regno. Le ordinanze doganali
francesi citate dall' Alquìn avevano press' a poco il vigore delle gride
spagnuole citate dal Manzoni, e le merlettaie di Burano e di Cannareggio la
facevano in barba ai re di Francia come i bravi
dei castelli Lombardi ai governatori di Milano. Del reddito derivante a
Venezia non può nemmeno formarsi un' idea chi non abbia studiati i documenti
intimi di quei tempi. A che prezzi si pagassero i
merletti di Genova e di Venezia ne troviamo un chiaro cenno nel celebre Dictionnaire des Précieuses,
stam- pato nel 1660, dove è discorso di certi Canons
a trois etages, A leurs jambes faisant ombrages,
al discreto prezzo di sin 7000 lire al paio. «A la cour de France, dice
l’Alquin nelle sue amarissime delices
de la France, on regarde comme peu de chose
d'acheter des rabats, manchettes et canons de la valeur de 13,000 ecus!!!» E questa, s'intende, era tutta
roba pei cavalieri. A rivederci poi le dame! In fatto di ornamenti personali
dove il sesso spigliato mette fuori uno, il grazioso ha il diritto e il
dovere di spendere dieci. Ci vorrebbe anche questa che les jambes di monsieur costassero
settemila lire, e il collo, le spalle, e tutte le altre belle cose di madame
non fossero apprezzate a neanche settanta! — Il Colbért capi perfettamente
che le riproduzioni aumentate e corrette di tutte le leggi Oppie del mondo
non riuscivano a nulla, che una moda non poteva essere combattuta se non da
un' altra moda, e che una provenienza non poteva essere chiusa se non col
mezzo di un' altra di voga uguale, anzi maggiore. Vide che i nobili francesi si
rovinavano, non lo potendo impedire, studiò il modo che almeno le loro
spoglie non uscissero di Francia. Allora non era ancora stata peranco
scoperta la buffona consolazione
dei Boezii dell'economia moderna, ai quali non fa
niente affatto specie se la cifra dell'importazione sia enormemente grossa.
Però che, dicono, non essere ciò se non uno scambio nella forma delle
ricchezze, la quale esce sotto le specie di metallo ma rientra, manco male,
sotto quelle di drappi, nastri, gingilli, od altre qualsiensi che' ad ogni
modo a sentirli loro, le valgono. Al Colbert invece pareva tutt'
altro. Preferiva i luigi d'oro e si rammaricava assai col Boileau: De ces
tributs serviles, Que payait à leur art le luxe de villes. Il bravo uomo, bravo a spalle
nostre ma bisogna dirglielo egualmente, mandò a reclutare a Venezia, a
Burano, a Genova, a Chiavari, una trentina di merlettaie che raccolse nel
celebre Castello di Louray, sotto la direzione di quella madamigella Gilbert
che ebbe in Francia lode, forse infondata, ma grandissima di creatrice del
punto d' Alencon, il quale è presso a poco quel di Burano, rimbellito però e
perfezionato con sapore tutto francese. Le merlettaie veneziane
riuscirono perfettamente, il Colbert non aveva davvero guardata a spesa per
averne il fiore. Come la produzione fu copiosa abbastanza per farne una
esposizione degna di Luigi XIV, egli la tentò in una delle sale di Versailles
e trovò modo di infervorarne lo stesso re Luigi, il quale gratificò di una
bella somma madamigella Gilbert, e qui fu giusto, ed espresse il desiderio
(si sa perfettamente cosa fossero i desideri di quel bravo signore) che da
allora in poi nessun cavaliere e nessuna dama si presentasse più a Corte con
altri merletti che quelli lì dell'esposizione, i quali egli ribattezzò, e qui
se non fu giusto fu certo abilissimo, col nome di point de France. Non occorreva altro a portare
la ricerca di codesti merletti al più alto grado. Divenne frenesia a
dirittura. Un'ordinanza del 5 Agosto 1665 allargò a grandissime proporzioni
la manifattura del point de
Venise diventato, per regio Decreto, point de France, Fu senz'altro costituita una
società con privilegio di 10 anni e per giunta, un 360,000 lire di sussidio.
Quantunque la società non procedesse misuratissima nelle spese, e mantenesse
a cagion d'esempio, otto direttori a 12,000 lire l'anno (pare che i buoni
posti non li abbia inventati il nostro secolo), il primo dividendo, quello
del 1669, fu del 50 %, i successivi lo passarono, sinché nel 1675, spirando i
10 anni, il capitale fu rimborsato forse tre volte. Boileau ci chiamò noi
altri italiani i suoi “voisins
frustrès.” II Egli ebbe anche più ragione che non pensasse,
imperocché noi rimanemmo frustrati non solo della supremazia commerciale
esterna, ma in seguito anche dell' interna. Di produttori infatti ci
trasformammo in consumatori, il punto
di Venezia è diventato tanto punto di Francia, che questa
poi, rendendo industria ciò che da noi era arte, inondò ed inonda alla sua
volta l'Italia dei suoi prodotti. Così quella di Colbert fu non solo una
emancipazione, ma una rivincita portata più tardi sino all'invasione ed al
predominio. E qui c'è una distinzione a fare anzi tutto. I
merletti sono di tre specie distinte. C’è quello che può chiamarsi d'arte.
