Il ritorno del merletto ad ago in Italia
“Revival of Needlework in Italy”, Ricci Elisa. International Studio, Vol. 61
(1914) Il testo è stato tradotto dall’inglese, a sua
volta era stato tradotto dall’italiano. Opere realizzate da Aemilia Ars Quaranta
anni fa, l’industria femminile italiana (e non solo italiana) attraversava
una lenta agonia. Gli
uomini disprezzavano i lavori manuali
femminili e persino le lavoranti lo giudicavano un mero passatempo,
praticamente la vera merlettaia stava scomparendo, bambine e persone anziane
si dilettavano a lavorare un po’ all’uncinetto. Nel 1875 si faceva in molte
province italiane il merletto a tombolo, ma era veramente brutto. Giovani donne trascorrevano la loro gioventù nel ricamare lenzuola e copriletti per la dote senza pensare al disegno,
proporzioni e armonia. ”Oh
questi orribili immensi copriletti in maglia! Oppure fatti all’uncinetto o in altro
insignificante lavoro! ” A
quel tempo, quei pezzi antichi di merletto, che noi oggi ricerchiamo così
ansiosamente pagandoli più del loro peso in oro, venivano trovati in qualche
soffitta, poi venivano tagliati e dati alle bambine per giocare. Il
proprietario di una cartiera mi raccontò che sua madre aveva accidentalmente
trovato un pezzo di prezioso e vecchio merletto in sacchi di vecchi cenci
acquistati per pochi soldi. Il
buon gusto delle persone ebbe un grande calo fino a quando due persone con la
speranza di migliorare la situazione aiutarono le donne a portare il loro
lavoro alla pari dignità di un‘arte. Durante
l’inverno del 1872 il freddo a Venezia, fu così intenso che la laguna
ghiacciò e gli abitanti delle varie
isole che vivevano principalmente di pesca dovettero patire la fame specialmente nell’isola di Burano, la quale nei vecchi archivi
veneziani è sempre pietosamente qualificata come “la nostra povera isola”. Un
veneziano distintosi per la sua generosità e ingegnosità e una signora
veneziana amabile graziosa e piena di virtù e qualità come energia, ordine,
cultura, spirito, studiarono un modo per combattere la povertà e la miseria.
Il deputato Paolo Fambri
e la contessa Andriana Marcello, dopo espedienti inutili, decisero di far rivivere
l’antica arte del merletto. Era come far risuscitare Lazzaro. Tra le signore veneziane, nessuna conosceva l’arte del merletto, tutte le merlettaie erano morte
tranne una che era mezza cieca, il suo nome
era Cencia Scarpariola e
in gioventù aveva fatto il merletto.
A Cencia venne chiesto: ” Si ricorda come viene fatto il merletto ?” Lei
rispose di si e lo fece vedere. In poco tempo l’attività della vecchia
signora venne appresa da una
insegnante che la trasmise alle genti di Burano.
