Un po’ di storia

A Bari si trova un documento storico il quale attesta che l’arte di fare i pizzilli in questo paese, risale all’anno 1583. Il Conte svizzero, Carlo Ulisse De Salis Marschlins nel suo libro “Nel regno di Napoli: Viaggi attraverso le province nel 1789”, racconta che nella città di Lecce c’era solo una cosa di grande rilevanza: la manifattura di pezzieddu (merletto), che era di raffinata e ricercata esecuzione.§

1853 Mostra Industriale, Napoli

Nel maggio del 1853 si svolse a Napoli la mostra dei prodotti dell’industria del regno di Napoli, all’epoca la Puglia faceva parte del regno e portò in esposizione tra le sue eccellenze anche il merletto. Vi partecipò l’orfanatrofio di S. Filomena di Lecce.

La contessa Cora di Brazza sul suo libro “Antiche trine” (1908), scriveva che il “punto pugliese” assomigliava nella foggia ai ricami russi e rumeni.

 

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Merlettaie di Casarano anni’ 50 (foto Carmen Panico)

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Merlettaia di Squinzano (Lecce)

Nel ‘700, il costume popolare femminile di Palagiano Cutrofiano e Scorrano aveva un candido fazzoletto che copriva spalle e seno ed era incorniciato da “pizzilli”. Nello stesso periodo le popolane d’Otranto portavano costumi ornati di merletto realizzato in oro, argento e seta nera.

I paesi dove si continua la tradizione del merletto sono Bari, Brindisi, Lecce, Madano, Montesano, Lequile, Maglie famosa per il suo merletto ad ago, Alberobello, Capurso, Galatina e Ruffano per il chiaccherino.

Bisceglie (Bari)

Scuola di ricamo e tombolo a Bisceglie, foto del passato di Tommaso Fontana^

"Bisceglie Host & Communications", dopo aver portato in Giappone la tecnica del tombolo, nell'ambito della "Primavera Italiana a Tokyo",  ha promosso nel 2007 un corso per l'apprendimento delle tecniche basilari dell'arte del Ricamo a Tombolo. Hanno risposto all'appello della signora Maria Carmela Todisco ben cinque allieve che, con caparbietà e non comune passione, si sono avventurate sulle ostiche curve, trine e trame che farebbero perdere la pazienza ad un santo.
Grazie alla sinergia con la Sezione di Bisceglie dell'Archeoclub d'Italia
, ed alla sensibilità del suo presidente, Luigi Palmiotti, insegnante e corsiste sono state ospitate negli spazi della Torre Normanna, meglio nota come "Torre Maestra" per due sere a settimana di lezioni che, a loro dire, "volano via in un soffio".(eventiesagre.it 14-12-2007)

Per i week-end di aprile 2008 il Conbitur (Consorzio Bisceglie Turistica) ed il Comune di Bisceglie hanno presentato » Un sospiro tra tombolo e strascenate».
Il sospiro, dolce tipico di Bisceglie, è stato il protagonista della visita ad un laboratorio dei maestri pasticceri, il tombolo è invece l’antica tecnica di ricamo che sta conoscendo una nuova fase di sviluppo. Gli attrezzi, i tessuti, le trame, le trine dell’arte del tombolo sono state illustrate in un incontro al Museo Diocesano. Infine gli strascenate, la pasta fatta a mano.(
newsfood.com 27-03-08)

A Bisceglie, dal 27 dicembre 2008 al 6 gennaio 2009, nell'ex Sepolcreto del Monastero di Santa Croce sono stati messi in mostra i più pregevoli manufatti della Scuola di Merletto a Tombolo di Tonia Resina di Noicattaro, di Francesca Copes di Gravina in Puglia, di Vincenza Cantatore di Ruvo di Puglia, di Angela Di Pierro di Trani, di Serafina Morelli di Barletta e dell'ormai consolidata scuola di Tombolo di Bisceglie curata da Maria Carmela Todisco. Esaltare e valorizzare il buon gusto, la manualità, la perfezione delle forme dei manufatti e delle opere, l'estro e l'eleganza innata della Donna del Sud; il pregio di trame complicate e preziose che superano una consolidata ordinarietà e fanno ancora brillare gli occhi alle giovani e rievocano gli anni migliori alle meno giovani. Frutto di un'instancabile ricerca, svolta nei principali centri della Provincia di Bari, l'opera di riscoperta dei talenti artistici, avviata dal 2007 dall'Associazione di Promozione Culturale "Bisceglie Host & Communications", ha consentito di presentare al pubblico le rappresentanti più significative del Merletto di Tombolo Artigianale del nostro territorio. Solo l'esiguità degli spazi espositivi ha impedito in questa edizione di allargare la manifestazione ad altre scuole di Puglia e delle regioni dell'Italia Meridionale. Non si tratta di una "gara", ma di un'esposizione tesa ad esaltare le produzioni di punta, per qualità e raffinatezza, di una forma di artigianato a torto ritenuta "minore" e destinata all'oblìo, ma che in realtà vede ancora moltissime donne impegnate nel riaffermare le salde radici culturali delle nostre terre. Con "FemInArt" si intende offrire a loro un'occasione unica per coinvolgere un pubblico più vasto, composto non solo di intenditrici, ma di tutte le amanti del "buon gusto" che non riescono a trovare un punto di incontro e di confronto nell'Italia Meridionale.( tratto da un articolo di Salvatore Valentino)