Tutto ad ago, egli è il non plus ultra della specie. E’ un vero basso rilievo
in filo di refe o di seta, lavorato sopra disegni qualche volta di Tiziano e
di Rafaello, e degnissimo di incarnarli. Viene secondo il merletto intrecciato co'
fuselli, un che di mezzo tra l'arte e l'industria, capace di imitare molto
felicemente parecchi tra i disegni del merletto della prima specie in ciò che
riguarda le linee, impotente però a riprodurne i grandi effetti per ciò che
riguarda il rilievo. È di pregio e di prezzo senza confronto minore, ma può
raggiungere ancora un grado notevole di perfezione, ed incarnare concetti
ornamentali vari e vaghissimi, e stare bene a cavallo tra l' arte e
l’industria. Esso costituisce può dirsi una vera industria artistica, due
vocaboli che per buona ventura non si escludono a vicenda, come alcuni pes-
simisti pretendono. Il loro connubio anzi è una necessità economica e morale del
progresso. Segue una terza specie, quella del merletto
meccanico, detto thull
inventato in Francia nel 1818. Appartiene alla industria e nient' altro che
ad essa, non c'è ombra d'arte, ma presenta il sovrano vantaggio del buon
mercato. Il Magalotti, parlando dei fiori i quali spuntano
a milioni nei prati sullo scorcio di maggio, quando cioè non hanno per sé il
pregio assoluto della bellezza, se si paragonino a quelli dei giardini, e
molto meno quello relativo della rarità, li chiama la canaglia dei fiori. —
Allo stesso modo il thull
è la canaglia dei merletti. Nero e cucito sopra un drappo nero o bianco,
sopra un bianco passa, passa anche come stoffa foggiabile a giubba,
casacchino o altro simile, ma come ornamento vero e spiccato, non ha né
sapore nè senso, e, per poco che costi, gli è sempre più di quel che vale.
Breve, non è trina, ma contraffazione ignobile ed impotente di essa. Fina ma
rigida, le sue pieghe mancano di grazia, i suoi disegni di gusto e sopra
tutto di rilievo. I Francesi hanno una parola felicissima per
esprimere il volgare. Essi dicono plate,
piatto. Anche noi altri italiani si dice che non c’è risalto per dire che non
c’è effetto. In fatti mancanza di rilievo è mancanza di movimento e di
sentimento, vera negazione dell' arte. Nel 1818, quando ogni senso d'arte pareva
smarrito nelle moltitudini, quando i mobili intarsiati ed intagliati si
ammonticchiavano comunque nelle soffitte, per far posto a tavoli ed a sedie
stecchite, meschine e spigolose, quando la bella incisione antica pendeva
dalle pareti del tinello, cedendo quelle del salotto buono ai primi sgorbi
litografici, il thull
meccanico era la trina del tempo. Esso doveva fare e fece furore e parve sul
punto di seppellire non solo i merletti ad ago, ma anche i più modesti a
fuselli. Però questa trina da crestaine( donne alla moda, modelle) non poteva
a lungo essere quella delle dame, e la produzione ben presto si rilevava. Ai
merletti ad ago non era per allora il caso di pensare, non perchè non
tornassero di già a piacere come prezioso sfoggio di ricchezza e di gusto ad
un tempo, ma perchè il mercato riboccava degli antichi portati a galla dal
naufragio di tante fortune, e perciò a prezzi incomparabilmente minori di
quelli di fabbricazione. La concorrenza era divenuta impossibile e l'arte
languì sino alla quasi estinzione. La riscossa pertanto contro i merletti a
macchina spettava ai fuselli e non all' all' ago, ed essi per vero la fecero
trionfale e sono adesso padroni del campo. III Il sig. Michelangelo Jesurum nella sua notabile
publicazione intorno all'industria dei merletti, ci fornisce di molti dati
statistici intorno a questa bene avventurata riscossa dei fuselli a mano
contro i telaj meccanici. «In Francia, egli dice, si
creano dappertutto delle fabbriche, scuole per estendere maggiormente, se
fosse possibile, la fabbricazione dei pizzi. Le prime furono
quelle di Alencon, Bayeux, Caen e Dieppe, ed il numero si moltiplica ogni
giorno nei Comuni vicini. Nell’Auvergne sopratutto sì
fanno i più grandi sforzi ed i più grandi sacrifizii. Il Nord della Francia
egualmente si dà premura di fondare delle scuole di pizzi per tutto dove
questa fabbricazione ha delle probabilità di successo; nò credo inutile di
ricordare anco una volta che lo stesso sistema è pur seguito nel Belgio come
in Germania. Mr. Schneider, presidente del