La contessa Marcello istituì un’ attività, cercando tra vecchi esemplari
dell’antico punto e studiandone di nuovi. Paolo Fambri
provvide al capitale
necessario per aprire velocemente una attività. Egli investì quasi tutte le
sue fortune nell’impresa. La regina Margherita che allora era una giovane
principessa divenne presidente del comitato e si interessò molto a questa
lavorazione, aiutandola facendo importanti ordinazioni. Con la sua simpatia
che la caratterizzava, meditava sopra quei merletti con la speranza di
scoprire i segreti del punto molto complicato e difficoltoso. Le merlettaie di Burano ritornarono in auge, come un buon seme piantato
sulla buona terra , fiorì e si propagò
rapidamente. Dopo Venezia, Bologna In questa attenta e vivace città alcuni discepoli di quel “Neo gospel of art” che arrivò a noi attraverso l’Inghilterra, formarono una società chiamata “Aemilia ars” . Il loro obbiettivo era quello di far rivivere quelle arti “ minori” o “inferiori” dando un tocco di raffinatezza agli oggetti, anche i più piccoli con cui veniamo a contatto nella vita di tutti i giorni. Le arti del merletto e del ricamo come le altre appena nate, seguirono timidamente la scia delle arti del ferro, del legno, dell’oro e delle pietre preziose. Oggi il nome di Aemilia Ars vive ed è soprattutto famosa per queste arti minori. Su questo esempio la contessa Lina Cavazza, con grande spirito di impresa iniziò ad insegnare personalmente il “Punto reticello” a molte giovani ragazze che a turno impararono il nuovo” arrivato”. Il reticello è il punto madre della meravigliosa famiglia dei merletti ad ago italiani, rispetto al punto Burano è meno raffinato ma più veloce da eseguire, più forte, più pratico, meno costoso e di origine italiana. L’industria si diffuse velocemente da Bologna a tutta la penisola e carpì le simpatie anche delle signore siciliane. In Puglia, Umbria, Toscana, Lombardia, dovunque l’Aemilia Ars può rivendicare di aver dato nuova vita all’antico reticello italiano. La storia del ritorno del merletto a Bologna è similare a quella di Burano e altre storie simili ci sono state per le stoffe fatte a mano con vecchi telai come si facevano in Abruzzo, Perugina Calabria e Sardegna.Trine
all’uncinetto realizzate nel laboratorio bolognese “ Beccadelli” Ma
l’industria femminile fiorì con il merletto ed è ancora commercialmente ed
artisticamente il più importante; per testimoniare la rinascita del merletto
italiano le merlettaie italiane di ogni classe sociale praticarono tale
lavorazione anche se erano donne ricche e benestanti. Lungo tutta la
penisola questa splendida ed
inaspettata attitudine le unisce tutte nell’intelletto e nell’operato.
Succede di frequente che magari una grande dama guardi scrutando un antico
merletto e si sforzi di scoprirne i segreti della tessitura, mentre una
paesana seduta vicino prenda gli attrezzi del lavoro appartenuti alla nonna e
le mostri con gioia, velocemente la facilità del suo lavoro. Si narra che la
regina Margherita, vedendo una ragazza volteggiare i fuselli sul suo tombolo
con grande velocità, le chiese:” Quanto bisogna maneggiare i fuselli per
imparare la tecnica, senza guardarli sempre?” Lei rispose candidamente”
Devono cadere nelle mie mani”. Questa
rinascita quindi, non è dovuta solo a causa dell’attitudine femminile per
qualsiasi cosa che potesse produrre reddito, ma alla grande facilità che
questa gente modesta aveva nell’apprendere la tecnica e la letizia
nell’eseguirla. Avendo acceso questi lumicini di interesse attorno all’arte
del merletto, si presero urgentemente dei provvedimenti per assicurare alle
merlettaie la possibilità di guadagnare e poter vivere. Queste antiche trine
incominciarono a vivere in mezzo alle stesse genti e agli stessi territori,
ma in un periodo storico e atmosfera del tutto indifferenti. Le signore non
spesero per lungo tempo le loro energie per confezionare tovaglie d’altare o
per colmare vecchie cassapanche nelle carestie, con “ bianchi tesori” come
cumuli di paramenti sacri . I tempi cambiarono e solo poche contadine che
fino ad allora non erano state ispirate dal merletto, ricominciarono la
lavorazione per sé o per la chiesa.. le merlettaie oggi desiderano avere una ricompensa
alla fine del loro lavoro per avere una opportunità di guadagno. Le
istituzioni economiche aiutarono la rinascita di queste arti antiche:
venivano raccolte le produzioni nei
