“ L’isola di Burano

 

Adagiata sulle acque lagunari, la Serenissima riposa, immutata nel tempo, ricoperta di pizzi e scintillante dei suoi tesori. In una vecchia canzone popolare dialettale viene così descritta: “...Venexia somiglia ad una sposa vestita di merletti di Burano...”

 

Burano con i suoi colori squillanti e la serenità di un incontro mentre si lavora sul cuscino (foto Giorgio Foco)

 

Burano è una delle isole della laguna veneziana e il suo nome deriva dalla Porta Boreana della città romana di Altino. Borea è il vento di Nord-Est che spesso soffia sull’isola di Burano.

La recente scoperta archeologica di una villa romana a due metri sotto il livello del mare, avvalora la tesi degli storici, che in quella zona c’era un luogo di villeggiatura dei ricchi romani sin dai primi secoli dopo Cristo. Nei secoli, certe isole subirono i cambiamenti della laguna, scomparendo. Le cronache medievali narrano che a Burano nell’anno 809 si rifugiarono molti veneziani per sfuggire all’invasione dei Franchi. Burano anticamente passò periodi di floridezza grazie alla lavorazione del merletto e all’estrazione del sale, ma passò anche periodi di miseria e stenti. La ripresa economica avvenne dopo il primo conflitto mondiale, quando molte persone si dedicarono al lavoro nelle fabbriche abbandonando la pesca. In questi ultimi decenni, Burano è diventato un centro turistico molto frequentato e ammirato per i suoi colori e l’atmosfera particolare che vi regna. Le case sono dipinte di colori vivaci, si dice per evidenziare la proprietà, ma si dice anche per guidare i pescatori che dovevano rientrare in caso di nebbia. I colori vivaci delle loro case erano come un faro, il punto di approdo.

 

 

 

 

L’isola del merletto, di Enrica Grasso

Pubblicato nel 1891 su “Natura ed arte”: rassegna quindicinale illustrata italiana e straniera di scienze, lettere ed arti

 

 