corpo legislativo, desiderando dare un'occupazione profìcua alle mogli ed
alle figlie dei propri operai, nel 1848 fece venire al Creuzot delle
lavoratrici di merletti di Bayeux, che le hanno iniziate nella loro
industria, ed ora si fanno al Creuzot molti e buoni merletti neri. Per dare un' idea di quale
importanza sia l’industria dei merletti in Francia ai nostri giorni, protetta
come fu da Napoleone III, traggo dalla relazione del sig. Felix Aubry,
presidente del Comitato della Classe 33, gruppo 4° dell'Esposizione di Parigi
del 1867, i dati seguenti: s'impiegano in Francia per la
fabbricazione dei merletti, tutte le materie tessili filate specialmente per
questo lavoro. Si calcola a 200.000 il numero delle lavoratrici di merletti
in Francia tra donne e fanciulle, anzi secondo M.me Burry Pallisier
dovrebbero essere 240.000. I pizzi francesi si vendono
sopra tutti i mercati del mondo. Agli Stati Uniti come al Brasile, in Russia
come in Germania, in Inghilterra, in Oriente e nelle Indie. Si valuta a 100
milioni la produzione annua di questa indùstria in Francia ....Si calcolano
un mezzo milione le lavoratrici di merletti in Europa, delle quali circa metà
in Francia ». IV E si noti che in quest'
industria la materia prima rappresenta un decimo al più del valore; che cioè
sopra 100 milioni ne restano in Francia almeno 90. Oggi il lusso ha rialzata
la testa. In questo c’è del male e del bene. Secondo me il male passa di gran
lunga il bene, però il male non c’è se non in quanto se ne invaghiscano
coloro i quali non hanno i denari proporzionati alla vanità. Si può essere ben persuasi che
le teste false, un modo da rovinarsi lo troverebbero ad ogni modo, qualunque fossero
le condizioni artistiche ed industriali del paese, e non è punto un aiutare
la dissipazione Io studiare come rendere artistico il lusso poiché c'è, e non
può non esserci. Tanto il verso di rimettere le nostre donne a filare come al
buon tempo antico, se buono era, né io né altri vediamo. É invece visibile
quello di rilevare l’intelligenza col gusto, e la rispettabilità (fonte
primissima della moralità, e piuttosto causa che effetto di essa]
coll’intelligenza. Né il gusto corrompe né la rozzezza del lavoro purifica.
Penelope tenne a bada i proci ricamando, mentre Onfale sedusse Ercole
filando. Perchè vestito di tela il vizio non si fa virtù, come la virtù non
si fa vizio perchè cinta di gioie e di trine. L'arte è ad un punto ricchezza
e civiltà, e chi intende gli interessi economici ed educativi non deve
respingere alcuna delle sue manifestazioni. Non voglio mica dire che Molière
avesse torto, a canzonare quei cavalieri i quali rendevano schiave le loro
gambe dei loro «Canons à trois etages » ornamento spostato e ridicolo, ma
l'abuso non condanna l’uso, e poi molte cose che fanno ridicolo il cavaliere
rendono invece bella e cara la dama. Aggiungasi che tutto ciò che
rappresenta lavoro, rappresenta impiego utile e morale del tempo per parte di
chi produce, e gusto ed ingentilimento di sensi e di costumi per parte di chi
ragionevol-mente compera ed usa. V Mezzo milione di lavoratrici di
merletti è una cifra assai grossa, e deve dare un prodotto accessibile ad un
gran numero di fortune. Ciò non può a meno di renderne alquanto disdegnose le
altissime, almeno per certi più solenni momenti e ritrovi. E naturalissimo che per questi
si cerchi il perfetto del genere e che così dall' arte industriale risalgasi
all'arte vera e propria. Il merletto meccanico non potè soverchiare il
merletto a fuselli, cioè l’industria brutale non potè sopraffare l'artistica,
più di quello che la galvano-plastica soprafacesse il cesello, o la
fotografia l'incisione. A molto più forte ragione, il merletto a fuselli non
potrà mai sopraffare quello ad ago che è a dirittura un'arte bella. L' ago
della merlettaia è un bulino. In Venezia, dove se del passato è pure rimasto
qualche cosa gli è un po' di senso d' arte, era naturalissimo ché il
risveglio cominciasse artisticamente anzichè industrialmente, cioè dall' ago
piuttosto che dai fuselli. A Burano ed a Venezia infatti
con aiuti governativi, municipali e privati si sono fondate scuole
dell'antico punto ed i profitti lasciano ben poco ancora a desiderare. Non c’è antico modello che oggi le nostre