Francavilla (Brindisi)

 

Logo del Comune di Francavilla Fontana realizzato da Ada

 Bari

 A Noicottaro c’è la Scuola di Merletto a Tombolo di Tonia Resina.

A Conversano, l'amministrazione Comunale, ha istituito il Centro Comunale "Donna & Lavoro", il quale propone laboratori di idee e progetti rivolti alle donne.Tra questi laboratori c'è anche" il merletto a tombolo".

A Ruvo di Puglia l’Associazione “Methis”, organizza corsi di varie tecniche di merletto tra cui il tombolo, il modano, il rinascimento

A Gravina Francesca Copes, appassionata e collezionista del merletto, ha una sua scuola “Il Merletto”,

Lecce

Nel 1827 Gabriele Quattromani scriveva nel suo “Itinerario delle due Sicilie: “I merletti di Lecce hanno una riputazione. Mancasi generalmente di macchine e di stromenti per tali fabbriche.”

A Cursi  l’Associazione "Il Tombolo nella Grecìa Salentina è capitanata dalla presidente Rosa Alba Mariano che si dedica con grande passione all’insegnamento a donne e ragazze di tutte le età e alle bambine di scuole elementari e medie.

Sciarpa in lavorazione con svariati tipi di filati, esecuzione Rosa Alba su disegno di Gianfranca Tolloi, fuselli torniti da Francesco.

A Ruffano “Non solo Fili” porta avanti l’antica tradizione con la Presidente Marilena Sparasci.

Lungo le viuzze di Melendugno si possono vedere all'uscio di casa, le donne che lavorano delicati merletti per impreziosire i corredi.

Un tempo a Caprarica le spose portavano in dote un corredo riccamente fornito di merletti a tombolo e ricami. Il corredo veniva esposto una settimana prima del matrimonio in una stanza in bella mostra, la madre della sposa invitava parenti e amici a vederlo.

Felline è una piccola frazione di 1600 abitanti. Nell’anno 2006 la Pro Loco ha organizzato un corso di filet e tombolo, al quale ha partecipato un nutrito gruppo di signore. Nel marzo del 2007, presso il Castello Medievale di Felline, si è svolta una mostra che ha mostrato al pubblico le opere realizzate in questo corso. Il corso è guidato dalla maestra Liliana De Lorenzis.

Moltissimi anni fa anche a Specchia si lavorava il merletto a fuselli, attualmente all’Università della Terza Età si svolgono dei corsi per apprendere l’arte del tombolo. Il 4 Aprile 2004 in questa città si è ospitata la trasmissione “La domenica del villaggio” dove si sono viste le signore leccesi cimentarsi nell’antica lavorazione.

Carolina De Viti De Marco

 

Carolina De Viti De Marco era  nata a Casamassella nel palazzo nobiliare che il padre Raffaele De Viti De Marco aveva ereditato dalla marchesa Costanza Maria De Marco. Dal padre aveva ereditato l’amore per la terra e dalla madre Lucia Troysi le veniva la “viva sensibilità per i problemi ed i bisogni del suo tempo e l’interesse non superficiale per le angustie del popolo” Nel 1901 aveva fondato, d’accordo con la cognata Etta, la “Scuola di Casamassella”, dove insegnava le tecniche del merletto secondo “i punti antichi” che lei stessa ricercava nei musei e nelle collezioni private e che studiava per poi trasmetterli alle allieve. La scuola aprì anche a Maglie una succursale e, secondo la ricostruzione di Emilio Panarese (1995), funzionò per alcuni anni come sezione femminile della Scuola d’arte applicata.