In un giorno di luminosa serenità per la mia anima, io giunsi alle rive della piccola terra lagunare, ove sbocciano i fiori di refe, che il tempo non corrompe, ma solamente appassisce un poco, involgendoli nel fascino evocatore che hanno le cose belle, quando sopravvivono, pur nella loro fragile apparenza, agli uomini morituri che le hanno create. Una tranquillità di vita, che par preludiare al silenzio melanconicamente austero dell’antichissima Torcello, si spandeva nell’isola breve, attraversata dai suoi canali e da una grande via petrosa, fiancheggiata di piccole case, che non hanno di notevole se non un placido aspetto. Perchè non ha Burano il fervore di alacrità rumorosa che agita l’industriosa Murano, l’isola delle fornaci, martellante di suoni e giocondamente vivace nella colorita festa delle sue botteghe, lucenti di cristalli preziosi, ricche di ortaggi e di frutti; le numerose barche da pesca assiepate in una piccola darsena all’incrocio di due canali, e le grandi scritte poliglotte, che corrono barbaramente su pel muri rossastri delle semplici case, avvertono subito a quali silenziose occupazioni siano intesi e uomini e donne. Mentre gli uni tendono sopra le vie dell’acqua le ruvide reti, che devono accogliere nelle loro forti maglie il frutto del mare, per la opulenza delle mense, le altre, nelle quiete stanze, o su le soglie delle modeste dimore, tramano, con dita leggiere, le trine più vaghe delle capellature marine, per ornare di grazia la beltà delle donne, che si assideranno a quelle ricche mense imbandite tra i fiori belli e profumati. Ricordate, infatti, la graziosa leggenda che fa nascere il merletto veneziano da una dolce e triste aspettazione di amore? La vivace fantasia del popolo narra di un giovine pescatore dell’Adriatico, il quale, avuto in dono dalla più bella fanciulla delle isole, sua fidanzata, una rete da pesca, la buttò in mare e ne riportò una meravigliosa alga pietrificata, ch’egli subito offerse alla sua futura. Scoppiò in breve la guerra e il giovine dovette partire per il lontano Oriente. Allora, nella timorosa angoscia dell’attesa la povera fidanzata, mentre intrecciava i fili delle sue reti, passava intere giornate a contemplare, fra un sospiro e una lacrima, la bell’alga, pegno del suo amore. E così avvenne ch’ella ne imitasse il disegno gentile delle nervature fini, dei frastagli leggieri e riuscisse a copiarla perfettamente, inventando il merletto a fuselli. Nello stesso tempo nacque in Venezia il merletto ad ago, vanto e gloria della donna italiana, e i due generi camminarono poi sempre insieme, per essere adoperati a vicenda, secondo le esigenze del costume. A quando precisamente risale questa invenzione non si sa, ma è certo in quel Quattrocento, che immerge l’anima del mondo latino nella freschezza di una nuova primavera e la fa rinascere in ogni ramo dell’arte compenetrata di verità e di poesia, che noi troviamo, nei ritratti e nei costumi, le prime tracce di pizzi. Prima d’allora, l’arte della trina appare sconosciuta. Le civiltà antichissime, esperte maestre nell’arte del ricamo, non ci mostrano, nell’adornamento muliebre, nulla che somigli perfettamente ai nostri merlettti. Le donne di Assiria e di Babilonia ricamavano e intrecciavano d’oro, e cospargevano di gemme le preziosissime stoffe destinate a drappeggiare la bella persona; le vaghe donne che tessevano, lungo le rive odorose dell'Egeo, i loro pepli sottili e le tuniche gravi dei loro eroici compagni, ne ornavano i lembi di quei caratteristici rilievi, di cui iltempo ci ha conservato i disegni col nome, appunto, di greche; le donne di Roma vengono ancora a noi effigiate nell’austero costume, che non consente al suo adornamento se non i rabeschi impressi su la stoffa con alquanto severa nobiltà di lavoro. Ma la castellana medioevale, liberandosi a poco a poco dalle rigidissime bende che fasciano il collo esile di Francesca e il capo dolente della Pia, mentre ricama sciarpe e giustacuori per il cavaliere sconosciuto , che verrà a recarle i messaggi dell’amore, già pensa per il bianco soggolo della sua veste un leggiero orlo di trina. Se, dunque, il preludio di quest’artistica industria, che ha per cullala gloriosa repubblica veneziana è, come ogni inizio d’arte o d’ivenzione, un po’ avvolto nell’ombra, e il secolo XV ci dà, quasi ancora con timida offerta, le prime trine che ornano le pie tovaglie da altare, i camici dei prelati e i costumi di corte degli uomini, è al Cinquecento, magnifico signore del costume, che bisogna chiedere tutto il fasto del merletto ; è a questo secolo, evocatore di ogni bellezza allo spirito, che bisogna risalire, per avere intatta la visione di alacrità gentile, che cinge la figura della donna buranese di una tradizionale aureola e la pone, nei secoli, ad anomina e inseparabile compagna delle donne più fastose di cui la storia conserva fra le sue pagine il profumo dolce o perverso. Perchè, sebbene l’arte del merletto non sia una prerogativa esclusivamente riserbata alle donne di Burano e anche oggi sorgano, in Venezia e nelle isole, fabbriche di trine preziosamene lavorate, Burano ne è per così dire, la terra classica attraverso ai secoli, da quando, nel fiorire delle industrie artistiche del