fanciulle non si sentano di riprodurre. Non solo si crearono delle allieve,
ma si avviarono oramai delle produzioni, e a queste, avviate appena, non
mancarono gli sbocchi. Le illustri promotrici trovarono le illustri
committenti. Non è solo il brutto e il tristo che sieno attaccaticci ma, là
Dio mercè, anche il buono ed il bello. Fossero tante oggi le mani
addestrate ai lavori, quante sarebbero le borse e straniere e nazionali
pronte agli acquisti. Si può credere
senza esagerazione che se tra Venezia e Burano si avessero un cinque o
seicento merlettaie di vecchio stampo proprio addestrate, le non rimarrebbero
oziose. Cinquecento sarebbe già un gran che, ma per dire d' aver fatto del
bene serio, occorre ben altro. L' ago di più non può dare; però può
indirettattente procurare. E qui lancio nel mondo economico una idea, ed
affermo che nell’ interesse di una piazza manifatturiera né l’industria
artistica può prosperare senza l’arte, né questa senza quella. VI Non è soltanto buono, ma
essenziale che un paese abbia tutta la scala di una data specie di
produzioni, non solo la cima. Produrre le qualità medie è
creare artisti capaci di produrre in appresso le superiori e prepararsene, le
commissioni. Suppongasi un momento che in Francia ci si rifaccia il tiro di
Colbert e si riproduca il merlo ad ago, per quale ragione coloro che quivi
provvedono il mer- letto a fuselli, duplicherebbero corrispondenze e
contratti per pro-curarsi a Venezia od a Durano di quel tale merletto ad ago
potendolo avere da un produttore unico e con uno sconto certamente maggiore?
È naturale che quegli che sopperisce a due bisogni del consumatore possa
agevolare in confronto di colui che sopperisce ad un solo. L'avere in un
paese l'esercizio di tutte le gradualità vere di una produzione ( il thull meccanico non va considerato
tra queste per le ragioni dette più sopra) è il migliore tra i modi di
sviluppare la produzione, essendo il miglior mezzo di accentrarne il mercato
e vincerne la concorrenza. La città di Venezia lo capisce
intuitivamente e dice infatti ogni giorno al Salviati, produttore
incomparabile di vetri artistici: « impossessatevi anche del
terreno industriale, occupatevi dei bisogni delle nostre mense quotidiane.
Come il Ginori, sebbene emulatore dei Faentini e degli Urbinati non isdegna
fornire le stoviglie alle nostre mense e alle nostre tolette, così voi dateci
pure artistici, ma non più di quello che l'economia e la concorrenza lo
consentano, le boccie e i bicchieri del nostro pranzo quotidiano ». Il medesimo va detto dei
merletti e ciò per le medesime ragioni commerciali. Non bisogna contentarsi
di circondare di pizzi preziosi la sottana e il corsaletti della gran
signora, ma somministrarle altresì quelli di filo e di lana da orlare le sue
dieci o dodici vesti di tela per le bagnature, e le altrettante di seta per
le tolette dei balli minori. Non è la sola bellezza, ma la varietà altresì
che costituisce lo sfoggio. La più sfarzosa acconciatura alla sua terza o
quarta comparsa è sfatata. Cotesta gran signora che si sarà presentata ad un
ballo anteriore, ornata di pizzi da forse 1000 franchi al metro, si mostrerà
anche più gran signora se la festa dopo, anziché coi medesimi, ricomparirà
con altri sia pure da 40 a 50. D'altra parte nei festini c’è etichetta, e per
così dire gerarchia d' importanza che rende anche logica una gradazione di
lusso. Ora non è punto utile che
codesta gran signora o codesta gran pazza (sarà l'una o l'altra secondo che
le sue spese saranno o no proporzionate alle sue entrate) debba rivolgersi a
produttori diversi, perchè c'è sempre il pericolo che il produttore inferiore
con la contraf- fazione più meno felice e l'attrattiva del buon mercato
faccia il gambetto all' industria superiore. Un’altra ragione ancora della
necessità di possedere tutte le gradazioni e qualità della merce ella è
questa, che per la produzione artistica a grandi prezzi, può sempre arrivare
un periodo di arenamento ed è bene che le operaie abbiano mezzo di sottrarsi
ad uno sciopero in- volontario rivolgendo la propria attività alla industria
inferiore, la quale è naturale che conoscano e sappiano esercitare. Certo uno stipettaio non si
troverà imbarazzato a fare il falegname, né un macchinista a fare il magnano.