 

Federe a punto antico, laboratorio di Casamassella, 1906

 

Mestieri del primo Novecento ”La Ricamatrice, testimonianze raccolte dalla Scuola elementare "Antonio Corciulo" di Salve

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L’arte del ricamo è antichissima e  nel nostro paese è stata praticata da molte donne, che , da questo impegnativo lavoro, potevano ricavare da vivere dignitosamente. Le  loro case erano affollate da moltissime  discipule‘, che dovevano imparare i segreti del ricamo, del tombolo, dell’uncinetto o  di altri  sistemi di ‘disegnare  con il filo’.

Il paziente lavoro del ricamo o del tombolo tende ad una armonia, mai raggiunta, fatta da corrispondenze di disegni e forme, sulle quali la mano esperta della maestra porta l’ago a tesserne  la trama.

Essa è  un  insieme di segni, che formano un elaborato geometrico, esistente  già nella mente  della maestra- disegnatrice  e  che, giorno dopo giorno, prende corpo o in una stupenda coperta all’uncinetto o in un fine ricamo di tovaglia.

 “Il Pizzo Barese” di Giovanna Campisi

Copertina del libro,1914 (per gentile concessione di Bianca Rosa Bellomo)

Sono venuta a conoscenza di questo tipo di merletto da questo libro, che illustra bene con foto molto chiare, la particolare lavorazione all’uncinetto di questo pizzo che assomiglia molto al merletto a fuselli sia nella foggia che nel disegno. Questo libro è una rarità, apparteneva ad Elisa Ricci e fa parte del suo fondo di libri conservato nella Biblioteca di Torino. 

Allo scrittore armeno Hrand Nazariantz si deve l’impegno a sostegno della causa armena e anche la fondazione nel 1924, nell'agro barese, del villaggio per esuli Nor Arax (Nuova Armenia), che si sostenne con la produzione di tappeti e merletti”.(tratto da wikipedia.it)

 

Bianca Rosa Bellomo mi ha inviato ulteriori notizie sul pizzo barese

Nel 2006 hanno parlato dell'abate Piscicelli e del pizzo barese che si e' ispirato ai suoi disegni che venivano dai codici di Montecassino. Sono uscite due pubblicazioni in una rivista dei frati di Bari:

gli estremi:

 

Il Gran Priore Piscicelli e il pizzo barese / Giuseppe Ciccodecorato*

Nicolaus / Studi storici, 16.2006 No. 32, p. 153-159

Il pizzo barese / Giovanna Campisi*

Nicolaus / Studi storici, 16.2006 No. 32, p. 217-240

 *http://www.biblhertz.it/cgi-bin/gucha_de.pl?t_liste=x&v_0=IDA&q_0=gzz1124253%3D

Le testimonianze scritte e orali, trasmesse a noi posteri, ci raccontano storie affascinanti, anche la poetessa, scrittrice, critico d'arte e giornalista Anna Sciacovelli ne ha una da raccontare.