Rinascimento, il pizzo di Venezia rivaleggiava non vinto con quelli di Milano e Genova ed Aquila, e, come tale, l’isola chiude nel suo recinto breve l’anima più aristocratica del merletto veneziano. Quietamente, essa guarda lontanarsi, alla superficie delle acque, lievi ondulazioni di altre isole e salire ai velati e curvi orizzonti punte sottili di cipressi, come ai tempi in cui le sue umili donne, di cui nessuno saprà mai il nome gentile e l’espressione del volto, si facevano cooperatrici ed emule degli artisti più gloriosi, e, mentre, nelle botteghe degli orafi, gli allievi di Benvenuto lavoravano i nielli preziosi per la gloria della divinità o per il sorriso della bellezza feminea, esse, chine sul piccolo telaio imbottito, tramavano, sui celebri disegni di Cesare Vecellio, i fiori fantastici, che uscivano dalle piccole mani e dai sottili aghi delle lavoratrici, come altrettante aeree sculture, destinate a prendere risalto sui marmi degli altari o sulle ricche stoffe, che i navigatori mercatanti recavano dall’Oriente, e che le mani di Tiziano, di Leonardo, del Veronese, non disdegnavano ornare con la sapienza dell’arte loro. E poichè il punto di Venezia, tutto compenetrato, nelle sue caratteristiche, di quella marmorea grazia di frastagli, che è l’anima della forma nell’arte veneziana e di quella delicata leggierezza, che è l’anima della forma nella natura veneziana, — evanescente e fantastico labirinto di linee emergenti a fiore delle acque, — ebbe nel mondo intero incontrastata ammirazione, le merlettaie di Burano, come animate da una gara di bellezza, tanta passione mettevano nell’esercizio dell’arte loro che, allorquando non trovavano crini abbastanza belli per imbottire gli smerli, si dice impiegassero i fili delle loro chiome. E sapevano esse, che i ricchi passamani d’oro e d’argento, le nevose cascate di pizzi, partendo dall'isola, portate lungo le acque tacite verso i fastigi della città dogale, andavano a recar lontano, lontano, in Francia, in Inghilterra, nelle Fiandre, il prestigio di Venezia e l’evocazione della sua beltà, fatta di luce e di pensiero? Ovunque le nobili teste coronate e i fieri volti dei dignitari di Stato emergono da un collare di trina, è il piccolo volto di una popolana di Venezia che nell'ombra sorride arguta e dolce e melanconica, lei che sa di quali palpiti umani sia intessuto il trasparente di pizzo, d'onde appaiono le mani più aristocratiche della storia. Il secolo XVI pone intorno alle figure rigidamente impettite di Piero di Toscana e della consorte Claudia un meraviglioso merletto di Venezia, e veneziani sono l’arricciato collare di Elisabetta d'Austria e l'ampia trina, che fa due ali intorno al volto bellissimo di Elisabetta d’Inghilterra. Di passamani lavorati su le lagune si ornavano le ricche vesti di Margherita di Navarra e di Maria de’ Medici, e si dice che Enrico III, per riparare il disordine delle sue trine, non disdegnasse adoperare egli stesso il ferro da stirare. Il merletto veneziano, che, nei primi disegni, rivela ancora lo spirito rigidamente geometrico dell’architettura e dell’arte bizantina, assume, nel  cinquecento, l’espressione di sua maggior bellezza e, in una morbida fusione di linee, riproduce il senso di vita e di passione che anima tutta l’arte veneziana del Rinascimento. E gli stranieri stanno pronti a carpire il segreto di questa geniale lavorazione; ma la Repubblica, conscia del suo primato, è terribile con quelle operaie che si lasciano adescare dai richiami di Francia, Questo atto era considerato come un delitto e un decreto del Senato dichiarava che sarebbero imprigionati i parenti più prossimi di coloro che, essendo partiti, non avessero tosto eseguito l’ordine di ritorno e sarebbero incaricati emissari speciali per mettere a morte coloro che si fossero ostinati a rimanere presso gli stranieri. Tuttavia, la moda dei pizzi, essendosi in Francia, all’epoca di Enrico IV, estesa non solo alle vesti, ma alle biancherie, ai mobili, all’adornamento della casa e fino agli orli degli stivali, ne venne che, sotto Luigi XIV il grande ministro Colbert inizia l'industria dei merletti, che prendono il suo nome e sono un’emanazione del punto di Venezia, e le trine d’Italia hanno delle competitrici negli altri stati d’Europa. Ma, non per questo, Venezia abbandona lo scettro dei suoi merletti e il re Sole stesso paga una parure, la quale comprendeva: manichini, collaretta, jabot, berta, increspature per calze, guarnizioni di stivali, giarrettiere e sbuffi, la bella somma di 250 scudi d’oro. La società francese di quest'epoca ha una passione straordinaria per il merletto; gli abiti di casa ne sono interamente coperti , ogni capo di biancheria ne è riccamente adorno, gli specchi veneziani, nei gabinetti di toeletta delle elegantissime parigine, sl aprono fra due ali di trina. E, mentre lo splendore della vita veneziana, come un rogo che abbia divampato troppo alto, s’estingue a poco a poco nella guizzante fiammella del settecento graziosamente artificioso, l’industria buranese diventa ogni giorno più florida. Se in Francia, sotto Luigi XV, i nastri, gli specchi e le trine sono cose di cui la donna ha necessità assoluta, forse che negli altri paesi ella ne può fare a meno?