Sarà un passo indietro e spiacevole il passare dall'ago ai fuselli, ma meno
spiacevole ancora che passare dal guadagno all' indigenza e alla fame. D'altra parte il lavoro ad ago
è un terribile sciupio d'occhi. Una metà, forse due terzi delle operaie a 30
anni dovrebbero smettere. Ebbene, se c'è un'industria inferiore che le
accolga, le cose vanno; se questa non c’è, ecco delle famiglie forse, e senza
forse, rovinate. L' industria de' fuselli è una scala tanto per salire alla
su-periore dell' ago come per scendere da essa. È un primo vivaio e un ultimo
ricetto. VII Torniamo alle cifre. E’detto più sopra, e non senza
appunto di ottimismo, che tanto per un cinquecento merlettaie d'ago
commissioni ce ne sarebbero. Ma tra
Venezia e Burano, a voler rilevare l'economia, l’igiene e la moralità (per
non parlare poi del commercio) bisognerebbe impiegarne almeno due o tre
migliaia. Ebbene, non c‘è che un mezzo, quello di risuscitare l’industria
tradizionale dei merletti in ambedue i suoi rami, perchè quello cadetto de'
fuselli non è tradizionale meno del suo primogenito ad ago, tanto è vero che
vive ancora, di una vita meschina invero ed anche indecorosa per la natura
infelicissima degli attuali prodotti, ma pur vive. Il signor Jesurum che se ne
intende assai, perchè a questa materia c’è in mezzo dacché è nato, e se ne
intende non solo come commerciante, ma anche come produttore, afferma, e
ragionandoci un po' sopra non è difficile a persuadersene, che tutte quelle
centinaia di povere donne le quali lavorano ora alla peggio, spendendo un po'
più di tempo, mettendo un po' più d'attenzione, impiegando materia di
perfetta qualità, e seguendo disegni di buon gusto, darebbero quasi
immediatamente prodotti perfetti e tali da sostenere e vincere alla seconda
prova, se non immediatamente alla prima, qualunque concorrenza straniera. Nel valore del merletto a
fuselli la materia c’è per uno e la lavorazione per un grosso multiplo. Non
c'è bisogno d'appoggiarsi all'autorità di nessuno su ciò; basta pigliare
alcuni metri di merletto di seta e gettarli in bilancia. Si troverà che il
valore del merletto rappresenterà da 15 a 20 volte quello di un peso eguale
di seta filata. Il decuplo può essere il costo, il di più, che in parecchie
circostanze rappresenta altrettanto, è guadagno del capitalista, del
produttore e dello spacciatore. Industria più rimoneratrice non è facile
imagìnare non che trovare. Del mezzo milione di
lavoratrici di merletti in Europa non è dir molto affermando che il
ventesimo, cioè venticinquemila, lavorano per le signore italiane. Quando noi avremo dato lavoro
ad un tre, anzi quattromila donne, tra Venezia, Pelestrina e Burano, e avremo
portato sul mercato tutto il prodotto delle loro mani, avremo supplito appena
al sesto della produzione che l'Italia introduce dalla Francia! Il migliaio
che ancora avanza rappresenta il poco che pur si produce anziché introdurre
oggi in Italia. In questo conto c’è piuttosto
da vantaggiare che da scapitare, perocché gettando sul mercato e a prezzi
migliori tutto questo prodotto italiano perfezionato, non c’è un dubbio al
mondo che si verificherà esportazione all'estero, essendo certo che, per un
lungo tratto di tempo ancora, le merce di italiane restino al disotto delle
francesi. Né io dubito tampoco (nemmeno)
che ci riesca di passare i francesi, se non nella leggiadria almeno nella
correttezza dei disegni, e nel sentimento dell’ arte antica che questa specie
di lavorazione é pur sempre obbligata a richiamare, se non precisamente a
riprodurre. Non é questo sentimento della linea antica che ci mantiene il
primato e ci rese da qualche tempo i fornitori dei due mondi per la mobiglia
di fogge medioevali e cinquecentistiche? Non è il sentimento dell' arte
antica che comincia a farsi largo su tutti i mercati alle nostre maioliche e
ai nostri bronzi? Non vi è infatti difficile merletto antico ad ago
che qualcheduna delle nostre brave fanciulle non si senta oramai di
riprodurre dopo qualche giorno di prova. É il caso ora di dare altrettanta
opera non già alla scuola dei merletti a fuselli, che non ve ne ha bisogno
essendo avviata la cosa, ma all'attuazione in grande di tale industria per
mettersi in grado di sostituire alla importazione straniera il lavoro
nazionale. Quando ciò si faccia, ogni casa di Burano e di Pelestrina, e
moltissime di Venezia diventano scuola e officina. Non si tratta di fondare
l’industria ma di moltiplicarla, dando vigore alla produzione, sicurezza alla
commissione, ampiezza allo spaccio. VIII L' idea propugnata dal sig.