piccoli paesi, sparsi nei grossi centri, poi venivano divisi per soggetto,
valore, origine ed aspetto. Ma questo non è tutto: in qualche caso era
necessario qualche incoraggiamento per la produzione e soprattutto era
essenziale che il lavoro avesse un suo carattere locale e possedesse un suo
merito artistico da renderlo accettabile alle persone di buon gusto e
distinguerlo da quelli puramente commerciali.. Furono
gli sforzi di una bella ed intelligente
signora americana, la contessa
Cora di Brazzà
che fondò una istituzione e diede
stabilità a questa impresa femminile. Il suo contagioso entusiasmo e la forte
personalità, riuscirono a travolgere ogni ostacolo e si fondò una società di
cooperazione a Roma con il nome di “ Industrie Femminili Italiane”. Un avvocato trovò il capitale necessario per l’associazione e venne aperto
un grande negozio a Roma. Il comitato amministrativo era formato da 24
patrocinatrici che avevano il compito di osservare i progressi artistici
della nuova attività. Il comitato era affiancato da esperti che erano
nominati per decidere se accettare il lavoro e fissarne poi il prezzo. La
società fu capace di aprire grandi mercati all’estero conquistati
dall’italianità dei merletti, incrementando anche la produzione a domicilio,
dando impulso alla nuova e stabile organizzazione. Le patrocinatrici non si
limitavano ad istruire le merlettaie; loro si lanciarono con il cuore e con
l’anima nella vendita degli articoli. Con gioia esse viaggiavano ed esibivano
le loro merci in palazzi, ville e grandi hotel. L’esposizione a Milano nel 1906
diede una splendida opportunità di
presentare a tutto il mondo l’operato dell’istituzione dalla sua fondazione,
risalente al 1903. In una grande stanza ben illuminata vennero esibiti i
migliori lavori eseguiti dalle donne italiane durante quei pochi anni con
grande ammirazione e meraviglia del pubblico. La mostra rappresentò molto
bene tutti gli sforzi fatti per ottenere quei capolavori, ma improvvisamente
i locali presero fuoco subito dopo l’apertura e tutto finì in cenere. Lo
shock fu grande, ma la società riuscì velocemente a produrre una nuova
collezione in meno di un mese, sorprendendo il pubblico. Dal
punto di vista artistico si noti
che questi merletti venivano copiati da vecchi
modellari e somigliavano
per caratteristiche peculiari
a quelli di alcune regioni italiane; venivano modificati secondo le necessità
e i gusti dei nostri giorni. Ad
esempio lo sfilato siciliano, un tempo usato per ornare i copriletti, ora è molto usato nelle tende e nelle camicie. Il metodo
di lavorazione è sempre lo stesso e anche gli attuali disegni sono quelli del
passato. Questo piccolo ”revival” ha risvegliato un desiderio di ritornare a
quelle vecchie e splendide forme di artigianato. Lo stile e la tecnica
combaciavano con i gusti delle persone. Piano piano e
quasi inconsciamente, le vecchie tradizioni vennero
abbandonate nella ricerca di nuove idee.
Cuscini realizzati dal laboratorio Maraini,
Rieti Invece
le ricamatrici straniere fedeli al loro lavoro riproducevano esattamente
punto per punto, su vecchi disegni, ma introdussero lentamente un tocco di
modernità non visibile nei vecchi schemi. Questi
2 fatti sono chiaramente dimostrati in due esempi, uno è un collare con pavoni dove ogni dettaglio è fedelmente copiato dal modellario
“Corona delle Nobili Dame”di Cesare Vecellio”: l’ornamento dei pavoni, le figure e nessun
dettaglio è stato inventato.
Poi
c’è un collare che non sembra un vecchio collare, è molto bello e appare
moderno; è precisamente moderno nel disegno e composizione e forse
involontariamente è stato l’inizio del tipico stile moderno. Il
contrario accadde quando l’Italia si accorse
della nascente “ Art nuveau”. A
Bologna l’Aemilia Ars, la società fondata su idee artistiche moderne, ebbe la
grande fortuna di incontrare due direttori di cultura e sensibilità artistica: Alfonso Rubbiani e Achille Casanova. Iniziarono le riproduzioni di vecchi modelli
con grande genio cercando in un raro e prezioso vecchio volume del marchese Nerio Malvezzi e quando
cominciarono a creare nuovi stili, come la famosa tovaglia di
Vanderbilt, dal personale
disegno nuovo e delicato,
accadde qualcosa che nobilitò una vecchia e tradizionale arte. Copriletto realizzato dalla Aemilia Ars per la famiglia Oppenheim di Francoforte, in sequenza possiamo vedere un quarto del copriletto, il
medaglione centrale e uno dei moduli che contornano il manufatto. |