È una gara a chi le possiede più belle, più fini, più costose. E il punto di Venezia, che aveva accompagnato , in rigidezza di atteggiamento, la beltà maestosa delle antiche donne italiane, si alleggerisce nei punti rosa e rosalino, per avvolgere in una nuvola di idealità la capricciosa civetteria delle donnine in guardinfante. Nel secoloXIX, moderata dalla rivoluzione la eccessiva smania di lusso, anche la gentilissima industria va spegnendosi nei suoi tre centri maggiori: Venezia, Genova e Milano. L'isola di Burano, tuttavia, conserva come in prezioso reliquiario, l’anima languente della gloriosa arte veneziana fino al 1845. Poi, poco a poco si perde. Qualche donna di Pellestrina fa un po’ di trina a fuselli e, a Burano, solamente la vecchia Cencia Scarpariola ricordava il punto ad ago, che dall’isola stessa prende il nome.

Cencia Scarpariola, la sola a possedere il segreto del punto di Burano al tempo della fondazione della Scuola.

 

Nelle interessanti pagine, che, a proposito della ristaurazione del merletto veneziano scrive il belga sig. Verhaegen, è spiegato il’non facile compito di far risorgere nell’isola l'industria, che ne costituisce, presentemente la ricchezza maggiore e la caratteristica più gentile. Il mio primo pensiero, infatti, come di ogni forestiero che giunga a Burano, fu di penetrare nella scuola famosa, che è il focolare stesso dell’operosità femminile. Oh i quadri gentili animati da una bellezza intima e pura! Schiere di teste chine sul tombolo e spiccanti fra il candore dei grembiuli e la chiarità della luce, come aureolate da un nimbo, danno veramente al visitatore l’idea frescamente puerile di un’accolta di scolarine. L'odierna Scuola di Merletti deve la sua origine al pensiero alacremente benefico di quel Paolo Fambri, che nell’inverno del 1872, vedendo la miseria in cui era caduta la popolazione buranese, privata, a cagione del freddo, che ne aveva gelato le acque, della sua unica risorsa, la pesca, volle, coi fondi raccolti da feste e concerti, e di cui una metà aveva servito ai più urgenti soccorsi, instituire nell’isola per sicurezza delle popolazioni, l’antica industria del merletto ad ago, a cui Burano legava il suo nome da parecchi secoli. Le scuole, che, nello stesso anno, il Fambri aveva aperto a Venezia e a Chioggia, non valsero al loro filantropico fondatore che sperpero di fatica e di capitali, ma a Burano la ristaurazione del merletto ebbe ad attivo cooperatore lo Spirito femminile e divenne un fatto compiuto. Fu una discendente delle dogaresse colei che meglio aderì all’idea di Paolo Fambri e così il merletto che, nel passato, al pari di ogni altra espressione di raffinatezza, era vissuto per il fasto delle dame e dei dignitari, deve questa sua gloriosa rinascenza all’intelligente mecenatismo di una donna regale: Andriana Marcello e di una regina: Margherita di Savoia. Che sarebbe stato di quell’ideale punto di Burano, che, a guisa di un tesoro inutile destinato a perire, viveva nella memoria della vecchia Cencia, le cui tremule mani non erano più capaci di esprimerlo, se la contessa Marcello, che lo guardava splendere, con rimpianto, sopra il velluto e lo sciamito delle sue bisavole, non avesse rintracciato la vecchia donna, che recava anch'essa nelle sue vene le tradizioni di un passato ? In trent’anni di vita, la scuola, sotto il patronato della Regina Margherita, ha guadagnato alla sua causa le simpatie di parecchie dame ed è fiorentissima. Per la cortesia del direttore, signor Annibale d’Este, che è pure l'amministratore delegato della Società Anonima per azioni della Scuola di Burano, il regno del merletto apre agli occhi del visitatore i suoi recessi favolosi.