Jesurum non é meno felice e promettente dal lato morale che da quello
economico. Le parole con cui egli chiude la sua proposta meritano di essere
riprodotte e meditate. “Sotto il punto di vista
storico ed economico, ho impiegato certamente poca fatica per persuadere i
miei lettori sull’importanza dell’industria dei merletti, come fonte di
ricchezza nazionale. Ora però è anche
dal lato morale che sento il dovere di brevemente discorrrere. I merletti
nacquero ed ebbero culla principale sulle spiagge del mare, come la Grecia,
Venezia, Genova, la Spagna, l'Inghilterra, Malta etc, ma non è difficile
spiegarsi perchè le nazioni marittime si siano dedicate specialmente a questa
industria. Le lavoranti sono per la maggior parte le donne, e le figlie dei
pescatori e dei marinai. Il lavoro dei merletti dà loro il mezzo di sostenere
la famiglia nelle lunghe e pericolose assenze dei loro mariti. Esse non potrebbero esercitare
che quelle industrie le quali, come questa, si fanno a domicilio. Esse non
potrebbero abbandonare le loro case ed i loro figli; per cui questa industria
ha l' immenso vantaggio di non separare mai l'operaia dalla sua famiglia.
Anche nelle campagne le cure della casa e dei campi sono alternate dall’opera
dei fuselli e dell' ago: facendo notare questo M. Burry Palliser dice: « che
per tutto si cerca di propagare un' industria femminile che può esercitarsi
in condizioni cosi favorevoli. » E dal lato della publica
moralità chi non vede la grande differenza tra questa industria, che si
esercita a domicilio, in confronto di quelle che riuniscono le donne in una
fabbrica? Come potrebbesi chiamare un’officina, dove si riunisce qualche
centinaio di donne? Io non so dirlo. Faccio però notare come sia un
fatto, che la corruzione che esercitano tra esse molte donne riunite, non
regge al paragone di quella dove non vi sono che uomini. Nell’ industria dei merletti,
non vediamo le madri abbandonare i loro lattanti; non vediamo vispe, o troppo
vispe, ragazze camminare forse un miglio o due per arrivare alle loro
fabbriche, e ritornarsene poi di notte o sole o con delle compagne (locchè
spesso è peggio) per le vie popolate di una grande città! . . Le ragazze che
esercitano questa industria, non si staccano mai dagli occhi materni, che
sono i più sicuri custodi del loro pudore; abituandosi a questo lavoro,
acquistano una pacatezza di carattere ed una sobrietà di costumi, da far dire
all'autore molte volte citato; che dove si fabbricano merletti esiste in alto
grado la publica moralità. Relativamente al benessere
delle classi operaie, questa industria presenta un altro immenso vantaggio,
cioè quello di dare occupazione alle sole donne, permettendo alla madre di
famiglia di contribuire per la sua parte alle spese di casa, mentre tante
altre industrie non richieggono che le braccia del marito, che allora deve
provvedere da solo al mantenimento della moglie e dei figli. Gli è già da un pezzo che il
Comune di Venezia ebbe la idea lodevolissima di avviare dei serii studi sulle
piccole industrie, le quali giudicò importantissimo di incoraggiare sempre,
ma più che mai nel periodo di transizione, utile forse ma ad ogni modo
difficile, dal privilegio del porto franco ai vincoli della legge comune. Trovare oggi un'industria ricca
di tradizioni, e quindi ragioni artistiche e storiche, la quale non abbia
bisogno di motori di cui manchiamo, né di grandi capitali di cui non
abbondiamo, è proprio, come suol dirsi, la man di Dio. Impiegare in pochi
mesi, forse settimane, qualcle migliaio di donne, sostituirsi ad una
importazione, creare una esportazione od almeno prepararla, è il sogno santo
della filantropia che per singolare favore della sorte può tradursi
prontamente nel calcolo della speculazione, e passare vivo vivo dalla tribuna
dell' oratore accademico all' officina del produttore e al banco del
commerciante. A qualche signora veneziana e a
qualche straniera ( dico qualche per dir pochissime dacché le più, è meglio
essere sinceri che galanti, non si son date gran che per intese dei replicati
appelli della stampa) a qualche signora veneziana, dico, e a qualche illustre
straniera, é già sembrato un gran fatto il cooperare alla fondazione di una
scuola che è ora officina e preparare pane, dignità, moralità e lavoro a
ventiquattro fanciulle. Ora se Venezia intende e la proposta e il momento, ne
lavoreranno 400 tra un mese forse, e 4000 tra un anno. Ove non se ne facesse nulla,
non solo non lavorerebbero né le 4000 né le 400 ma la finirebbero presto
anche le ventiquattro. Un metro di merletto di Burano,
perfetto così che nessuna antica l'ha mai superato, un metro, dico, alto