“Tra il 1200 e il 1700 nell’antica città di Bari, oggi denominata Bari Vecchia, vi erano tante piccole botteghe, dov’era facile trovare donne anziane e giovani ragazze, intende ai lavori manuali. Ricami d’ago, retinato, merletti a uncinetto, lavori a fuselli, ricamo in oro e argento, su giacche e corpetti, corti, lunghi, attillati oppure svasati chiamata anche Redingote. Tra le tante attività manuali, in special modo emergevano manufatti: tessitura, ricamo in oro, sfilato siciliano, smerli, trine e lavori d’ago su telai e quant’altro per abbellire la casa e ornare gli abiti. Certo un lavoro, che si svolgeva spesso nel perimetro limitato di una stanza della casa paterna, o in un soggiorno maritale dopo tra bimbi e bambinaie atte a seguire i piccoli. Era pratica comune, mandare le proprie figlie a scuola presso le Suore, dove era facile rubare il mestiere di ricamatrice e dove l’ingegnosità delle suore più anziane emergevano, donando alle ragazze più brave, la possibilità di lavorare in proprio nelle loro case, senza essere costrette a lavorare in campagna o presso famiglie benestanti, come donne di servizio, sguattere o come fantesche. Ida liberazione dai lavori pesanti, rendeva la donna libera di creare abiti e ricami particolari inventando intagli tra tessuto e tessuto, sovrapponendo lembi su lembi, dando così spessore all’abito. Non a caso tra i prodotti più rinomati, dell’antico artigianato locale, erano il pizzo barese e quello armeno, che ritroviamo citati in un antico documento o per meglio dire in un atto del 22 gennaio del 1385. Nella descrizione menzionata in lingua latina, ne fa testo il documento è descritto un corpetto, un corsetto attillato, di panno di oro filato, con maniche scarlatte e rifinite con pizzo di Bari. In un altro documento datato 17 febbraio 1397, cita il riferimento al pizzo di Bari con bottoni in argento, posti in dette maniche e rifinite con pizzo di Bari. Molti sono gli esempi che se ne potrebbero addurre e ancora tanti se passiamo in rassegna, spulciando nei capitoli matrimoniali rogati dai diversi notai di quel tempo. In un istrumento notarile, del 4 dicembre del 1663, rogato dal notaio Stefano Rinaldi di Bari, è descritto in modo approfondito e serve a farci capire meglio, un metodo lavorativo dell’epoca. Si parla di un certo Antonio Marcostenti, capitano di un vascello appartenente al chierico Nicola Tresca, il quale accompagnò da D. Nicola Gallitto, cancelliere della Curia Arcivescovile una figliola di circa nove anni di nome chiamata Elisabetta, che dice di essere nata in Serigo fortezza di levante perché detto cancelliere si occupasse di mandarla alla maestra e farle apprendere ogni buona arte manuale, quale di fare pizzilli et lavori di ricamo. Possiamo dire a gran voce, che nella Città di Bari, vi era un fiorente artigianato manuale e che attraverso le antiche scuole di pizzo ha tracciato un solco prezioso. La succitata tradizione riconosce e assurse a considerevoli livelli all’inizio del Novecento, quando un gruppo di dame del Patronato, San Nicola di Mira, fondò una scuola di pizzo sostenuta dall’entusiasmo del Gran Priore Deriso Piscitelli Taeggi che essendo stato in precedenza, cultore appassionato di paleografia artistica presso l’abbazia di Montecassino, si era impegnato nel creare modelli tratti dalle miniature dei codici liturgici longobardi. Quel filo particolare, che era impiegato nel lavorare il merletto lavorato a uncinetto, a fuselli o con il semplice ago da cucire. Pizzi e merletti, che ornavano capi di vestiario e biancheria da letto, tende e tovagliato, quel merletto lavorato a uncinetto a fuselli o con semplice ago, dalle giovani donne, dalle mani veloci e instancabili, come perfette macchine da ricamo, hanno lasciato un segno indelebile nella nostra Città. Il famoso “Pizzo di Bari”

 

Onore alle maestre d’altri tempi

Sardella Lucia

Sardella Lucia viene citata nell’Annuario del Ministero dell'Educazione nazionale del 1930 come maestra di laboratorio per trine e merletto presso la “Regia Scuola Professionale Femminile”, P.zza Castello, 5 Taranto. In quell’anno c’erano 180 alunne che frequentavano la scuola.

 

Napoli Costanza e De Stradis Teresa

Napoli Costanza e De Stradis Teresa, lavoranti di trine nell’Orfanotrofio delle Suore della Carità di Lecce, premiate con medaglia all’ All’Esposizione Italiana agraria, industriale e artistica tenuta in Firenze nel 1861.

 

Scuole ed Associazioni

·        l’Associazione "Il Tombolo nella Grecìa Salentina” (Lecce)

Presidente RosaAlba Mariano

https://es-la.facebook.com/groups/300780393453649/

·        Associazione “Non solo Fili”

73040 Torrepaduli Ruffano ( Lecce )

Presidente, Marilena Sparasci

·        "Centro Donna e lavoro"

P.sso Monastero S.Chiara

Via Porta Antica della Città 70014 Conversano (Bari)

 Telefono : 080/4959149 - 080/4951027

 http://www.conversano.it/cdonna/

·        Circolo "La merlettaia"

 Via Arpi, 79 71100  Foggia

·        "UNITRE"

 Via Diego Martinelli Rutigliano  (Bari)

·        Associazione Methis

Via Schiavi 32 70037 - Ruvo di Puglia (BA)

ass_Methis@libero.it

 

Mostre e Musei

Museo del merletto

Presso abitazione di Francesca Copes, Via Genova 95

 