 

Ritratto della regina Elena del Montenegro

 

Noi crediamo ad una virtù di magia passando attonita, di meraviglia in meraviglia. Svelte e leggiere intorno al torsello in forma di manicotto, le mani delle donne creano, si può dire con nulla, una preziosità più rara dei più rari diamanti. Dapprima, alcune, le meno esperte, gettano sul disegno tracciato e punteggiato sopra un’apposita carta, il contorno, ossia l’orditura, altre eseguiscono i fondi, ossia la rete, su cui si adagiano le forme del disegno bizzarramente fiorito, infine, le più valenti, pervengono ad eseguire i rilievi slanciati e gli a giorni graziosi, facendo opera squisita di intaglio e di sfumatura. Voi vedete muovere nell’aria un filo così sottile, che sembra tolto veramente ad una tela di ragno, e le dita sapienti ne compongono un lembo di tessuto, che è fragile e tenace ad un tempo, come i nostri sogni minacciati continuamente, e incapaci a morire. A compiere un pezzo di trina, grande quanto una mano, danno opera parecchie operaie, divise per sezioni, a seconda della loro abilità, e quando i piccoli frammenti sono eseguiti, un ago delicato ed esperto li unisce lungo gli steli e gli ornamenti del disegno, in modo perfettamente invisibile a gli occhi profani. Mentre una delle pie suore, che si occupano dell’insegnamento religioso, mi spiegava dinanzi l’opera accuratissima di questa o di quella operaia, taluna delle più giovani, come una vera e propria scolarina, mi additava il suo lavoro con un risolino di compiacenza.

—. E mi?

— Anca mi son brava!

E pareva anche volesse aggiungere fra sé e sè: Le vedeste mai così belle cose, nel vostro paese ?

Io pensavo con tristezza quale rito mondano, quale capricciosa vanità femminile, quale, forse anche, stupida incoscienza, sarebbe andata a servire tanta nobiltà di lavoro. Ma, nello sguardo e nel sorriso aperto di quelle donne, io lessi un trionfo e mi pentii del mio rammarico. Esse servono alla bellezza, che è cosa divina e non già alla miseria di certe vanità umane, e l’opera loro è infatti un’esaltazione continua. Per questo, la Scuola di Burano mì pare tanto degna di ammirazione: perchè essa dà a quelle figlie di pescatori, più ancora che il pane del Corpo, il pane dello spirito, di cui esse, quasi inconsciamente, si cibano ogni giorno; la fede, che è l’idealità dei semplici, e un’arte, che è per esse giola e pensiero.La loro coscienza artistica viene eccitata a mezzo di un regolare corso di disegno, che le fa, naturalmente, sempre migliori esecutrici.

— Oramai sembrano ben lontani i tempi in cui la contessa Marcello, per dar lavoro e guadagno alle poche operaie, faceva ristaurare le sue vecchie trine e comperava tutta la produzione, facendosi talvolta aiutare dalle sue amiche! — mi diceva il cortese Direttore.

— Ora la clientela è estesissima, in Italia e all'Estero e sì compone di privati e di commercianti.

Egli mi spiegò tutto il ben ordinato funzionamento di questa scuola, che è una macchina, dove gli ingranaggi si muovono al miglior vantaggio delle operaie e dell’industria, sotto la sorveglianza di un comitato, di cui è anima il conte Marcello, figlio della fondatrice. E poi mi condusse nella sala ove si accolgono i lavori finiti.

Qui l’illusione dell’incantesimo è perfetta.