circa dodici centimetri, domanda, sentite un po' che lavoro : 1. Tre mesi per la rete; 2.Uno pei fiori; 3.Uno e più per l’orlatura
ornata. Cinque mesi! Aggiungete refe, locale,
riscaldamento, lumi. Un metro, pagando a 30 cent. il. giorno 1 operaia, viene
a quasi 80 lire. So che c'è tre periodi nella
carriera artistica, il primo quello del fare lento e male, il secondo del
lento e bene, e il terzo del presto e bene e so che le nostre fanciulle di
Burano non sono che al secondo periodo. Fanno bene ma lento. Mettiamo, ed è metter troppo,
che raddoppino e facciano un metro su 2 mesi e mezzo, ma dovranno progredir
loro e lo stipendio no? il rad- doppiamento di capacità non porterà quello
delle loro giuste esigenze? In tal caso sarà raddoppiata la produzione ma
identico rimane il prezzo. Saremo sempre sul torno degli 80 e forse 100
franchi. Se le cose stanno così avremo
l'arte senza facilitazioni industriali, senza mezzi commerciali e quindi
senza ragione economica. Diamo sviluppo a' fuselli,
circondiamo di 4000 operaie un centinaio due tre di vere artiste e la grande,
la irruente produzione del lavoro comune occasionerà la ricerca del lavoro
eccezionale, del capo- lavoro. Il consumatore che può salire non rimane mai a
mezza la scala, ma l'esistenza della scala è la prima e più efficace delle
tentazionì a salire. Non può essere che un artista, un filantropo od un
originale il quale senta il bisogno di arrampicarsi lassù dove né la moda lo
inviti, né l' interesse lo chiami. Volere o non volere l'esistenza isolata
della sola produzione superiore é un fatto che manca di ragione economica;
mentre quella della sola produzione inferiore è possibilissimo e si incontra
di frequente e prospera. Si capisce che di una piramide
esista la sola base, ma non la sola punta. La moda d'altra parte, non è
che voga e la voga non è creata che nei grandi centri di produzione. Bisogna dunque sviluppare
l'industria anche per salvare l’arte. Non c'è nessua industria capace di alimentare
decine di persone, che costi meno di questa, buona per migliaia. Per l'arte in discorso poi non
si tratta d’una conquista, ma di una rivendicazione. Madama Gilbert è stata una
preziosa alleata del Golbert; quale fortuna per Venezia se le nostre signore
fossero un poco invidiose! Dopo la memoria del Fambri,
nessuno prendendo la parola, il Presidente ringraziò l'oratore di avere
scello l'Ateneo per propugnare una causa sì giusta e che può tornare
vantaggiosissima al nostro paese, e, sciolta l'adunanza publica, l'Ateneo si
raccolse in seduta privata, nella quale fu stabilito di riconvocare la Giunta
nominata per la questione del duello sostituendo nuovi membri a quelli che
hanno rinunciato di formarvi parte, e si incaricò la Presidenza di scrivere alla Associazione di
Publica Utilità por farle noto che, in conformità alle deliberazioni prese in
altra occasione, è trascorso il termine da essa richiesto per la relazione
sulla questione della rappresentanza proporzionale. Il Presidente G. M. Malvezzi Il Segretario per le scienze A. MlKELLI Nel
dicembre del 1873 “La Gazzetta di Venezia” pubblicò un lungo articolo
sull’avvenimento. Alla conferenza erano presenti anche molte signore.
L’articolo riassunse l’esposizione di Paolo Fambri concludendo così: “Dopo la
lettura che fu con vivi applausi, l’autore chiese la parola e disse che
desiderava che l’Ateneo si pronunziasse sulla questione economica, non che
iniziare una operazione industriale. Espresse il desiderio che questa però
sorgesse, svolse altre ragioni sulla sua opportunità e dichiarò che come egli
aveva in sì nobile aula speso del fiato, per consigliarla così all’uopo
sarebbe il primo a mettere le mani in tasca per aggiungere agli intenti
morali il concorso materiale. L’oratore è pronto di voce e di mano, se gli
altri lo imiteranno colla stessa benevolenza con cui lo ascoltarono, le
parole non tarderanno a divenire fatti compiuti. |
A Paulo Fambri, in risposta alla sua Memoria, intorno ai
merletti di Burano. CARO FAMBRI, Se voi foste meno formidabile ed io non temessi l' accusa
di presunzione, come la povera mosca d' Esopo, vorrei bene rispondervi
qualcosa di serio intorno ai merletti di Burano, e aiutarvi efficacemente in
sì pietoso acquisto. Dio sa, preso l' aire del vostro bello, importante
discorso, che, stampato, niente perdette della sua grazia, Dio sa quante gran
cose mi sarebbero uscite dalla penna, posto che il desiderio che tutto
diventi paesano è in me quasi manìa: ora a chi non è noto che le manìe
trascinano, fin anco all' impertinenza, più in là di quello che si vorrebbe? Imitando adunque la vostra delicata riserva, nel toccare