Ringraziamenti

Si ringraziano  per la collaborazione : Rosa Alba, Francesco, Eugenio Memmi, Isceri Salvatore, Bianca Rosa Bellomo, Tommaso Fontana

*Da “Antiche trine” di Elisa Ricci

§Elenco di saggi de' prodotti della industria napolitana presentati nella solenne mostra del dì 30 maggio 1853

^ http://www.centrostudibiscegliese.it

 

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Tra il 1200 e il 1700 nell’antica città di Bari, oggi denominata Bari Vecchia, vi erano tante piccole botteghe, dov’era facile trovare donne anziane e giovani ragazze, intende ai lavori manuali. Ricami d’ago, retinato, merletti a uncinetto, lavori a fuselli, ricamo in oro e argento, su giacche e corpetti, corti, lunghi, attillati oppure svasati chiamata anche Redingote. Tra le tante attività manuali, in special modo emergevano manufatti: tessitura, ricamo in oro, sfilato siciliano, smerli, trine e lavori d’ago su telai e quant’altro per abbellire la casa e ornare gli abiti. Certo un lavoro, che si svolgeva spesso nel perimetro limitato di una stanza della casa paterna, o in un soggiorno maritale dopo tra bimbi e bambinaie atte a seguire i piccoli. Era pratica comune, mandare le proprie figlie a scuola presso le Suore, dove era facile rubare il mestiere di ricamatrice e dove l’ingegnosità delle suore più anziane emergevano, donando alle ragazze più brave, la possibilità di lavorare in proprio nelle loro case, senza essere costrette a lavorare in campagna o presso famiglie benestanti, come donne di servizio, sguattere o come fantesche. Ida liberazione dai lavori pesanti, rendeva la donna libera di creare abiti e ricami particolari inventando intagli tra tessuto e tessuto, sovrapponendo lembi su lembi, dando così spessore all’abito. Non a caso tra i prodotti più rinomati, dell’antico artigianato locale, erano il pizzo barese e quello armeno, che ritroviamo citati in un antico documento o per meglio dire in un atto del 22 gennaio del 1385. Nella descrizione menzionata in lingua latina, ne fa testo il documento è descritto un corpetto, un corsetto attillato, di panno di oro filato, con maniche scarlatte e rifinite con pizzo di Bari. In un altro documento datato 17 febbraio 1397, cita il riferimento al pizzo di Bari con bottoni in argento, posti in dette maniche e rifinite con pizzo di Bari. Molti sono gli esempi che se ne potrebbero addurre e ancora tanti se passiamo in rassegna, spulciando nei capitoli matrimoniali rogati dai diversi notai di quel tempo. In un istrumento notarile, del 4 dicembre del 1663, rogato dal notaio Stefano Rinaldi di Bari, è descritto in modo approfondito e serve a farci capire meglio, un metodo lavorativo dell’epoca. Si parla di un certo Antonio Marcostenti, capitano di un vascello appartenente al chierico Nicola Tresca, il quale accompagnò da D. Nicola Gallitto, cancelliere della Curia Arcivescovile una figliola di circa nove anni di nome chiamata Elisabetta, che dice di essere nata in Serigo fortezza di levante perché detto cancelliere si occupasse di mandarla alla maestra e farle apprendere ogni buona arte manuale, quale di fare pizzilli et lavori di ricamo. Possiamo dire a gran voce, che nella Città di Bari, vi era un fiorente artigianato manuale e che attraverso le antiche scuole di pizzo ha tracciato un solco prezioso. La succitata tradizione riconosce e assurse a considerevoli livelli all’inizio del Novecento, quando un gruppo di dame del Patronato, San Nicola di Mira, fondò una scuola di pizzo sostenuta dall’entusiasmo del Gran Priore Deriso Piscitelli Taeggi che essendo stato in precedenza, cultore appassionato di paleografia artistica presso l’abbazia di Montecassino, si era impegnato nel creare modelli tratti dalle miniature dei codici liturgici longobardi. Quel filo particolare, che era impiegato nel lavorare il merletto lavorato a uncinetto, a fuselli o con il semplice ago da cucire. Pizzi e merletti, che ornavano capi di vestiario e biancheria da letto, tende e tovagliato, quel merletto lavorato a uncinetto a fuselli o con semplice ago, dalle giovani donne, dalle mani veloci e instancabili, come perfette macchine da ricamo, hanno lasciato un segno indelebile nella nostra Città. Il famoso “Pizzo di Bari”

 

Anna Sciacovelli