La Scuola pone un’amorosa e diligente cura a che i punti del merletto veneziano serbino tutta la grandiosità che loro impresse il Rinascimento, onde essi vengono sempre eseguiti sui disegni antichi, i quali servirono di modello agli imitatori. Io vidi veramente splendere l’anima secolare della trina veneziana nella sontuosa eleganza del punto di Venezia, propriamente detto, ricco e vario, con i suoi grandi fiori uniti da sbarrette e intrecciati di festoni e di rilievi lucenti, cosi armonicamente compagno ai marmi elevati su la placidità delle acque. Singolare caratteristica di questo merletto è che la sua tecnica permette di tagliarlo senza sciuparne il disegno e quindi adattarlo a seconda delle varie foggie e congiungere e separarne le parti con tutta facilità. Vidi biancheggiare, come la messe di un rosaio primaverile, le spume di refe entro cui sbocciano i fiori a giorno del punto Rosalino, meno opulente, ma più grazioso del punto di Venezia, di cui è come una variazione bizzarra; sovraccarico di foglioline leggerissime e di leggerissime rose a rilievo, di ramaglie innumerevoli, fa veramente l’effetto di una fioritura purissima, creata per aggiungere seduzione al fiore della beltà femminile. Poi, spiegato dinanzi al mio sguardo estatico, ecco un prezioso lembo di velo, che pareva intessuto con i vapori dell’alba. Impalpabile, come una carezza che non tocca ma sfiora, è il punto di Burano, e la mia guida gentile m'informò, che a somiglianza di quel lembo prezioso, era fatto il velo nuziale offerto dalla regina Margherita alla sua giovine nuora.

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Velo da sposa per la regina Elena di Montenegro che indossò il giorno del suo matrimonio con il re Vittorio Emanuele III, il  24 ottobre 1896. Questo prezioso velo le fu donato dalla suocera, la regina Margherita.  Il velo è stato commissionato alla Scuola merletti di Burano ed è stato eseguito ad ago con filati di seta e d’argento.

Ritratto della regina Elena di Montenegro, con uno stupendo collo alla berta in merletto veneziano, Edoardo Tofano, 1930

Velo da sposa per la regina Elena di Montenegro che indossò il giorno del suo matrimonio con il re Vittorio Emanuele III, il  24 ottobre 1896. Questo prezioso velo le fu donato dalla suocera, la regina Margherita.  Il velo è stato commissionato alla Scuola merletti di Burano ed è stato eseguito ad ago con filati di seta e d’argento. Sovra un reticolato finissimo, a maglie quadrate, si staccano, senza rilievo, i fogliami e le corolle più fantasticamente delicate che la mente possa imaginare. Non il menomo dislivello, una finezza d’incanto, un soffio. Presso il velo, destinato a lasciar trasparire il volto muliebre fra ieratiche ombre, ecco un ventaglio dal disegno in perfetto stile cinquecentesco, piccola arma di civetteria fra luci profane. E, presso ancora, sottili fazzolettini, che si stringono in pugno e costano lunghi mesi di lavoro a parecchie operaie; e lunghe bande di un mite biancore d’avorio, fatte per destare il desiderio di ogni donna, che non sia insensibile al fascino della bellezza. Uscita sulla maggior strada di Burano, tutta petrosa, pensando che il Direttore m’aveva fatto cenno alle merlettaie sposate, che eseguiscono il lavoro a casa, indugiavo a cercare nelle piccole case i volti di tutte le altre donne, perchè a tutte le donne dell’isola quietamente laboriosa mi legava un senso di simpatia, e di riverenza. Oh sorelle, più umili, che andate foggiando nell’ombra le belle cose destinate a vivere, quando le vostre dita saranno da lungo tempo disperse! L’isola serena non aveva rumori, qualche mendicante vecchio o qualche bambino scalzo tendeva la mano: e l’uno pregava e l’altro rideva. Così prega talora, nella sacristia della basilica buranese, qualche vecchia trina del Seicento, sotto gli occhi delle vergini effigiate da un maestro del colore, così ride, nel volto delle donne che sanno la magia sottile di Aracne, un sogno di vita, che va lontano, affidato ai fiori di una trama leggiera, e ne è la fragranza più viva e preziosa.

Ventaglio in punto Burano

 

Centro da tavola a punto Burano

 

Plastron a punto Venezia

 

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Riproduzione della balza appartenuta a Papa Clemente XIII realizzata dalla scuola di Burano (foto scuola di Burano tratta da (Bury. History of Lace, Charles Scribner' Sons, 1902). Il merletto originale era in possesso della regina Margherita e con la generosità che la contraddistingueva permise alla scuola di riprodurla. La scuola esibì a Parigi nel 1876 una striscia di merletto lungo 3 metri e largo 55 pollici.

 

Ventaglio con stemma, fondo a punto Burano

 

Ringraziamenti

 

Si ringrazia Giorgio Foco per le foto su Burano e il sito http://www.fotografieitalia.it/foto.cfm?idfoto=6870

 

 

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