di certe cattive volontà, io non voglio dirvi altro se non che ispirazione
opportunissima fu la vostra d' occuparvi delle operaie di Burano, e rialzare
un' industria disusata, ma non morta. E a chi notasse che a voi non istà punto insegnare a
lavorar di merletti, rispondete franco; «Il primo fabbricatore di merletti fu
il mare, il padre Oceano, prima vita del mondo. Fu lui che, nel deporre gioioso alla riva l' immenso
volume della sua vesta, color del cielo o dello smeraldo, nei dì più sereni,
la volle ornata d' un' orlatura sua propria; e non v' è mano d' Aracne o
pennello d' artista che, con tanta maestria, conduca i sottili arabeschi o i
guizzi a rilievo, segnati sulle sabbie, nel momentaneo impeto, del divino
artefice. Gli è così ch' io spiego l' origine marinara dei merletti,
e se la mi paia bella di poesia primitiva, io non lo vo' riferire. Un piccolo
trattato di estetica è talvolta in una semplice osservazione. Pel resto, affermando in tutto e per tutto quanto leggo
nella vostra Memoria, mi piace anco aggiungervi due parole, nella fiducia
che, dicono i Toscani, la derrata faccia passare la giunta. Vero, verissimo esservi più da perdere che da guadagnare
nelle riprese del lusso; ma che tanto e tanto alle veglie l' alta vita ci
andrebbe lo stesso; e se non la vi trascinasse per terra, colla modestia e
colla economia, i nostri merletti, vi trascinerebbe il Chantilly, o il d' A
lençon, o che so altro! Certo a sopprimere i ninnoli di lusso e i gingilli
inutili, e' non si ridurrebbe un' anima a salvamento, in onta a tutte le
leggi oppie del mondo, come voi arguto notaste. Se un corpo d' uomo o di donna nel crescere si sforma e
degenera, o cosa importa rimettergli l' abitino da bimbo? Il sanguinoso
idilio dei legislatori terroristi francesi, che tagliavano braccia e gambe
alla società per tornarla al buon tempo antico, risponda. Occorre che la società si corregga da sè, e pregar Dio
che, a meglio spicciarsi, la non ricorra a certi mezzi di foco.... I merletti sono adunque innocentissimi nella deplorata
corruzione delle alte caste, e c' è da scommettere ch' essi, umili di loro
natura, preferiscano figurare sulle vesticciole dei ragazzetti, al venir
pesti o malmenati dai piedi furiosi di ballerini mal pratici. Preferiscano
stare bellamente acconci in solenne parata sulle lenzuola delle nuore venete
o italiche in felice puerperio. Preferiscano anche adornare l' ara domestica e assaporare,
in benedetta calma, l' incenso dei fiori, e l' armonia dei bei canti soavi
alla Vergine-Madre, fra la schietta allegria di cori ingenui. Nè l' idea della preghiera esclude quella virile o guerresca;
ogni mattina, a pie' della statua di Giovanna d' Arco, trovano i Parigini
mazzi di fiori e corone, conserte in un potente voto di devozione e di
patriottismo, per invocare dalla sublime pastora conforto a redimersi. E sia dunque pur tutto nostro dalle officine operaie alla
teletta! Rileviamo in ogni modo questo povero paese, che tuttavia servo sotto
certi riguardi, ama e vezzeggia la propria livrea. Qui c' è operaie veliere, qui c' è perlere, come in
nessuna altra città, tabacchine come altrove, pittrici, maestre; oh cosa
manca per aggiungere quanto ci occorre, valendoci dei mezzi, che si
possedono, o, a dir meglio di ricchezze, che, inoperose diventano un onere di
più? ... Vada dunque pei fuselli e coraggio! Chi insegna a questo
povero popolo vestirsi del suo, fa opera meritoria, perchè gli dà non solo il
pane, che voi dite santo, ma gli dà il rispetto di sè stesso; una cosa che,
per conto mio, contende quell' epiteto al pane; dacchè non ci sia al mondo,
per gl' individui come per le nazioni, forza maggiore del carattere. Codemo Luigia, Venezia, marzo 1874 |
Arturo Santini poco dopo la morte di Paulo Fambri raccolse
come ultimo attestato di affetto, le
orazioni pronunziate sulla bara di Lui nel giorno del funerale, l’otto aprile 1897. “In memoria di Paulo Fambri “, Venezia 1897 https://www.google.it/books/edition/In_memoria_di_Paulo_Fambri/6jU-AAAAYAAJ?hl=it&gbpv=1&dq= |
Notizie sui giornali Il Giornale di Udine del 1886 riportò questa
notizia:
“L’on. Grimaldi ha accordato a Paulo Fambri il grande diploma e la medaglia
al merito industriale, per l’incremento da lui dato all’industria veneziana
de’ merletti e delle trine”. |
Curiosità A Burano c’è una via a lui intitolata. |
Sitografia https://archive.org/details/GV1873-12/page/n51/mode/2up |
I testi sono dell’autrice del
sito frutto di una accurata e laboriosa ricerca. E’ vietata qualsiasi forma di riproduzione,
anche parziale, di questa e di tutte le pagine del sito.